Il Capro Espiatorio
era una capra che veniva allontanata nella natura selvaggia, come parte delle cerimonie ebraiche dello Yom Kippur, il Giorno dell’Espiazione, all’epoca del Tempio di Gerusalemme. Il rito viene descritto nella Bibbia (Levitico, 16), nella Mishnah (Yoma cap. 6) e nel Talmud (Yoma, fogli 66-67). Il sacerdote poneva le sue mani sulla testa del capro e confessava i peccati del popolo di Israele. Il capro veniva quindi allontanato, portando con sé i peccati del popolo ebraico, per essere precipitato da una rupe a circa 10 chilometri da Gerusalemme.
Il Capro Espiatorio oggi si chiama Piero Marrazzo, colpevole di aver trascinato nella melma l’istituzione da lui presieduta. Colpevole, per indicibili debolezze personali, di aver causato la sconfitta dell’alleanza di centrosinistra alla regione Lazio. Colpevole, oltretutto, di non essersi neanche fatto vedere al seggio il giorno delle elezioni, come ultimo e doveroso atto di espiazione. Giù dalla rupe!
Ciò che penso della dolorosa vicenda di Piero Marrazzo avevo già avuto modo di esprimerlo, a suo tempo, su Ffwebmagazine
Per favore, non tiriamo fuori Berlinguer. O Almirante. O l’austerità e la questione morale. C’è già abbastanza moralismo in giro in questi giorni. Grigio e patetico. La vicenda di Piero Marrazzo ricorda gli autodafé dell’inquisizione spagnola. Gli ingredienti ci sono tutti: la solenne messa dei chierici mediatici, la processione attraverso la folla feroce ed esultante, la lettura della sentenza già scritta simbolicamente sulle vesti del reo.
E c’è anche, nella penosa lettera con cui ieri l’ormai ex presidente della Regione Lazio annunciava le sue dignitose dimissioni, il pentimento in extremis e la richiesta del perdono, che salva forse dalle fiamme eterne ma non da quelle del rogo. Marrazzo si augura che gli venga riconosciuto, al di là dei suoi errori personali, di aver operato per il bene comune. Non sappiamo se gli inquisitori e il popolo gli faranno questa grazia e lo manderanno tra le fiamme col sorriso sul volto. Ma a me sarebbe piaciuto che non avesse chiesto scusa. Che non avesse parlato di errori personali (quelli verso la sua famiglia sono questioni tra lui e la sua famiglia, non tra lui e il popolo). A chi dovrebbe chiedere scusa Piero Marrazzo? A chi si è nascosto per anni dietro la sua immagine buona e pia per completare il saccheggio silenzioso e politicamente corretto già intrapreso dai suoi predecessori ai danni dell’istituzione che presiedeva? Scusa per cosa?
A Pier Paolo Pasolini questo trattamento non è stato risparmiato solo perché era morto. Se fosse sopravvissuto a quella incantevole e tragica giornata terminata con la sua morte, avrebbe rivendicato il diritto a non dover rendere conto a nessuno. Non della sua vita privata, ma della sua vita. Pasolini non era così ipocrita da pretendere la distinzione tra pubblico e privato nei comportamenti di un individuo.
Si è salvato, da vivo, dal comunismo austero e piccolo borghese di Enrico Berlinguer e dei salotti post sensattottini, che da morto hanno provato in tutti i modi a rubargli il piacere di quell’ultima giornata, sostenendo in ogni modo che doveva essere andata in un altro modo, che ce l’avevano trascinato. Negando in ogni modo il suo diritto all’amore omosessuale e anche il suo diritto al piacere. Carnale, perverso, vischioso e incantevole. Negando la sua irriducibile libertà. Nell’abbandono del suo monumento scrostato in un campetto di calcio di Ostia è rappresentata l’ipocrisia e il perbenismo dei suoi carnefici.Piero Marrazzo, durante la sua carriera politica e professionale, è stato seduto per troppo tempo sugli scranni dei giudici inquisitori per riuscire a evitare di recitare la parte a lui assegnata nell’autodafé. Ma per favore, non riesumiamo, col solo scopo di sentirci migliori di lui, quell’austerità ipocrita e bigotta dei Berlinguer e degli Almirante. Pasolini un giorno scrisse: «L’Italia è un paese che diventa sempre più stupido e ignorante. Vi si coltivano retoriche sempre più insopportabili. Non c’è del resto conformismo peggiore di quello di sinistra, soprattutto naturalmente quando viene fatto proprio anche dalla destra».
Oggi chi scaraventa giù dalla rupe il Capro Espiatorio può permettersi il lusso di far finta di non sapere che il risultato elettorale del Lazio è stato determinato dalla cattiva amministrazione della sua giunta, e non dalle faccende personali del presidente.
Hai fatto bene, Piero, a non andare a votare.