Teoria e pratica dell’antisionismo. Condanne a senso unico. Varie ed eventuali.
Libertiamo – 05/06/2010 – Con Marianna Mascioletti
I fatti dello scorso lunedì, e il clamore che ne è seguito sui mezzi d’informazione, paiono affermare con chiarezza che Israele è nei guai. Ancora una volta ha perso una battaglia mediatica, ancora una volta ha offerto il fianco a critiche che ben di rado sono circoscritte ai singoli eventi (tre notevoli eccezioni, per fortuna) e che più spesso si appuntano, più o meno velatamente, sulla questione del diritto di Israele all’esistenza.
In realtà, pare che in questi pochi giorni la notizia si sia un po’ “sgonfiata”. I morti sono dieci in meno rispetto a quelli annunciati inizialmente: da diciannove sono diventati nove. Se fossimo maligni, potremmo commentare che, nell’area, non si è nuovi alle resurrezioni (in ordine cronologico, uno e due); dato che maligni non siamo, non possiamo che rallegrarci del ridimensionamento dei danni, rammaricarci che danni ci siano stati e cercare di capire meglio non tanto quello che è successo lunedì, ma quello che succede ogni volta che Israele, come centinaia di commentatori in tutto il mondo non mancano di rilevare, “sbaglia”.
Capita che Israele sbagli, questo è sicuro: d’altra parte, la convivenza dello Stato ebraico con chi ha per statuto la missione di annientare – oh coincidenza – proprio lo Stato ebraico non dev’essere precisamente delle più facili, e rende quasi impossibile parlare di equidistanza. Troviamo particolarmente adeguata alla circostanza la citazione di Von Clausewitz inserita da Andrea Gilli in questo articolo: “in guerra tutto è semplice, ma anche le cose più semplici diventano difficili”.
Ciò che appare straordinario è il vigore con cui, ancor prima di conoscere con precisione i fatti, gran parte dei media mondiali si precipita sempre a stigmatizzare l’errore e a condannare quella che, ad oggi, è l’unica democrazia del Medio Oriente.
Israele sbaglia, Israele dovrebbe rispettare la legalità internazionale, Israele dovrebbe imparare dai suoi errori e dalle sue sofferenze… D’altronde Israele sconta un peccato originale, quello della sua stessa esistenza, e alla fine il discorso torna sempre lì, al fatto che Israele sarebbe nato in casa d’altri, e se ora il mondo è così magnanimo da concedere ad Israele di esistere, Israele in cambio dovrebbe essere così gentile da lasciar morire la sua gente senza far troppo rumore.
Si ritrovano tutti ad essere paladini della legalità internazionale, quando c’è di mezzo Israele, tanto da prendere sul serio un Sudan che si fa promotore, in seno al Consiglio dell’Onu per i Diritti Umani, di un’inchiesta indipendente sull’abbordaggio della Mavi Marmara, e da non essere sfiorati dall’idea che la cosa possa apparire ridicola. Tanto nessuno lo farà notare.
Colpisce, dunque, il fatto che il legalitarismo non si spinga fino a ricordare che Israele è uno stato riconosciuto dall’assemblea delle Nazioni Unite, nato secondo i progetti dei sostenitori del movimento sionista.
E, signori, la cosa vi sorprenderà, ma “sionista” non è una parolaccia.
Il sionismo politico nacque ufficialmente in seguito all’affare Dreyfus: nella libera e illuminata Francia di fine ‘800, un capitano d’artiglieria dell’esercito francese fu accusato di spionaggio senz’altra prova che il suo essere ebreo (e quindi, per definizione, traditore), degradato e mandato ai lavori forzati.
Lo stato maggiore dell’esercito si rese conto dell’errore e trovò il vero colpevole quasi subito, ma decise di non rivedere la sentenza, poiché ammettere di aver sbagliato per pregiudizi antisemiti sarebbe stato troppo imbarazzante. L’ “affaire” fu infine risolto, dopo più di dieci anni, a favore del povero Dreyfus, che fu reintegrato nell’esercito e riabilitato, sia pure con la salute devastata dagli anni di lavori forzati e l’umiliazione di aver dovuto domandare la grazia, come un colpevole. Questo però fu possibile soprattutto grazie all’impegno del colonnello Picquart (inizialmente anche lui imbevuto del pregiudizio antisemita) e agli infuocati articoli dello scrittore Emile Zola, il più famoso dei quali è lo storico “…j’accuse!”.
Un giovane giornalista, anch’egli ebreo, di nome Theodor Herzl, mandato dal suo giornale a seguire gli sviluppi della vicenda, comprese che in qualunque Paese, anche nella terra dei Lumi, l’antisemitismo avrebbe sconfitto sistematicamente qualunque sforzo per l’integrazione: scrisse perciò “Lo Stato Ebraico”, in cui teorizzava, appunto, il diritto all’autodeterminazione del popolo ebraico, che avrebbe dovuto creare un proprio stato nella Terra Promessa, dove finalmente gli ebrei sarebbero stati al sicuro da un odio antisemita talvolta strisciante, talvolta palese, ma quasi sempre e quasi ovunque presente.
Lo stato d’Israele nacque, dopo varie vicissitudini tra cui lo sterminio di sei milioni di ebrei, il 14 maggio 1948, su quello che era stato fino a poco prima un territorio sotto mandato britannico: subito, come atto di benvenuto, i Paesi arabi confinanti, che avevano rifiutato la proposta di uno stato palestinese (più conosciuta come “Due popoli, due stati”), gli dichiararono guerra, tanto per far capire l’aria che tirava. Israele vinse quella guerra – di difesa, ricordiamolo – e ne ha vinte anche altre: sta però perdendo quella dei mass media, a causa anche dell’abitudine linguistica, ormai comune, di usare la parola “sionismo” come alibi per poter dire degli ebrei esattamente quello che se ne diceva nel classico antisemitismo europeo, ma senza essere accusati di razzismo.
Pensandoci, per chi non ama molto gli ebrei (pardon, i sionisti) è anche comodo averli (quasi) tutti lì, in uno stato democratico, in cui il linciaggio fisico degli oppositori politici non è praticato, e che quindi è facile criticare animatamente sia quando attacca, sia quando si difende, sia quando non fa nulla, così, tanto per non perdere l’allenamento.
Difficile, invece, trovare, non solo tra i filopalestinesi ma anche tra gli “equidistanti”, chi critichi chiaramente, senza mezzi termini, senza se senza ma e senza però, senza dover portare per forza Israele a contrappeso, il fatto che Hamas voglia cancellare l’ “entità sionista” dal mondo, il fatto che addestri i bambini alla lotta armata, il fatto che neghi la Shoah. In fondo so’ ragazzi, so’ vivaci, è carattere. E soprattutto, aggiungiamo noi maligni, non hanno la mano tenera con chi dissente o è sospettato di farlo.
L’antisionismo arabo è chiaramente e dichiaratamente antisemita, questa non dovrebbe essere cosa da meritare troppi approfondimenti, ma quello europeo e occidentale no, è cosa diversa. Dell’antisemitismo, tuttavia, sfrutta caratteri e semplificazioni: nell’individuare sempre e comunque in Israele la causa ultima dei mali del mondo, nel sospirare che in fondo di Israele si sarebbe potuto fare a meno, e che senza staremmo tutti meglio. E, come l’antisemitismo era il “fornitore ufficiale” di alibi per i totalitarismi del ventesimo secolo, oggi è l’antisionismo che ci permette di sorvolare sul fallimento dell’islamismo integralista e delle ideologie residuali del nostro occidente nostalgico.
La legittimità di ciò che fa Israele si può criticare, si dice, senza essere accusati di antisemitismo. Certo. E anche quando per criticare Israele neghiamo ogni logica e ogni evidenza, sorvoliamo su crimini perpetrati altrove, ignoriamo la minaccia islamista al punto di farci prendere per il naso dai fondamentalisti di ogni dove, anche in quel caso forse è ancora improprio parlare di antisemitismo. Ma non è improprio, a questo punto, sostenere che l’antisionismo è ipocrita e genocida almeno quanto l’antisemitismo.
Il nostro è un antisionismo pietoso e compassionevole, anche se si nutre dello stesso sangue dell’antisemitismo nazista. Come l’antisionismo impegnato e sincero di Roberto Vecchioni, che si ritrovò anni fa a cantare il dramma e la sofferenza di Marika, una giovane kamikaze palestinese che fece una strage in un ristorante di Haifa: “Canta Marika canta, come sei bella nell’ora del destino, ora che stringi la dinamite come un figlio al seno”, magari ignorando, poveretto, che prima di farsi saltare in aria Marika trovò il tempo di spingersi nel punto più affollato del ristorante, e di portare vicino a sé una carrozzina con un neonato, ché i sionisti è meglio farli a pezzi da piccoli, e il fatto di essere un sionista di terza o quarta generazione non assolve dai peccati presunti dei sionisti di prima. E che non si provi a dire che Marika ha sbagliato, per carità, è sempre e solo Israele che sbaglia.
L’antisionismo assolve e libera dalla responsabilità individuale, perché ogni crimine perpetrato dai carnefici antisionisti tutto sommato trova origine e giustificazione nelle sofferenze subite dai medesimi, e nella rabbia che tali sofferenze suscitano negli antisionisti occidentali. Perché i sionisti sono come i nazisti, e i palestinesi come gli ebrei, e lo sforzo apparentemente più patetico, ma incredibilmente più fruttifero, degli antisionisti arabi ed occidentali è proprio quello di dipingere Israele per ciò che non è, cioè una nazione di barbari assassini con propositi genocidi.
Israele affama, sfrutta, stermina, massacra, e si compiace del gusto di farlo lentamente. Gaza è il campo di concentramento in cui Israele tiene segregato e uccide un popolo, e deve essere senz’altro così, perché se così non fosse, se a Gaza la popolazione fosse tenuta per caso in ostaggio da Hamas dopo aver preso il potere con un colpo di stato in cui i dirigenti di Fatah sono stati trucidati per strada, se davvero Hamas avesse trasformato Gaza in una zona di guerra permanente, se davvero insegnasse ai bambini ad uccidere gli ebrei, allora forse dovremmo riconoscere che ci siamo sbagliati, e i nostri sbagli, da più di sessant’anni, grondano di sangue ebreo. O sionista, fate voi.
Dai un’occhiata qui:
http://www.blitzquotidiano.it/cronaca-mondo/mo-blitz-marmara-marina-israele-tornate-auschwitz-409097/
e qui:
http://www.blitzquotidiano.it/cronaca-mondo/gaza-flottiglia-blitz-rachel-corrie-409315/
Ma ancora si ritiene che la missione sia apolitica, tesa solo a portare aiuto… quali altre prove si vogliono?
E’ chiaro che l’azione aveva altri scopi, e che qualsiasi cosa Israele avesse fatto ne avrebbe ottenuto solo un danno, sia che avesse lasciato che qualcuno rompesse un blocco navale imposto per la sicurezza dei propri abitanti, sia che avesse, come ha fatto, impedito il passaggio della nave, in questo caso un danno d’immagine. Ma dato che situazioni del genere danneggiano l’immagine di Israele solo agli occhi di persone per le quali l’immagine di Israele non può comunque migliorare, bene fa il governo israeliano ad andare per la sua strada. L’analisi migliore che ho letto è quella che citavamo anche nell’articolo, di Andrea Gilli su Epistemes.org
http://epistemes.org/2010/06/04/la-flottiglia-e-la-flotta/#more-2447
Ottima analisi, a cui semplicemente aggiungo un pensiero di bassa “politica” ma sempre efficace di Francesco Cossiga.
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“Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand’ero ministro dell’Interno…
Ritirare le forze di Polizia dalle strade e dalle Università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città. Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di Polizia e Carabinieri..
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Ma i “cattivacci” “SIONISTI” fortuna non devono sottostare a questi deliri.. e agiscono con puerile semplicità e trasparenza:
C’è il blocco navale? Bene io ti fermo.. “TU” reagisci? Io ti sparo..
Semplice, matematico, azione reazione.. effetto.
Quanto vorrei avere un “GOVERNO” del genere in Italia, quanti teatrini in meno..
E invece no.. forse ha ragione il “PICCONATORE”!
Magari la prossima volta spareranno una granata dalla nave che forza il blocco, la reazione sarà immediata.. non ci saranno supestiti.
AMEN!
Tutti contenti e fine di questa giostrina.