Fine pena mai
Come ogni anno, di questi tempi ricorre l’anniversario della strage di Bologna (quest’anno sono trenta), con il suo penoso strascico di polemiche da ballatoio. Per quel che mi riguarda, l’epitaffio a memoria della strage resta scritto in un articolo del Corriere della Sera di un anno fa, quando Giusva Fioravanti, condannato all’ergastolo come esecutore materiale della strage e di molte altre cose, estinse il suo debito con la “giustizia” italiana.
Valerio Fioravanti, 51 anni compiuti nel marzo scorso, è un uomo libero nonostante il «fine pena mai» stampato sui suoi fascicoli perché così prevede la legge. Senza gli sconti concessi a «pentiti» o «dissociati» della lotta armata ma grazie ai benefici previsti per tutti i detenuti. Ergastolani compresi. Dopo ventisei anni trascorsi in cella (che in realtà sono un po’ meno grazie all’abbuono di tre mesi per ogni anno, altra regola generale), se hanno tenuto «un comportamento tale da farne ritenere sicuro il ravvedimento», hanno anch’essi diritto alla liberazione condizionale: cinque anni di prova senza rientrare in carcere nemmeno la notte, durante i quali restano il divieto di allontanarsi dal Comune di residenza e altri obblighi. Fioravanti, arrestato nel 1981, l’ottenne a primavera del 2004, e quindi adesso la sua pena è «estinta», come recita il codice.
È successo a decine di ex-terroristi di sinistra e di destra, e pure gli altri due condannati per la strage di Bologna sono su quella strada. Francesca Mambro, moglie di Fioravanti, è in «condizionale » da quasi un anno; Luigi Ciavardini, per il quale la sentenza definitiva è arrivata solo nel 2007, è «semilibero» dal mese di marzo: la sera deve tornare in carcere, ma di giorno può uscire. Forse anche per questo lo slogan scelto dall’Associazione «2 agosto 1980» per il ventinovesimo anniversario grida: «La certezza della pena in questo Paese è riservata esclusivamente alle vittime e ai loro familiari».