O preventiva o ritardataria, la giustizia dello ‘Stato dissuasore’
Libertiamo – 18/05/2010
La notizia della concessione degli arresti domiciliari a Silvio Scaglia non cancella, ma rende ancora più evidente lo scandalo delle misure cautelari a cui l’ex patron di Fastweb è stato fin qui sottoposto. Pochi giorni fa Alberto Mingardi aveva ricordato come Scaglia fosse in galera dal 23 febbraio, nonostante non sembrasse esistere nessun pericolo nè possibilità reale di inquinamento delle prove e risultasse a dir poco inconsistente il pericolo di fuga di un inquisito che, avuta notizia all’estero del mandato di cattura, si era subito auto-consegnato alla giustizia.
Mingardi inoltre notava giustamente che le lunghe carcerazioni preventive
consolidano nell’opinione pubblica il legittimo sospetto che gli imputati vengano messi a marcire nelle galere con la neppure velata intenzione di estorcerne una confessione per disperazione.
Lamentare lo scandalo di una detenzione cautelare abnorme non significa assumere una posizione “innocentista” o, nel caso di specie, difendere “pregiudizialmente” Silvio Scaglia dagli addebiti che gli sono contestati. Significa opporsi al fatto che, nel caso di inchieste eccellenti o meno eccellenti, sia pregiudizialmente ribaltato il principio della presunzione di innocenza. Perchè questo è il problema: ogni individuo è innocente fino a prova contraria e in uno stato di diritto la prova contraria può essere dibattuta e dimostrata soltanto durante un regolare processo e non presupposta in base alla gravità delle accuse. Sia che ti chiami Silvio Scaglia, sia che ti chiami Stefano Gugliotta, come il ragazzo che si trovava a passare vicino allo Stadio Olimpico nel momento sbagliato e che probabilmente sarebbe ancora in galera se una circostanza fortunata (come altro potrebbe chiamarsi un filmato ripreso da un balcone che prova l’abuso di cui è stato vittima?) non l’avesse salvato da un’accusa che, per il solo fatto di essere formulata, sarebbe stata pregiudizialmente accettata come “vera”.
Quella contro Scaglia è stata finora una giustizia amministrata in modo troppo preventivo e insieme troppo ritardatario, visto che per l’attenuazione delle misure cautelari si sono dovuti attendere più di ottanta giorni. D’altra parte, il tempo è una “variabile indipendente” nella giustizia italiana, se non per le carriere dei magistrati che, caso praticamente unico al mondo, avanzano costantemente e regolarmente solo per scatti di anzianità. Il tempo è discrezionale, sia nell’attesa e nella durata dei processi, sia, in modalità uguale e contraria, nella durata e nella certezza delle pene.
Non avere messo mano a una seria riforma della giustizia pesa e peserà in negativo sul bilancio dei governi di Silvio Berlusconi molto più delle tante leggi ad personam, se, come dice Mingardi,
il primo ministro continuerà a fare come ha fatto negli ultimi quindici anni, cioè a privilegiare la sua sopravvivenza di brevissimo periodo contro una riforma profonda e incisiva. Cruciale per tutti. Inclusi i magistrati italiani, che per la stragrande maggioranza fanno un lavoro straordinario e non meritano di essere schiacciati sul clichè che ormai viene loro ritagliato addosso. C’è di più e c’è di meglio, nella magistratura italiana, che vocazione all’immobilismo e delirio d’onnipotenza.
Nel paese in cui si fa causa o si preferisce stare in giudizio se si ha torto, mentre sempre più spesso si rinuncia in partenza a far valere i propri diritti in un aula di tribunale, la giustizia e la sua organizzazione castale sono di fatto funzionali alla corruzione, al malaffare e alla prepotenza, checché ne dicano Di Pietro, Travaglio e De Magistris. Nel paese che nel 2009 si piazzava alla posizione numero 156 su 181 paesi per il tempo necessario a una parte lesa per recuperare un pagamento scaduto, una riforma meritocratica della magistratura contribuirebbe, e non sarebbe cosa da poco coi tempi che corrono, a ridare competitività all’economia (la classifica era stata redatta da Doing Business per la Banca Mondiale, e aveva la funzione di orientare gli investimenti nei paesi più efficienti).
Non sarebbe neanche una riforma costosa, anzi, si risparmierebbero soldi e si guadagnerebbe in efficienza, anche per i costi politici che questa estenuante guerra tra caste sta facendo pagare al paese, in termini di credibilità di tutte le sue istituzioni.
Una volta si dibatteva se fosse più efficace la repressione o la prevenzione dei reati. Non ci rendevamo conto che il sistema italiano non prevede nessuna delle due ipotesi: in Italia si preferisce una generica e arbitraria “dissuasione”, che pretende dai cittadini non l’onestà, ma il profilo basso.
Profilo basso allo stadio, come al lavoro o nelle attività imprenditoriali, e naturalmente in politica. Profilo basso per evitare guai, invece che comportamenti onesti per non incorrere in sanzioni. Ed è proprio di questo “Stato dissuasore” che oggi sono vittime Silvio Scaglia, Stefano Gugliotta e, insieme a tanti altri, lo stato di diritto.