Libertà religiosa e proprietà: a pochi passi da Ground Zero, Bloomberg spiega la tolleranza newyorchese
Libertiamo – 09/08/2010
Ci sono state molte polemiche, a New York e negli Stati Uniti, attorno al controverso progetto di realizzare una moschea e un centro di cultura islamica in un edificio a pochi passi da Ground Zero. Probabilmente la parola fine a queste polemiche è stata posta dal sindaco di New York, il repubblicano Michael Bloomberg, che con questo discorso pubblico (del quale pubblichiamo qui sotto una traduzione integrale) ha salutato positivamente il voto del City Land Preservation Commission che non ha esteso all’edificio in questione lo status di “simbolo nazionale”, spianando di fatto la strada alla realizzazione della moschea. In questo discorso non si fa cenno ad un malinteso concetto di “integrazione” come valore sociale del quale le autorità pubbliche dovrebbero avere un ruolo di attiva promozione, caro al progressismo europeo. Ma al tempo stesso rifiuta di cedere alla tentazione di una difesa della sicurezza nazionale che passa per le scorciatoie della discriminazione: “That may happen in other countries, but we should never allow it to happen here”. Buona lettura.
Siamo venuti qui a Governors Island dove i primi coloni misero piede a New Amsterdam, e dove i semi della tolleranza religiosa furono piantati per la prima volta. Siamo venuti qui ad ammirare il simbolo ispiratore di libertà che, più di 250 anni più tardi, avrebbe accolto milioni di immigrati nel nostro porto, e siamo venuti qui per affermare, più forte che mai, che questa è la città più libera del mondo. Questo è ciò che rende New York speciale, e differente, e forte.
Le nostre porte sono aperte per chiunque, chiunque abbia un sogno e la voglia di lavorare sodo e di giocare secondo le regole. New York City è stata costruita da immigrati, ed è costituita da immigrati, da persone provenienti da più di cento differenti nazioni, che parlano più di duecento lingue e che professano ogni tipo di fede. E sia che i tuoi genitori siano nati qui, sia che tu sia arrivato qui ieri, tu sei un New Yorker.
Non sempre possiamo andare d’accordo con ognuno dei nostri vicini. Questa è la vita ed è una parte del vivere in una città così densa e variegata. Ma riconosciamo anche che è parte dell’essere newyorchesi il vivere con i nostri vicini in reciproco rispetto e tolleranza. E’ stato esattamente questo spirito di apertura e accoglienza ad essere stato attaccato l’undici settembre. Quel giorno, più di tremila persone sono state uccise perché qualche fanatico assassino non avrebbe voluto che noi godessimo della libertà di professare le nostre religioni, di pensare con le nostre teste, di perseguire i nostri sogni e di vivere le nostre vite.
Di tutte le nostre preziose libertà, la più importante può essere considerata quella di pregare chi ci pare. Ed è una libertà che, anche in una città che affonda le sue radici nella tolleranza olandese, è stata faticosamente conquistata lungo molti anni. Alla metà degli anni ’50 del ‘600, i membri della piccola comunità ebraica insediata in Lower Manhattan chiesero al governatore olandese Peter Stuyvesant il permesso di costruire una Sinagoga, e fu loro negato.
Nel 1567, quando Stuyvesant proibì anche ai quaccheri di svolgere riunioni, un gruppo di non-quaccheri del Queens sottoscrisse la “Flushing Remonstrance”, una petizione in difesa del diritto dei quaccheri, e di chiunque altro, di praticare la loro religione in libertà. E’ stata probabilmente la prima petizione formale per la libertà religiosa nelle colonie americane, e i suoi promotori vennero sbattuti in carcere, quindi banditi da New Amsterdam.
Nel ‘700, mentre la libertà religiosa prendeva piede in America, ai cattolici di New York era di fatto proibito praticare la loro religione, e i sacerdoti potevano essere arrestati. Il risultato fu che la prima parrocchia cattolica di New York City non fu edificata prima del 1780, St. Peter a Barclay Street, solo un isolato a nord del World Trade Center e un isolato a sud della proposta moschea.
Questa mattina, il City Landmark Preservation Commission, all’unanimità, ha votato per non estendere lo status di “simbolo” alle costruzioni di Park Place, dove è prevista la realizzazione della moschea e del community center. La loro decisione è basata unicamente sul fatto che ci fosse o meno una rilevanza architettonica nell’edificio. Ma “simbolo” o meno, non c’è nulla nella legge che può essere usato per impedire ai proprietari di aprire una moschea all’interno di un edificio esistente. Il fatto, molto semplice, è che quell’edificio è una proprietà privata, e i proprietari hanno il diritto di usare quell’edificio come luogo di culto.
Il governo non può in nessun modo negare quel diritto, e qualora provasse a farlo, i tribunali senza dubbio lo censurerebbero per aver violato la Costituzione degli Stati Uniti. Qualunque cosa si possa pensare della realizzazione della moschea e del community center, nel clamore delle discussioni si è perduta una questione di fondamentale importanza: può il governo tentare di negare a dei privati cittadini il diritto di realizzare, in una proprietà privata, un luogo di culto della loro particolare religione? Potrebbe accadere in altre nazioni, ma non permetteremo mai che accada qui. Questa nazione è stata fondata sul principio che il governo non sceglierà mai tra le religioni, in favore di una piuttosto che di un’altra.
Il World Trade Center occuperà sempre un posto speciale nella nostra città e nei nostri cuori. Ma negheremmo la parte migliore di noi stessi, e ciò che ci rende newyorchesi e americani, se dicessimo ‘no’ ad una moschea in Lower Manhattan. Non dobbiamo dimenticare che c’erano molti mussulmani tra coloro che vennero assassinati l’undici settembre, e che molti mussulmani hanno pianto con noi, come americani e come newyorchesi. Tradiremmo i nostri valori, e ci metteremmo nelle mani dei nostri nemici, se trattassimo i mussulmani in modo diverso da chiunque altro. Per questa ragione, io credo che questo sia un importante banco di prova della separazione tra chiesa e stato, ed è di importanza cruciale fare le cose per bene.
L’undici settembre del 2001 migliaia di uomini del pronto intervento accorsero eroicamente sulla scena del disastro e salvarono decine di migliaia di vite umane. Più di quattrocento di loro non ne uscirono vivi. Mentre correvano all’interno di quei grattacieli in fiamme, nessuno di loro chiedeva “Quale Dio invochi nelle tue preghiere? Qual’è la tua fede?” L’attacco è stato un atto di guerra, e i nostri pompieri hanno difeso non solo la nostra città, ma anche la nostra nazione e la nostra Costituzione. Non onoreremmo le loro vite negando i principi costituzionali per la difesa dei quali essi perirono. Onoreremo le loro vite difendendo quei principi, e la libertà che i terroristi hanno attaccato.
Certo, è corretto chiedere agli organizzatori della moschea di mostrare qualche speciale attenzione per la situazione, e infatti il loro progetto prevede di andare oltre le barriere attraverso la realizzazione di un centro interconfessionale. Facendo ciò, è mia speranza che la moschea sia di aiuto per rendere la città più unita e che aiuti a ripudiare la falsa e ripugnante idea che gli attacchi dell’undici settembre siano in qualche modo coerenti con la dottrina islamica. I mussulmani sono parte della nostra città e della nostra nazione esattamente come ogni individuo di ogni fede, e sono i benvenuti a esercitare il loro culto in Lower Manhattan, così come chiunque altro. Infatti, hanno pregato nello stesso sito per la maggior parte dell’anno, come è loro diritto.
La comunità locale di Lower Manhattan ha votato in schiacciante maggioranza per sostenere il progetto, che va avanti. Io mi aspetto che il community center e la moschea si aggiungano alla vivace vita culturale del quartiere e dell’intera città. Le controversie politiche vanno e vengono, ma i nostri valori e le nostre tradizioni perdurano, e non c’è quartiere della nostra città che sia off-limits per l’amore e la pietà di Dio, come possono confermare i leaders religiosi che sono qui con noi oggi.
Il tutto sarebbe anche giusto in linea ideale, ma non si fanno i conti con il fatto che chi ha commissionato quella moschea è legato a doppio filo con i fratelli musulmani e si rifiuta di definire hamas un movimento terroristico, di conseguenza non credo che il parlare di integrazione sia esatto, e, allo stesso modo, è sbagliato parlare di sola proprietà quando si vogliono lasciare associazioni del genere libere di “piantar bandiera” nel luogo in cui un certo tipo di fanatismo religioso ha procurato tanto dolore e cambiato la storia.
Inoltre non credo che bloomberg possa esser definito un paladino di libertà e proprietà al punto di dare lezioni
Ho proprio sottolineato che il discorso di Bloomberg non parla di integrazione. Parla di libertà religiosa e di diritti di proprietà. D’altronde ci sono molti americani ed europei (non mussulmani) che rifiutano (purtroppo) di considerare Hamas un gruppo terroristico, ma non per questo ci possiamo sentire in diritto di privarli delle libertà fondamentali, tra le quali c’è quella di potere esercitarer la loro religione in un edificio esistente di proprietà privata.
E’ americano (con pieni diritti) chi “gioca secondo le regole” a prescindere dal Dio che prega, e la sicurezza viene garantita vigilando sui comportamenti, impedendo agli individui di violare le regole, non allontanando una moschea qualche isolato più in là. Da noi, in mancanza di certezza del diritto e delle pene, si preferisce venire incontro alle legittime richieste di sicurezza dei cittadini attraverso scorciatoie inutili e controproducenti come quella di impedire (solo formalmente, ovviamente) a un gruppo di individui di praticare pubblicamente la loro religione. L’unico risultato evidente, oltre a una palese violazione delle libertà individuali, è quella di cementare ancora l’identità “di gruppo” di quelle persone e di convincerle ancor di più a tenere atteggiamenti ostili verso la nazione in cui vivono. Tanto poi un posto per pregare (di nascosto) lotrovano lo stesso. In un paese in cui lo stato stringe intese e concordati con le diverse confessioni religiose, garantend0 ad ognuna di esse privilegi particolari, e in cui i luoghi di culto vengono edificati su terreni pubblici, questo è il minimo che possa accadere.