L’agricoltura italiana tutta in un numero: -35,8%
Libertiamo – 14/05/2010
Se poco tempo fa, parlando dell’agricoltura italiana e osservando i dati delle semine di mais degli ultimi anni, avevamo usato la parola “declino”, oggi, alla luce degli ultimi rapporti di Eurostat, pensiamo di essere stati fin troppo delicati: i redditi agricoli reali, in Italia, dal 2000 al 2009, sono diminuiti del 35,8% contro un aumento del 5,3% nell’Ue27. Un dato impressionante, da capogiro.
In realtà il dato europeo è, nel decennio, molto disomogeneo, e a ben vedere non è florida neppure la situazione dei nostri vicini dell’Ue15, che complessivamente registrano un calo medio del 10%. Sono i paesi dell’Europa Orientale, ammessi all’Unione nel 2004 e nel 2007 che alzano la media, con performance anche impressionanti (Lituania +140%, Estonia +131%, Polonia +107%), e questo è dovuto principalmente alla loro recente ammissione al regime di aiuti diretti della Politica Agricola Comune e dagli investimenti che da Ovest erano stati fatti in quei paesi proprio in attesa di poter godere degli stessi contributi su terreni agricoli spesso acquistati a prezzi stracciati.
Ma se si esamina il dato del biennio 2008-2009, la situazione sembra essersi stabilizzata in negativo, con un calo medio dei redditi reali dell’11,6% nei paesi dell’Ue15 e del 12,5% negli altri.
Un disastro. La pacchia dei primi anni di sussidi diretti, nella quale avevamo sguazzato anche dalle nostre parti negli anni ’90, si è già spenta anche nei paesi dell’Est (Ungheria -32,2%), e oggi restano evidenti solo i dati sul crollo dei prezzi all’origine di fronte all’aumento generalizzato di tutte le voci di spesa delle aziende agricole.
E mentre le principali confederazioni sindacali accampano scuse risibili e ricominciano a battere cassa, dando fiato all’unica tromba che sono in grado di suonare, forse è giunto il momento di fare una riflessione seria, perché seria è la situazione che bisogna affrontare.
La PAC si è rivelata una catastrofe. Il tentativo di intervenire sui prezzi e sul mercato agroalimentare ha prodotto solo l’effetto domino intervento – fallimento – nuovo intervento più complesso – nuovo fallimento. Se qualcuno volesse cercare una dimostrazione tangibile di ciò che è abituato a leggere sui manuali di politica economica meno intrisi di virtù keynesiane, ebbene eccola qua, proprio sotto il nostro naso, anche se troppo in basso per essere notata con l’attenzione che merita: l’agricoltura europea.
I tentativi di stabilizzare i mercati agricoli, di contenere i prezzi e di sostenere i redditi che si sono succeduti dagli anni ’60 hanno creato squilibri sempre più complessi da gestire, dal problema dello smaltimento delle eccedenze fino alla situazione attuale, fatta di quote, produzioni contingentate, disincentivi alla produzione accompagnati paradossalmente da incentivi all’investimento, Piani di Sviluppo Rurale.
L’ultima riforma della PAC, nota col nome di Agenda 2000, riducendo gli aiuti diretti e subordinandone una parte al rispetto di requisiti di sostenibilità ambientale e di multifunzionalità aziendale, ha ulteriormente limitato la libertà delle aziende, e accresciuto il potere di tutti gli intermediatori istituzionali, politici e sindacali che sono diventati essi stessi beneficiari di una fetta sempre maggiore dell’enorme massa di finanziamenti che, è bene ricordarlo, costituisce il 45% dell’intero budget dell’Ue.
Sarebbe bene cominciare ripensarci. Sarebbe bene liberare l’agricoltura da quella ragnatela appiccicosa fatta di vincoli, quote, tetti alle produzioni e sussidi che frena la competitività e mortifica la libertà d’impresa. E’ necessario rimuovere gli ostacoli all’accorpamento fondiario insiti nel sistema stesso dei sussidi.
E’ fondamentale liberalizzare l’uso delle biotecnologie (è interessante notare come i paesi europei che hanno meglio contenuto la crisi sono proprio quelli dove è consentita la coltivazione di alcune varietà geneticamente modificate). E’ indispensabile che un’impresa agricola sia lasciata libera di muoversi come meglio crede in un mercato disintossicato dall’intervento pubblico e burocratico, dove i prezzi dei prodotti e il valore dei terreni siano complementari e riconoscibili.
Come ultima annotazione, andrebbe ricordato che anche un sistema fallimentare e mortificante come quello della Politica Agricola Comune può essere gestito meglio o peggio, e in questo sta la differenza, in negativo, tra l’Italia e il resto d’Europa. Continuare a investire solo nella difesa e nella tutela delle nicchie di tipicità dimenticando completamente il grosso della produzione agricola nazionale è stato demenziale e suicida.
Andrebbe ricordato a chi oggi continua a pretendere, per il nostro Ministero delle Politiche Agricole e per gli assessorati delle regioni, una continuità con il passato, nelle politiche e nelle poltrone. Andrebbe loro ricordato un solo dato, chiaro e semplice: 2000 – 2009: -35,8% (2008 – 2009: -20,6%)
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