Quote latte (inique) e Lega Nord (furba). Le trappole che Galan vuole disinnescare
Libertiamo – 15/07/2010
Parlare della questione delle quote latte non è semplice, perché la materia è complessa (e delicata) e non si sa mai bene da dove cominciare. Si può cominciare dal 1984, quando il cosiddetto regime del “prelievo supplementare” è stato istituito, oppure dalle polemiche di questi giorni, nate dalla reazione del ministro dell’Agricoltura Giancarlo Galan a un emendamento alla manovra economica presentato dal “solito” Azzolini e ispirato dalla Lega Nord, con il quale si tenta di dilazionare al 31 dicembre il pagamento delle multe Ue per i produttori di latte che non hanno rispettato le loro quote.
Io preferisco cominciare da una data intermedia, benché recente – il 18 novembre 2008 – quando l’allora ministro dell’Agricoltura, il leghista Luca Zaia, salutava con queste parole (da tenere a mente) l’aumento del 5% della quota nazionale italiana concesso da Bruxelles:
Vittoria storica per l’Italia: sulle quote latte chiudiamo una vicenda lunga 24 anni. Non ci saranno sanatorie. Prima si procederà alla regolarizzazione e al pagamento delle multe, poi si passerà alla distribuzione delle quote agli splafonatori. Avere le quote per il futuro non può prescindere dalla regolarizzazione. Si tratta di riportare alla legalità coloro i quali, in virtù di un sistema iniquo, sono stati costretti a lavorare al di fuori della legalità.
Si trattava – è bene ricordarlo – di un provvedimento ad hoc concesso agli allevatori italiani, che avrebbero potuto usufruire in una volta sola dell’aumento del 5% della quota italiana, a differenza degli altri paesi che avrebbero aumentato la loro quota dell’1% l’anno per 5 anni. Una misura rivolta in particolare a quegli allevatori che hanno continuato a produrre per anni latte al di sopra della quota loro assegnata, e che si sarebbero visti assegnare le quote che mancavano loro. Unica condizione, mettersi in regola con il passato, ed evitare all’Italia un ulteriore procedura d’infrazione, dopo quelle che in vent’anni sono costati ai contribuenti circa 4 miliardi di euro.
Fatta questa premessa, cerchiamo di capire cosa sono le quote latte. In teoria ed in realtà, e non potrebbe essere altrimenti, ognuno è libero di produrre quanto vuole. Il sistema del “prelievo supplementare” prevede un prelievo finanziario per ogni litro di latte prodotto oltre un certo limite. Dato che la sua entità coincide più o meno col prezzo di mercato del latte, produrre oltre il limite assegnato (quota) significa produrre, vendere e non venire pagati (e pagare comunque l’IVA sulle fatture emesse). Anche perché sono gli acquirenti del latte a svolgere la funzione di sostituto d’imposta per l’esazione del prelievo supplementare (aspetto non irrilevante, anche questo da tenere a mente).
Un sistema sicuramente iniquo: è iniquo impedire a un imprenditore di produrre ciò che vuole e quanto vuole, e anche se si aggira il problema lasciando agli allevatori una libertà formale, un tributo di una simile entità è difficilmente giustificabile. Un sistema sbagliato, perché tende alla conservazione dello status quo contingentando la produzione di latte in Europa ai valori del 1983, e criminogeno, perché ha creato un mercato parallelo delle quote, che gli allevatori devono acquistare per poter incrementare la produzione (un mercato generalmente intermediato dalla politica e dalle organizzazioni sindacali). Un sistema che ha imposto alle imprese un nuovo e assolutamente non necessario costo d’impresa, e che in cambio le ha messe al riparo dai rischi e dalle opportunità della concorrenza.
Un sistema, però, al quale gli allevatori italiani si sono dovuti adeguare. A meno di non godere di tali e tante protezioni politiche e commerciali da poter aggirare il sostituto d’imposta e riscuotere comunque il prezzo del latte prodotto in eccedenza. Qui, a mio avviso, sta il nocciolo della questione. Perché in una situazione normale produrre di più non significava rischiare le multe: significava semplicemente non essere pagati. Per la maggior parte degli allevatori italiani produrre latte in eccedenza non era neanche un’opzione possibile. Invece, negli ultimi vent’anni, alcune stalle sono cresciute oltre ogni logica vendendo il latte non si sa bene come e non si sa bene a chi. Gli stessi che oggi vanno al Brennero a vigilare sulla purezza ariana del nostro Made in Italy caseario.
Se fino ad alcuni anni fa era possibile compensare alcuni piccoli “splafonamenti” all’interno della propria associazione di produttori (io e altri nove allevatori potevamo formare una cooperativa o un gruppo d’acquisto, sommare le nostre quote, e se compravo dieci vacche in più potevo giocare con i cali di produzione degli altri soci) oggi anche questo non è più possibile: la compensazione su una certa percentuale di eccedenze è consentita, ma viene gestita a livello nazionale, e solo al termine di ogni campagna, il 31 marzo di ogni anno.
Quindi, uscendo dalla retorica leghista sulle famiglie padane costrette a lavorare al di fuori della legalità, bisognerebbe cominciare a guardare il problema nel suo insieme, un insieme in cui chi produceva il latte condivideva le sue belle responsabilità con chi il latte lo acquistava e lo pagava, e con chi, a livello politico, ha consentito per anni abusi del genere, salvo poi eclissarsi quando da Bruxelles hanno cominciato a piovere le multe. Sanzioni che hanno colpito, questo è vero, l’anello più debole della catena (gli allevatori, ma a guardar bene finora hanno pagato solo i contribuenti italiani: com’era quella storiella del Nord che paga per tutti?).
Oggi, invece, gli splafonatori si guardano bene dal chiedere che venga messo in discussione il sistema stesso delle quote latte, in modo da restituire a tutti gli allevatori la libertà di cui essi hanno avuto la fortuna (chiamiamola così) di godere, ma chiedono ancora una volta alla politica (magari cambiano i partiti, e il bianco si colora di verde…) di poter beneficiare, di nuovo a spese nostre, di un sistema iniquo da una posizione privilegiata.
E tornando ai giorni nostri, il tentativo leghista di dilazionare a fine anno il pagamento delle multe è inutile per gli allevatori, ai quali qualche mese d’ossigeno non cambierebbe la vita, e sommamente stupido per il governo, che si vedrebbe costretto a sostenere il costo di un’inevitabile procedura di infrazione (e a scaricarlo ancora una volta sui contribuenti), oltre al danno di credibilità insostenibile proprio alla vigilia delle discussioni per l’elaborazione della riforma della Politica Agricola Comune.
Galan ha fatto bene a ricordare quali potrebbero essere le conseguenze (e le responsabilità) di questo continuo mobbing messo in atto nei suoi confronti dai seguaci del suo predecessore. Al quale, invece, basterebbe ricordare le sue stesse parole, datate 18 novembre 2008.
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