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Viva la Germania

8 giugno 2010

O almeno viva gli Stati tedeschi di Baden-Württemberg, Baviera, Brandeburgo, Meclemburgo-Pomerania occidentale, Bassa Sassonia, Renania Settentrionale-Vestfalia e Schleswig-Holstein dove, nonostante i divieti, sarebbero stati seminati circa 3000 ettari di mais Ogm Mon810

Questo mi fa venire in mente che anche da noi non dovrebbe essere così difficile seminare mais Ogm, a giudicare dagli avvisi affissi negli ispettorati agrari (appena me ne procuro uno ne pubblico una copia) che mettono in guardia gli agricoltori sui rischi che corrono se dovessero seminare Ogm. Tra l’altro si invitano gli agricoltori a verificare i codici dei lotti di seme che acquistano, perché quelli che cominciano con determinate cifre potrebbero essere Ogm (o non Ogm-free), dando ad intendere che la responsabilità è di chi semina, anche inconsapevolmente, e non di chi vende.

Nel frattempo mi auguro che in Germania non venga accolta la richiesta di Greenpeace di distruggere le coltivazioni incriminate, e che si possa cogliere piuttosto l’occasione per fare piazza pulita di un po’ di pregiudizi.

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3 commenti leave one →
  1. 8 giugno 2010 20:00

    Naturalmente l’affermazione è ironica?

  2. Giordano Masini permalink*
    8 giugno 2010 21:50

    A quale affermazione ti riferisci? Ho scritto numerosi post in cui illustro le ragioni per cui sono favorevole agli Ogm.

    Forse quello che illustra meglio la mia posizione è questo:

    https://lavalledelsiele.com/2010/02/08/ancora-sugli-ogm-achille-campanile-e-la-dittatura-della-maggioranza/

  3. Piero Iannelli permalink
    10 giugno 2010 15:24

    Condivido, pienamente..
    Gli ogm sono una realtà.

    Certo non servirà nascondere la testa sotto la sabbia.

    Ci sono alcuni aspetti da chiarire, tanto è che alcuni tipi di mais resistenti alle crittogame, si son rivelati pericolosi anche per delle utilizzati per testarli.

    Ma con oculatezza e studio si possono serenamente utilizzare..

    Altrimenti ci limiteremo ad acquistarli all’estero.

    Basta con questo “NO” a tutto sempre e comunque!

    DEL 28 GIUGNO 2003 è l’articolo: Le menzogne ecologiste
    “Bjo⁄rn Lomborg. Ex ambientalista duro e puro di sinistra, ex dirigente di Greenpeace, docente di Statistica all’università di Aarhusin Danimarca, Lomborg non risparmia le bibbie di quella che lui definisce la “litania” ambientalista: per esempio l’annuario State of the World, il Worldwatch Institute, il Wwf. Anzi, pezzo per pezzo, statistica dopo statistica, smantella il terrorismo psicologico verde che ha dominato la politica di questi anni. Con questo non si vuole dire che tutto vada bene. Solo che la via politica ambientalista, no global, fricchettona, movimentista paga pegno all’ideologia su cui si fonda.
    L’ambiente e, soprattutto il paesaggio vanno preservati dagli scempi e dai verdi, ma a partire da altre motivazioni, con altre aspirazioni, evitando i soliti luoghi comuni.”

    “Ecoimperialisti e profeti di sventura”.Un lungo articolo da cui estraggo alcune considerazioni.
    Come ha sottolineato Maria Teresa Cometto in un articolo pubblicato su Corriere Economia (2 febbraio 2004), il Ddt è però “ostracizzato dai gruppi ecologisti occidentali, Greenpeace e Wwf in testa, e dal Pesticide Action network, secondo cui il Ddt è dannoso per la salute umana e soprattutto per l’ambiente”. Secondo gli organizzatori del convegno questo tipo di battaglia delle associazioni ambientaliste è un esempio drammatico degli estremi a cui può arrivare l’ecoimperialismo, “un movimento ideologico animato essenzialmente da benestanti, che vuol imporre il suo punto di vista a milioni di poveri, disperati, africani, asiatici e latino-americani, incurante del loro diritto a una vita migliore”. Roger Bate dell’American Enterprise Institute ha spiegato che il bando del Ddt è costato 10 milioni di vite negli ultimi decenni. “Nel 1996 il Sudafrica ha voluto entrare nel club occidentale che non usava il Ddt – ha dichiarato Bate – ed in una stagione i casi di malaria sono passati da poche migliaia a 65 mila. La reintroduzione del Ddt nel 2000 ha diminuito i casi di malaria dell’80 per cento in 18 mesi. La malaria porta via 1 milione di africani all’anno, soprattutto giovani”.
    Gar Smith, del Earth Island Institute, considera assurdo che 2 miliardi di persone nel mondo vivano senza elettricità, e poi le associazioni ambientaliste si oppongono alla costruzione di dighe ed impianti idroelettrici. “Essi, oltre a fornire energia, potrebbero contribuire all’erogazione di acqua pulita, a fronte di 6 milioni di vittime all’anno per infezioni intestinali”.
    Patrick Moore, già co-fondatore di Greenpeace, ha ammesso: “I movimenti ambientalisti hanno perso la loro obiettività, moralità ed umanità”. Nel suo intervento al convegno del Core ha concluso: “Il dolore e la sofferenza che (il movimento ambientalista – ndr) infligge alle famiglie dei Paesi in via di sviluppo non può più essere tollerato”.

    Michael Crichton, nell’appendice del suo ultimo libro Stato di Paura, scrive di un filo diretto che lega le teorie eugenetiche degli anni ’20 e ’30 con la teoria del “riscaldamento globale” dei nostri giorni. “Entrambe razziste, avversano lo sviluppo e il progresso delle popolazioni povere”.

    Ma ovviamente i vertici non disprezzano di arricchirsi! Come leggo da:
    Greenpeace fra terrorismo ecologista e affari
    Tuttavia, nonostante la crisi, le casse della multinazionale verde sembrano mantenere una certa consistenza, specie stando a un’inchiesta giornalistica condotta in Francia, che calcola in 73,9 milioni di dollari i “fondi neri” di Greenpeace, riserve strategiche a cui soltanto tre persone avrebbero accesso, tramite una rete inestricabile di fondazioni e di associazioni depositarie di conti in Svizzera e praticamente impossibili da identificare.

    Un documentario “proibito”
    Informazioni ancora più dettagliate iniziano ad affiorare il 14 novembre 1993, quando, nonostante i tentativi di Greenpeace di bloccarne la messa in onda, TV2 Denmark, emittente televisiva statale danese, trasmette The Man in the Rainbow, un filmato che, a tutt’oggi, nessun’altra emittente televisiva risulta che abbia potuto riprendere sui propri palinsesti.
    Anche in Italia, nulla da fare. Una videocassetta contenente una copia del documentario, consegnata a eminenti direttori di testate giornalistiche televisive, sia pubbliche che private, non è riuscita a ottenere l’approvazione per la messa in onda.
    Questo, se da un lato conferma che si tratta di un argomento scottante, testimonia anche del terrore che l’apparentemente ingenua organizzazione “verde” incute ai responsabili dei mezzi d’informazione.
    Il contenuto, confrontato con le notizie riportate a proposito della multinazionale ecologista, getta effettivamente una luce inquietante sull’ideologia, sulla natura e sugli scopi di Greenpeace, oltre che sui mezzi illeciti per conseguire gli scopi stessi.
    La vicenda è raccontata da testimoni che potremmo definire “pentiti verdi”, che cioè non rinnegano il proprio impegno ambientalista, non si schierano a favore dei test nucleari e non fanno concorrenza a Greenpeace. Sono semplicemente suoi ex aderenti che denunciano una situazione sulla quale dovrebbe forse fare chiarezza la magistratura di quei paesi, come l’Italia, dove Greenpeace opera. Interviene con una testimonianza anche Ron Arnold, scrittore ed editore statunitense, studioso dei movimenti ecologisti, che spiega le motivazioni di fondo dell’ideologia verde definendola “catastrofista” poiché è basata sulla convinzione che ogni intervento umano provochi una catastrofe ambientale. L’estrema conseguenza di queste premesse, secondo Ron Arnold, conduce a “fermare gli umani”.
    Stando a questo documentario, i leader di Greenpeace hanno trasferito decine di migliaia di dollari, donati dai loro benefattori, in conti bancari privati. Lo afferma Frans Kotte, ex economo di Greenpeace in Olanda. Dalla sua base di Amsterdam, Frans Kotte lavorava un tempo a stretto contatto con gli uffici contabili di Greenpeace International ed era in grado di controllare i flussi finanziari attivati dal movimento in diverse nazioni.
    Frans Kotte testimonia dell’esistenza di conti bancari privati per decine di milioni di dollari, costituiti dalle offerte date alle campagne di Greenpeace. I conti bancari servivano per costituire holding accessibili esclusivamente ai vertici dell’organizzazione, compreso l’ex presidente David McTaggart, presidente onorario di Greenpeace International dal 1991. Secondo il documentario, il denaro è stato raccolto con i contributi di diverse campagne, come Salviamo le balene, Salviamo le foreste pluviali e Salviamo la fascia di ozono.
    Inoltre, il servizio televisivo fa emergere le complicità di Greenpeace con organizzazioni terroristiche internazionali, in particolare con Earth First!. I documenti mostrati nel filmato fanno stato di un imponente flusso finanziario che va da Greenpeace a Earth First!, “Prima la Terra!”, un gruppo specializzato in “ecotaggio”, vale a dire in atti di sabotaggio a difesa della “Madre Terra”.

    Codialmente

    Piero Iannelli

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