Le aperture sugli Ogm evidenziano le contraddizioni della Pac
Chicago Blog – 04/03/2010
Prima c’è stata la sentenza del Consiglio di Stato che ha ammesso la coltivazione delle varietà geneticamente modificate iscritte al catalogo comune europeo, poi la notizia dell’iscrizione allo stesso catalogo di una varietà di patata destinata all’uso non alimentare. A giudicare dalla canea di reazioni suscitate da entrambe le notizie potremmo pensare di essere alla vigilia di una vera e propria rivoluzione del settore agroalimentare. In realtà sono solo timidi passi che non scardinano i presupposti su cui si basa la Politica Agricola Comune, ma che ne evidenziano ulteriormente le contraddizioni.
In realtà l’unica varietà Gm della quale è consentita la coltivazione in Europa è il mais BT Monsanto, a cui oggi si aggiunge la patata della Basf. In paragone a ciò che succede nel resto del mondo, dove un agricoltore è libero di scegliere tra tutte le varietà Gm presenti sul mercato, è ben poca cosa, e chi in Europa (tralasciando per un momento il caso disperato dell’Italia) volesse vedere riconosciuto il suo diritto equivalente a poter coltivare grano o pomodori Gm deve aspettare il via libera di Bruxelles.
L’Unione Europea si arroga il diritto, assai poco naturale, di stabilire ciò che è giusto o meno produrre, attraverso divieti (come nel caso degli Ogm, ma anche per quelle produzioni vincolate a “quote”, come vino e latte), oppure attraverso incentivi e sussidi legati in larga parte a vincoli sulle modalità produttive, come il sostegno all’agricoltura biologica o l’enorme quantità di stanziamenti che attraverso i fondi strutturali e i Piani di Sviluppo Rurale delle regioni finanziano le produzioni “di qualità”.
Sono in molti ad avvantaggiarsi di questa situazione: l’industria agroalimentare, che in un mercato drogato dai sussidi si trova spesso a comprare materie prime a prezzo di costo, e la rappresentanza politica e sindacale, che svolge il ruolo (ormai istituzionalizzato) di intermediazione tra agricoltori ed enti erogatori. C’è un bel vantaggio anche per la rendita fondiaria, dato che terreni che rendono poco sul mercato rendono però sussidi e contributi, e continuano ad avere quindi un valore elevato.
Gli agricoltori invece grazie alla Pac sopravvivono, ma rinunciano, in cambio della sussistenza, a sviluppare le loro aziende in libertà. E il costo dell’agricoltura sussidiata, vincolata e certificata ricade quasi per intero sulle spalle dei contribuenti.