Si parla di caccia, mai di proprietà
Si torna a parlare di caccia e di calendari venatori, e come spesso accade si torna a parlarne a ridosso di elezioni amministrative, quando l’investimento politico può essere monetizzato al meglio, con il facile consenso che si può ottenere dalle associazioni venatorie locali. In questo caso a far discutere è il testo approvato dalla maggioranza ieri al Senato che di fatto elimina gli attuali limiti (1 settembre – 31 gennaio) reintroducendo il calendario lungo che includerebbe nella stagione anche i mesi di agosto e febbraio. Ci sono poche possibilità che il testo venga approvato così anche alla camera, date le reazioni che ha suscitato anche tra i banchi della stessa maggioranza, dove i ministri Brambilla e Prestigiacomo si sono dette sorprese e contrariate.
Attualmente (e anche dopo l’eventuale approvazione del summenzionato provvedimento) la legge consente ai cacciatori di entrare nelle altrui proprietà, nella stagione in cui la caccia è aperta, senza dover chiedere il permesso a nessuno. Il proprietario può allontanare chiunque dai suoi terreni, tranne nel caso che quel “chiunque” abbia un fucile in mano, ammesso che non abbia provveduto a delimitare la sua proprietà con fossi e reticolati degni di un gulag. Al proprietario non spetta nessuna forma di indennizzo (o di pagamento) per i beni che il senso comune vorrebbe di sua proprietà (la selvaggina) che gli vengono sottratti. Una volta ho tentato di spiegare a un mio ospite inglese appassionato di caccia la nostra legislazione venatoria. Non credo di esserci riuscito. Dovevo sempre rammentargli il concetto, per lui totalmente incomprensibile, secondo il quale nel nostro paese una proprietà privata può essere considerata anche un bene di uso comune.