Il turismo rurale: come gli aiuti pubblici hanno prima drogato e poi soffocato il mercato
Libertiamo – 31/12/2009
Ci sono molti modi per descrivere gli effetti distorsivi e il più delle volte catastrofici dell’intervento pubblico sul mercato. Non avendo le competenze necessarie per inerpicarmi su sentieri che sarebbero inevitabilmente troppo impervi per chi, come me, non ha una preparazione teorica adeguata, preferisco raccontare un’esperienza personale che riguarda la mia attività (sono agricoltore) e il territorio in cui vivo (l’alto viterbese). Un’esperienza che mi sembra significativa.
Ho cominciato ad occuparmi dell’azienda agricola all’inizio degli anni ’90, approfittando del fatto che mio padre aveva ristrutturato da poco un antico mulino ad acqua adiacente al nostro casale realizzandovi un piccolo appartamento. Sembrava una buona idea cominciare ad affitarlo per brevi periodi ad ospiti stranieri, e per me era una buona occasione per garantirmi un minimo di entrate per andare avanti con gli studi universitari. La cosa ha funzionato, e poco tempo dopo abbiamo ristrutturato anche un altro piccolo fabbricato rurale lì vicino, facendo un piccolo appartamento in più.
Approfittavamo del fatto che la nostra zona, al confine con la Toscana e l’Umbria, era in una buona posizione per intercettare parte del flusso turistico indirizzato da più tempo verso quei territori. Si lavorava bene, infatti, nonostante avessimo una capacità ricettiva minima, e le stagioni duravano da maggio a ottobre. Come avviene per tutte le imprese, si andava avanti a piccoli passi (l’anno dopo abbiamo fatto la piscina). In quegli anni, in quella zona, a occuparci di agriturismo eravamo in tre o quattro. Non di più.
Le cose hanno cominciato a cambiare quando, nel 1996, sono entrati in scena i fondi strutturali europei per lo sviluppo del turismo rurale. Grazie ai piani dell’Obiettivo 5b prima e Agenda 2000 poi, chiunque avesse un rudere da sistemare e un pezzetto di terra per dimostrare una complementarietà (anche fittizia) con l’attività agricola ha potuto beneficiare di flussi continui di soldi a fondo perduto.
Tanti soldi: mettere a posto casali in pietra di centinaia di metri quadrati, rifare solai e tetti, dividerli in appartamenti, arredarli, sistemare parchi e giardini significa spendere centinaia di migliaia di euro. Lo posso affermare a ragion veduta, dato che ne ho beneficiato anch’io (non sono più gonzo degli altri). Grazie alla seconda tranche dell’Ob. 5b, infatti, ho potuto sistemare il casale più grande beneficiando, quasi per metà dell’investimento necessario, dei finanziamenti che dall’Europa transitavano attraverso gli uffici della Regione Lazio.
Era il salto di qualità di cui avevo bisogno. L’occasione per trasformare un’attività occasionale in un lavoro vero e proprio.
Da queste parti si dice “l’acqua presta ma non regala”. Significa che puoi bonificare terreni collinari e argillosi quanto vuoi, deviando il corso dei fossi e riempiendo i calanchi. Potrai coltivarli per qualche anno, ma prima o poi l’acqua riprenderà il suo corso naturale vanificando il tuo lavoro.
Anche il mercato è come l’acqua dei fossi (anche se non credo che alla Bocconi lo spieghino così).
Oggi, nello stesso territorio ci sono quasi 50 aziende agrituristiche, tutte in crisi. I cataloghi delle agenzie che si occupano di incoming per il l’alto Lazio, l’Umbria e la Toscana sono diventati voluminosi come l’elenco telefonico di una grande città, e presentano tutti la stessa tipologia di prodotto: casale con piscina. Il paesaggio ne ha beneficiato, questo va detto, dato che non si vedono più tristi casali in rovina. Ma fino a quando? L’offerta è aumentata a dismisura (e la sua qualità si è abbassata e standardizzata), e la domanda è in calo: se una volta la vacanza nel casale sulle colline toscane dava un’idea di esclusività, oggi non è più così. Non riusciamo più a riempire neanche a luglio e ad agosto.
E nell’ultimo Piano di Sviluppo Rurale redatto dalla Regione Lazio ci sono ancora finanziamenti a fondo perduto per la ristrutturazione di fabbricati rurali destinati all’attività agrituristica.
Non voglio dare l’idea di voler sputare nel piatto in cui ho mangiato anch’io. Oggi sicuramente la mia proprietà vale di più anche grazie a quei finanziamenti. Ma alla fin fine, cosa ci abbiamo guadagnato? E cosa ci ha guadagnato il nostro territorio? La nostra azienda, probabilmente, se avesse continuato a svilupparsi in condizioni “naturali” di mercato, oggi sarebbe più florida, e lo stesso si può dire del nostro territorio, che invece si ritrova al punto di partenza. L’acqua presta, ma non regala.
Va aggiunto un ultimo capitolo, forse il più paradossale. Se io ho potuto beneficiare di finanziamenti pubblici per sviluppare la mia attività, oggi il mio confinante beneficia di finanziamenti pubblici per darle il colpo di grazia: pare infatti che abbia in cantiere la realizzazione di un impianto solare fotovoltaico per la produzione di energia elettrica di diversi ettari proprio sulla collina di fronte al nostro casale. A volte l’acqua chiede anche gli interessi…
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