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Di stalle e di stelle

10 giugno 2010

Una bella puntata, quella di ieri di Annozero, a cui va riconosciuto il merito di aver portato sotto le luci della ribaltà la realtà degli allevamenti italiani e padani. Una realtà (che avevamo spesso tentato di descrivere su questo umile blog) fatta di costi che superano i prezzi e di imprese che chiudono, in continuazione, senza che nessuno se ne accorga. Una puntata inquietante, un lungo documentario che lascia di stucco, nonostante la voce narrante abbia già capito tutto, ed indica con incrollabile sicurezza i responsabili: le multinazionali, il mercato, la globalizzazione, gli speculatori.

Ma per fortuna le immagini del servizio sono molto più eloquenti delle chiacchiere del narratore, che si affanna ad inseguire camionisti in giro per l’Europa alla ricerca di qualche multinazionale e di qualche speculatore, magari nascosto al casello del Brennero, e trova solo piccoli impianti di piccoli truffatori che rigenerano il latte in polvere con la connivenza di qualche funzionario pubblico che gli fa intascare anche il contributo per abbassare ulteriormente il prezzo, e un’allevatrice ungherese che ripete lo stesso mantra ormai così rassicurante anche dalle nostre parti, che il latte ungherese è buono, che è sottoposto a mille controlli, ma che arrivano le industrie e glielo portano via per due soldi, e in Ungheria si beve latte di chi sa dove….

Il réportage ha il merito di avere evidenziato la natura criminogena dell’intervento pubblico in agricoltura, del sistema asfissiante fatto di quote e tetti alla produzione, che inchioda le aziende ad un desolante presente e impedisce loro di trovare soluzioni se non in un desolante passato. Tanto c’è il Carlin Petrini di Slow Food che sa già come fare: formaggi di malga per tutti, che son più buoni.

Ed è soprattutto di Giorgio Fidenato, di Agricoltori Federati, il merito di aver ricondotto la discussione in studio su binari più corretti, di fronte ad un paio di ragazzi seppelliti dai debiti delle loro aziende agricole che chiedevano ancora e sempre aiuto alla politica, quella stessa politica che li ha cacciati nei guai, e che nei loro guai sguazza come Zio Paperone nei dollari. Abolire quote e sussidi, restituire libertà alle aziende. In Nuova Zelanda, quella stessa Nuova Zelanda che ora ci fa concorrenza, l’agricoltura ha cominciato a crescere proprio quando sono stati aboliti i sussidi, e chi vuole può leggere il racconto di questa straordinaria esperienza nel resoconto di Brian Chamberlin: Farming and subsidies, debunking the myths.

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4 commenti leave one →
  1. 10 giugno 2010 15:29

    complimenti per il suo articolo molto bello e anche alla trasmissione annozero che ha avuto il coraggio (e non poteva essere da meno) di aver mostrato a tutti come stanno le cose nel mondo dell’agricoltura in special modo nel settore lattiero-caseario.

  2. 10 giugno 2010 19:23

    Desolante l’allevatore che vuole i le quote per gli altri paesi e la produzione libera per sè. Più che altro fulgido esempio di “imprenditore” come ormai siamo costretti a chiamare gente che non intraprende più una beneamata.

  3. Giordano Masini permalink*
    10 giugno 2010 20:46

    In realtà, Rod, la ripartizione delle quote latte tra i diversi paesi europei è particolarmente svantaggiosa per i produttori italiani, e questo lo si deve al ministro dell’agricoltura dell’epoca che andò a trattare la cosa a Bruxelles (mi pare che fosse Pandolfi) con tanta cognizione di causa da ignorare la produzione reale di latte in Italia, e che dovette quindi accettare la ripartizione proposta dagli altri paesi. L’Italia non può effettivamente produrre più della metà del proprio fabbisogno interno, mentre ad altri paesi sono stati garantiti margini di sviluppo.
    Per questa ragione sia i governi che le associazioni sindacali agricole avevano sempre suggerito agli allevatori di “splafonare” la loro quota, ché tanto il governo avrebbe risolto la cosa. I produttori italiani sono stati presi in giro due volte, quindi, dato che ora gli tocca pagare le multe, e se si dà per buono il sistema delle quote sicuramente dovrebbero essere rinegoziate, ma gli altri paesi ovviamente non accettano una riduzione.

    La cosa migliore secondo me sarebbe fare a meno di qualsiasi quota e di qualsiasi tetto alla produzione, e che ognuno a casa sua produce quel che gli pare, quanto gli pare, e come gli pare.
    La stessa situazione c’è nel vino: per poter piantare un vigneto devo acquistare un “diritto” di impianto il cui valore è spesso superiore alla terra stessa. Una follia.

  4. 10 giugno 2010 20:53

    OTTIMO!

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