La crociata degli albergatori (e dell’Antitrust) contro Tripadvisor
Federalbeghi, l’organizzazione che la scorsa estate accusava di terrorismo (sic) i meteorologi colpevoli di sbagliare le previsioni del tempo, sta festeggiando la sanzione di 500.000 comminata dall’Antitrust a Tripadvisor, il portale specializzato in recensioni turistiche.
La colpa, se così si può dire, di Tripadvisor, sarebbe più o meno la stessa che gli albergatori imputavano ai meteorologi: fornire ai loro potenziali clienti informazioni fuorvianti. O meglio, per stare al virgolettato della nota dell’antitrust, enfatizzare “il carattere autentico e genuino delle recensioni, inducendo così i consumatori a ritenere che le informazioni siano sempre attendibili, espressione di reali esperienze turistiche”. Infatti Tripadvisor, come è noto, pubblica sul proprio sito recensioni effettuate dagli stessi clienti delle strutture ricettive, e l’accusa è quella di non fare abbastanza per evitare il fenomeno delle recensioni fasulle e anzi di dare per scontato che tutte le recensioni pubblicate siano state scritte in buona fede da clienti autentici.
Il bullismo verde di Greenpeace, che viene da lontano
Greenpeace è un’organizzazione che ha basato, da sempre, la sua attività sulla convinzione che il consenso autorizzi a violare qualsiasi regola. Dagli assalti alle baleniere alla distruzione dei campi Ogm fino all’ultima, enorme sciocchezza dell’altro giorno – il danneggiamento delle linee di Nazca in Perù – la storia di Greenpeace è fatta di questo: azioni violente e autocompiacimento per l’impatto che queste azioni hanno sull’opinione pubblica. La teoria e la prassi del bullismo.
Non sorprende quindi che, anno dopo anno, gli attivisti e i dirigenti di Greenpeace si siano convinti che a loro tutto sia concesso, e che la bontà (reale o apparente, conta poco) delle proprie rivendicazioni trascenda qualsiasi limite di legge e di buon senso.
L’Europa? Mai così verde come oggi negli ultimi cento anni
Oggi si tende a considerare, nel migliore dei casi, l’intensificazione agricola come una sorta di “male necessario”. Necessario, magari, per dare da mangiare a tutti, ma al prezzo del progressivo impoverimento degli ecosistemi naturali, un prezzo che molti considerano inaccettabile: meglio rinunciare a una porzione più o meno grande del nostro benessere, dicono i più, per garantire uno sviluppo sostenibile e un pianeta migliore per le future generazioni. Tutto sommato, non fa una grinza, se il presupposto fosse corretto.
Cosa è successo, in realtà, all’ambiente in Europa negli ultimi cento anni? Se pensate che si sia impoverito, che le foreste e più in generale gli ecosistemi naturali abbiano ceduto progressivamente il passo alle coltivazioni e più in generale all’azione dell’uomo, state dando la risposta sbagliata. L’Europa, da cento anni a questa parte, non è mai stata tanto verde come oggi.
Giudici, vaccini e autismo: quel che rischiamo davvero
La sentenza del tribunale del lavoro – perché poi di queste cose si occupano i tribunali del lavoro? – di Milano, secondo cui sarebbe “acclarata la sussistenza del nesso causale” tra vaccini e autismo, è destinata ad aprire diversi fronti di polemica, e soprattutto porta con sé conseguenze molto pericolose. Prima di tutto perché non è acclarato proprio un bel niente: non esiste alcuna prova della relazione causa-effetto tra vaccini e autismo, e non basta la discutibile perizia di un medico legale per trasformare la lana in seta, l’acqua in vino e il falso in vero.
La prima delle possibili conseguenze è evidente: il sospetto, benché infondato, che i vaccini possano provocare una malattia tanto grave indurrà molte famiglie a non vaccinare i propri figli, esponendoli a rischi, reali, ben più concreti. Ed esponendo a seri rischi anche la popolazione non vaccinata, a cominciare dai bambini che non hanno ancora raggiunto l’età per vaccinarsi.
Le alluvioni sommergono l’Italia delle soluzioni miracolose
Il Seveso, il Lambro sono l’esempio migliore della disfatta di questa giunta incapace di intervenire a risolvere i problemi di questa città; è intollerabile che si giunga a situazioni come quelle di stanotte dopo una giornata e mezza di pioggia. Forse sarebbe il caso che i responsabili di simili disastri pensino – di fronte a tante situazioni fallimentari – che esistono ancora scelte quali quelle delle dimissioni.
Dei disastri naturali di questi giorni, e di quelli che ciclicamente ogni anno colpiscono l’Italia, non sembra essere possibile altro che un uso strumentale e semplicistico. Le parole di Giuliano Pisapia all’indirizzo dei suoi predecessori sono del 2010, e mentre gli si ritorcono contro, oggi potrebbero essere (e sono) pronunciate da chiunque, con lo stesso identico candore. Da un Alemanno che critica, dall’alto dei suoi luminosi traguardi, la gestione delle allerta meteo della capitale, agli amministratori o agli ex amministratori della Liguria, del Piemonte o della Lombardia.
Nuovi numeri per tenere a bada i santoni anti-Ogm
Gli Ogm non servono a nessuno, inquinano, impoveriscono gli agricoltori? Una filastrocca sentita migliaia di volte, l’ultima in ordine di tempo proprio in queste ore da Vandana Shiva, la santona anti-Ogm della quale il Foglio si è già abbondantemente occupato e la cui credibilità è stata fatta a fettine sottili da una dettagliata inchiesta del New Yorker.
Eppure una meta-analisi pubblicata sulla rivista scientifica PLoS One fa definitivamente chiarezza sull’impatto agronomico ed economico delle colture geneticamente modificate, e lo fa con cifre e dati che lasciano poco spazio alla discussione.
La sentenza dell’Aquila e il ruolo civile degli scienziati
Immaginate una regione della Terra ad altissimo rischio sismico, la baia di San Francisco, per esempio. Nella baia di San Francisco un forte terremoto colpisce all’incirca una volta ogni trent’anni, quindi ogni 10.000 giorni. Tradotto in “statistichese”, c’è lo 0,01 percento di probabilità che quel forte terremoto colpisca in un dato giorno, ad esempio domani. Dato che i terremoti tendono a raggrupparsi, nello spazio e nel tempo, uno sciame sismico aumenta la probabilità di un evento catastrofico. Se questa probabilità aumenta di 100 volte, arriveremmo all’1 percento di probabilità di avere un forte terremoto domani. Non male come scostamento rispetto alla norma, ma l’1 percento giustificherebbe una evacuazione? Nel 99 percento dei casi si tratterebbe di un falso allarme. Peraltro quell’evento catastrofico potrebbe anche non verificarsi per niente.
Non conosciamo ancora le motivazioni della sentenza che ha assolto in appello dall’accusa di omicidio colposo Enzo Boschi e gli altri membri della Commissione Grandi Rischi della Protezione Civile, in merito a presunte negligenze nella gestione del rischio nei giorni immediatamente precedenti il sisma che all’Aquila, il 6 aprile del 2009, ha procurato la morte di più di trecento persone, ma tenere a mente quest’ordine di grandezze è assolutamente necessario per aver chiara la situazione ed evitare pericolosi fraintendimenti.
Sì, in fondo siamo tutti un po’ oche
C’è un sondaggio che viene ciclicamente riproposto, più o meno ogni anno, i cui risultati evidenzierebbero una certa ignoranza dei bambini in fatto di alimentazione:una bella fetta degli intervistati pensa che l’insalata cresca sugli alberi e che le uova vengano raccolte direttamente dagli scaffali dei supermercati. Si tratta di bambini, i risultati sono tutto sommato divertenti, e il sondaggio ha sempre, a ogni edizione, un buon successo sui social media, che sono i luoghi ideali per bullarsi del prossimo. Ma quei bambini, probabilmente, sono figli di quegli adulti che in questi giorni, grazie a un’inchiesta della trasmissione Report nel merito della quale non entriamo in questa sede, stanno cadendo a frotte dal pero alla scoperta che le piume d’oca provengono dalle oche.
C’è una distanza sempre più grande e profonda tra la grande massa dei consumatori e i processi produttivi dei beni a loro destinati. Una distanza prima di tutto fisica, quando si tratta di lavoro agricolo, lontano dalle città, o quando la produzione viene delocalizzata in un chissaddove qualsiasi, lontano dagli occhi come dal cuore. Una distanza che viene spesso colmata dall’idealizzazione di una realtà che non esiste, che non esiste o più o che più probabilmente non è mai esistita, assecondata dal marketing delle imprese che tendono a nascondere il lato meno commercializzabile delle loro produzioni. La realtà del Mulino Bianco, per capirsi, quella in cui Antonio Banderas parla con la gallina, i bambini corrono felici sui prati, c’è una mucca viola che fa il cioccolato, e in cui le piume d’oca… da dove vengono le piume d’oca?
Decrescisti: profetici, dal 211 d.C.
Ce ne sono sempre stati, di decrescisti e catastrofisti, hanno sempre parlato la stessa lingua e ci hanno sempre indovinato alla stessa maniera. Questo è Tertulliano, nel suo trattato De Anima scritto nel 211 d.C. quando la popolazione della Terra, secondo le stime attuali, superava di poco i 200 milioni di abitanti:
Siamo di peso al mondo, a stento ci bastano le risorse, e maggiori sono i bisogni, più alti sono i nostri lamenti, poiché la natura già non è in grado di sostenerci. In effetti le pestilenze, le carestie, le guerre e la rovina delle civiltà sono un giusto rimedio, uno sfoltimento del genere umano arrogante.
Onerosi sumus mundo, vix nobis elementa sufficiunt, et necessitates artiores, et querellae apud omnes, dum iam nos natura non sustinet. Revera lues et fames et bella et voragines civitatum pro remedio deputanda, tamquam tonsura insolescentis generis humani.
Michele Serra e il biologico taumaturgico
Si è offeso, Michele Serra, per lo scherzo messo in atto da alcuni buontemponi olandesi che hanno fatto assaggiare del cibo prelevato direttamente da un fast food ad alcuni frequentatori di un festival del cibo biologico. Lo scherzo ha avuto un esito più che prevedibile: era successa la stessa cosa anche quando qualcuno ha portato un foglio scarabocchiato da alcuni bambini a una mostra di arte moderna, e quando ad alcuni esperti di vino è stato chiesto di ripetere in cieco, ovvero senza conoscere neanche il colore del contenuto della bottiglia, alcune degustazioni effettuate poco prima.
Quindi gli esperti gourmet hanno creduto che le polpette di McDonald’s fossero in realtà biodelicatessen, e come tali le hanno descritte ai loro interlocutori, e non sappiamo bene se sia successo perché ci sono cascati in pieno o più semplicemente per non deluderne le aspettative – a chi non è capitato di complimentarsi con l’autore di una certa pietanza cercando al tempo stesso, disperatamente, un angolo nascosto per svuotare il resto del piatto?
Di scienza, ciarlatani e par condicio (in breve)
Stamattina a Radio anch’io (su Rai Radio1) si parlava di OGM. Trasmissione apparentemente ben fatta (qui il podcast), ed equilibrata, con molte voci e differenti opinioni rappresentate, nonostante la presenza in studio, come ospite d’onore, di Vandana Shiva. Ma che potrebbe esserer utilizzata come caso di scuola sul modo in cui i media trattano (scorrettamente) i temi scientifici (letture caldamente consigliate: Silvia Bencivelli, Beatrice Mautino e Marco Furio Ferrario) e sulla pretesa necessità che per approfondire qualsiasi argomento sia necessario confrontare una molteplicità di opinioni (qualsiasi opinione) piuttosto che affidarsi alla competenza e alla verifica dei fatti (altra lettura caldamente consigliata: la decisione della BBC di non dare più spazio ai ciarlatani e di addestrare i propri giornalisti a riconoscerli).
Il “no” agli ogm e il modello culturale dell’ignoranza
Ha ragione Carlin Petrini a sostenere, dalle pagine di Repubblica di ieri, che la questione ogm, con tutto quel che le gira attorno, non si fonda “sul ritornello fa male/non fa male”, ma riguarda piuttosto “un modello di agricoltura, alimentazione, ecologia, solidarietà, sviluppo, cultura ed economia”. Avrebbe, anzi, ragione, se la prima parte del suo intervento non fosse dedicato alle solite baggianate sul mondo scientifico “diviso” sulla sicurezza delle biotecnologie applicate all’agricoltura e sulla Spagna che con l’adozione del mais resistente ai parassiti avrebbe perso una “significativa quota di biodiversità” (ma quando mai?). Ma l’onestà intellettuale, come il coraggio di Don Abbondio, se uno non ce l’ha non se la può dare. Prendiamo atto, passiamo oltre, e diciamo che sì, fa bene Petrini a ricordarci il suo modello culturale, quello su cui si fonda la sua resistenza gastrofighetta all’innovazione in agricoltura.
L’idea che la cura del paesaggio agricolo possa passare attraverso l’ibernazione di sistemi produttivi obsoleti e antieconomici non è certo nuova, non nasce con il famigerato Piano di indirizzo territoriale (Pit) toscano del quale il Foglio si è occupato diffusamente, e proprio in Toscana sta facendo sentire i suoi effetti sul territorio. Effetti che finiscono per essere l’esatto opposto di quelli attesi, con l’incuria e l’abbandono a farla da padrone. Ad accorgersene e a lanciare l’allarme, da anni, è stata l’Accademia dei Georgofili, l’antica e prestigiosa istituzione fiorentina che dal 1753 si occupa di scienza applicata all’agricoltura. Un allarme che non riguardava singoli settori dell’agricoltura, ma tutto il sistema imprenditoriale che ruota intorno alle attività agro-silvo-pastorali.
#ShivaFuoriDallExpo, nonostante il ministro Martina
Il ministro delle politiche agricole e forestali, Maurizio Martina, ha risposto alcuni giorni fa dalle pagine de Il Foglio ai numerosi articoli (alcuni firmati dal sottoscritto) che lo stesso giornale ha dedicato al caso della presenza di Vandana Shiva, attivista indiana impegnata contro gli Ogm e più in generale contro il progresso e l’innovazione in agricoltura, come consulente scientifica e “ambassador” di Expo2015, evento dedicato al tema “nutrire il Pianeta, energia per la vita”. La polemica è nata dopo che il New Yorker, periodico notoriamente molto rigoroso oltre che di chiara impostazione liberal, ha dedicato alla Shiva una lunga inchiesta firmata da Michael Specter, in cui si mettono seriamente in discussione non solo i presupposti teorici della sua propaganda, ma anche la veridicità di molte sue affermazioni, a cominciare dal suo curriculum scientifico, che non sembra affatto corrispondente a quello che l’attivista vanta nelle copertine dei suoi libri.
No all’agricoltura feudale
Partiamo da un dato, forse il più sorprendente: l’estensione della copertura forestale francese negli ultimi 500 anni. Una linea perennemente in calo, dal 40 per cento dell’intera superficie all’inizio del XVI secolo, fino al 12 per cento, a metà dell’800. Poi, un periodo di stabilizzazione, prima di tornare a crescere di nuovo, fino al 25 per cento e più dei nostri giorni. E sono cifre davvero sorprendenti, se si considera che l’aumento recente della copertura forestale è avvenuto in concomitanza con l’impennata demografica che ha portato la popolazione francese da 6 a 60 milioni di abitanti: più bocche da sfamare, dieci volte di più, meno campi coltivati. Come è possibile?