Energia e sussidi, i pensieri di un rentier
Il diario di due giorni di riflessioni, tra proposte di investimento e seminari scientifici, Libertiamo – 03/05/2010
Mercoledì 28 aprile, ore 15,00. Mi viene a trovare il rappresentante di una società specializzata nell’installazione di pannelli fotovoltaici per la produzione di energia elettrica. Qui in campagna succede abbastanza spesso, negli ultimi tempi, e la proposta è più o meno simile ogni volta. Per risparmiare 1200 euro l’anno di energia elettrica dovrei installare un impianto fotovoltaico da 6 kW, in grado di produrre 8000 kWh annui (sto copiando l’appunto che sintetizza il preventivo, spero di non fare troppa confusione tra chilowatt e chilowattora). Comunque il costo dell’impianto, chiavi in mano, supera i 26.000 euro. Improponibile, ovviamente. Ovviamente, se lo Stato non mi corrispondesse un contributo per ogni kWh prodotto, sia nel caso che il kWh lo usi io, sia nel caso che se lo prenda Enel e lo immetta in rete. 36 centesimi, per l’esattezza, se il pannello lo metto a terra, che diventano 40 se lo metto sul tetto, fino a 44 centesimi in caso di pannello integrato nel tetto.
Facciamo due conti: 8000 per 40 centesimi (usiamo la cifra media) fa 3200 euro all’anno. Per vent’anni, 64.000, a cui va aggiunto il risparmio di 1200 euro in bolletta: 88.000 euro. Beh, niente male. Poi, dato che l’impianto è garantito 25 anni, e il contributo viene corrisposto per venti, gli ultimi 5 anni di vita garantita del pannello (“ma non si preoccupi, in realtà durano molto di più!”) mi permettono solo di risparmiare ulteriori 6000 euro. Un totale di 94.000 euro, quindi, di cui 64.000 pagati dai contribuenti, cioè da voi. Wow! Quasi quasi lo faccio… tanto voi non ve la prendete, anzi, ché è tutto per il bene del pianeta, come diceva l’elegante brochure dell’installatore, piena di prati verdi, soli gialli e cieli blu.
Giovedì 29 aprile, ore 17,30. Sono a Roma, per seguire il seminario di Libertiamo dal titolo “Sole e nucleare, energie non in alternativa”. Parla il professor Paolo Saraceno. Passa tre quarti della lezione a illustrarci i rischi che sta correndo il nostro pianeta: CO2, gas serra, incremento della popolazione, sviluppo, clima. Il tutto condito dai dati dell’ IPCC, Intergovernmental Panel for Climate Changhes, quelli del climategate, per capirsi. Quelli di Al Gore. Potevo fare a meno, penso, di venire fin qua per sentire il solito catastrofista, ché di documentari di NatGeo ne vedo già abbastanza… Eppure, quando si arriva alle conclusioni, la cosa si fa molto interessante. Il professore infatti è più chiaro e categorico che mai: l’unica fonte di energia che attualmente può sostituire i combustibili fossili è il nucleare. L’unica fonte che li può “potenzialmente” sostituire è il Sole. In futuro, però, e a condizione che si metta da parte il fotovoltaico attuale, che costa oggettivamente troppo, e si investa nella ricerca di tecnologie che sfruttino l’energia del Sole con un rapporto costi-benefici più vantaggioso.
Giovedì 29 aprile, ore 23,00. Dopo aver mangiato un boccone con Lucio e Piercamillo sono in macchina, di ritorno a casa. L’autostrada tra Roma e Orvieto è completamente libera, tranne qualche raro autotreno, e ho il tempo per riflettere un po’ su questi ultimi due giorni. Il problema, a quanto sembra, non è tanto la scienza, catastrofismo, scetticismo e via discorrendo. Il problema è l’uso che la politica fa dei dati e delle evidenze scientifiche. La Germania, che sul solare è sempre citata come esempio virtuoso, ha caricato nel 2009 sulle spalle dei suoi contribuenti la bellezza di 10 miliardi di euro, per immettere in rete lo 0,3 percento della domanda energetica nazionale. Una quantità ridicola. Al tempo stesso, però, essendosi mossa in anticipo sugli altri paesi europei, ha creato a suon di sovvenzioni un’industria all’avanguardia nella produzione di celle fotovoltaiche, e oggi chiunque vuole mettere un pannello sul tetto, anche qui da noi, deve avvalersi della sua tecnologia. “E’ tutto materiale tedesco, di prima qualità, può star sicuro” diceva fiero il rappresentante mercoledì pomeriggio. E lo diceva anche il professor Saraceno: stiamo usando grandi risorse per finanziare l’industria tedesca, non per fare qualcosa di buono per il clima e per l’ambiente.
Ovvero, la politica ha usato i dati forniti dalla scienza e l’allarme che gli stessi dati hanno diffuso nell’opinione pubblica per sovvenzionare un comparto industriale sostanzialmente inutile (inutile per l’ambiente, almeno, se parliamo della ricaduta occupazionale è un’altra storia…). Anzi, se gli incentivi alla domanda, come è ovvio, hanno provocato un calo dei prezzi (“lo stesso impianto l’avrebbe pagato più di 30.000 euro qualche anno fa, lo sa?”) hanno al tempo stesso disincentivato la ricerca e l’innovazione: per quale motivo l’industria deve investire nell’innovazione se guadagna già abbastanza bene con la tecnologia attuale? E a che punto sarebbe invece l’innovazione tecnologica se le risorse che oggi vengono disperse in incentivi, o parte di esse, fossero state destinate alla ricerca? E quanto risparmieremmo, tutti, in bolletta, senza il prelievo tariffario obbligatorio per il Conto Energia, da cui provengono gli incentivi?
A questo punto, però, sarebbe il caso che gli scienziati facessero sentire la loro voce, come tenta di fare il professor Saraceno. A cominciare da quelli dell’IPCC, la cui credibilità è stata già messa a dura prova dallo scandalo del climategate e dai sospetti che le evidenze da loro fornite servissero effettivamente da alibi per politiche economiche e industriali già disegnate. Quanto ai miei pannelli, ci sto seriamente pensando. Sono un agricoltore, quindi sono abituato a vivere di contributi pubblici, e un pannello fotovoltaico di 45 metri quadri sul tetto di casa non farebbe che rafforzare la mia posizione di rentier sussidiato. Finché va bene a voi…
Ciao, bel blog. Ti ho scoperto solo ora. Credo proprio tu abbia centrato quello che è il vero problema: l’insano rapporto fra stato, scienza ed industria.
Grazie!
Caro Girodano,
trovo molto stimolante e assolutamente indispensabile lo scetticismo e l’obiettività all’interno e sulla scienza. Ho 22 anni e mi interesso di tematiche ambientali.
Quote: “Un totale di 94.000 euro, quindi, di cui 64.000 pagati dai contribuenti, cioè da voi. Wow!”
Certo, i sussidi li paghiamo noi contribuenti. Siccome però non paghiamo il reale costo (ambientale) di materie tipo il petrolio, bisogna ovviare a questo ‘market failure’. Possiamo farlo internalizzando i costi dell’inquinamento e dell’energia usata nei prodotti o sovvenzionando le fonti energetiche alternative.
Sì, noi paghiamo ‘extra’ per il bene del pianeta. Certo. Siccome però non possiamo prevedere il risultato di tali sforzi e manca una politica mondiale a riguardo, un pò di frustrazione è legittima. Ma l’impegno è d’obbligo.
Quote: “Il tutto condito dai dati dell’ IPCC, Intergovernmental Panel for Climate Changhes, quelli del climategate, per capirsi. Quelli di Al Gore.”
Giusto una precisazione: è Al Gore ad usare alcuni dati forniti dagli scienziati dell’IPCC, non loro ad essere dei suoi. Ed è vero, il climategate è un vero scandalo e c’è del marcio nella scienza. Come 10 anni fa per ricevere fondi dovevi includere la parola AIDS nella tua ricerca, oggi devi farlo con la parola ‘climate change’. Ma spero anche che questo scandalo abbia risvegliato gli animi di molti validi scienziati e richiamato ad uno dei pilastri fondamentali in questo campo: l’obiettività, da ambo le sponde.
Quote: “stiamo usando grandi risorse per finanziare l’industria tedesca, non per fare qualcosa di buono per il clima e per l’ambiente”
Industria e scienza vanno di pari passo, che ci piaccia o no. Come tu stesso noti poco prima, l’industria tedesca ha richiesto a chi di competenza tecnologie d’avanguardia, e le ha ottenute. Per me questo è, seppur indirettamente, investire per il bene del pianeta
Grazie Martina per il tuo commento.
Il fatto è che spesso quando si immettono incentivi sul mercato, si creano distorsioni che sul lungo periodo provocano danni maggiori dei problemi ai quali si vorrebbe trovare soluzione.
Nella fattispecie, diamo anche per assodato (e non lo è) che i cambiamenti climatici potrebbero avere conseguenze tanto catastrofiche per il pianeta da giustificare politiche basate su dati scientifici sui quali ancora c´è molta indeterminatezza.
Noi disponiamo di due fonti energetiche alternative ai combustibili fossili: il nucleare e il sole. Per quanto riguarda il sole, la tecnologia che abbiamo a disposizione, quella del fotovoltaico, è chiaramente antieconomica (e la prova che sia antieconomica sta nel fatto che ha bisogno di consistenti iniezioni di incentivi per diffondersi, altrimenti il mercato l´avrebbe scelta da tempo).
Se noi finanziamo l´acquisto dei panneli fotovoltaici, sia sui tetti delle case ad uso domestico che sulle colline al posto dei campi di grano, secondo me si va incontro ad alcune pesanti controindicazioni.
Innanzitutto, nonostante il prezzo dei pannelli scenda inevitabilmente a causa dell´aumento della domanda, il calo dei prezzi non sarà mai proporzionale al calo che ci sarebbe stato se la domanda fosse aumentata per cause “naturali” di mercato, e questo perché sia i produttori che i rivenditori possono giocare sulla presenza del sussidio. I prezzi dei personal computer, che non hanno bisogno di incentivi per essere acquistati, scendono in maniera molto più rapida. Questo vuol dire che qualcuno, in qualche modo, si mangia gli incentivi, che sono soldi nostri.
In secondo luogo, ed è la cosa peggiore, l´incentivo all´acquisto di una tecnologia non redditizia costituisce automaticamente un disincentivo per i produttori ad investire nella ricerca di tecnologie alternative: per quale motivo dovrei spendere soldi per trovare una tecnologia che sfrutti l´energia solare in modo più soddisfacente se lo stato mi garantisce adeguati profitti incentivando la domanda della tecnologia attuale?
La strada secondo me migliore sarebbe quella di investire nella ricerca, piuttosto che negli incentivi. Ci siamo già passati alla fine degli anni settanta: durante la crisi petrolifera i governi hanno cominciato a sovvenzionare la ricerca di energie alternative, ma finita la crisi i prezzi degli idrocarburi sono scesi a livelli talmente competitivi che nessuno ha ritenuto opportuno andare avanti con la ricerca, né gli investitori privati, né quelli pubblici. Il risultato è che oggi siamo fermi ancora a quel punto.
Ora, secondo me, rischiamo di fare lo stesso errore.