L’astensione non conta. Ma potrebbe almeno “costare”
Chicago Blog – 03/04/2010
Se non avessi avuto una questione personale con l’assessorato all’agricoltura della regione Lazio, l’offerta politica dei maggiori partiti alle ultime elezioni regionali non sarebbe stata sufficientemente stimolante da indurmi a votare. Nel mercato, astenersi dall’acquisto di un bene o dall’uso di un servizio, anche se questo non significa necessariamente optare per un altro bene, o un altro servizio, comporta sempre delle conseguenze sulle scelte economiche e commerciali di chi produce quel bene, o di chi offre quel servizio. Tutto abbastanza ovvio.
Nel mercato della politica, invece, l’astensione non produce nessuna conseguenza: resta invariato il numero di seggi che vengono assegnati, e resta invariato il rimborso che ogni partito percepisce. Infatti il rimborso viene calcolato sulla percentuale dei consensi che ogni partito ottiene, ma questa percentuale viene automaticamente proiettata sul numero degli elettori, e non su quello, reale, dei votanti effettivi. Ci si divide un montepremi sempre uguale, insomma, a prescindere da quanti biglietti della lotteria siano stati venduti.
Di questo si è occupato Michele Ainis su la Stampa, ripreso poi efficacemente da Phastidio. Se i rimborsi elettorali venissero distribuiti sulla base dei votanti effettivi, l’astensione non si limiterebbe più a mandare dei semplici “segnali” alla classe politica, libera poi di scegliere se coglierli o meno, ma toglierebbe soldi veri alle casse dei partiti, che sarebbero quindi in qualche modo obbligati (o “incentivati”) a produrre un’offerta politica e programmatica più convincente.
Premesso che preferirei che i soldi dei contribuenti non fossero usati per finanziare la politica (e molte altre cose), chiunque volesse presentare una proposta di legge in tal senso avrebbe il mio più completo sostegno. Buona Pasqua.