Soldi di cacio
mezzo chilo di vero pecorino italiano in più a famiglia nell’arco di un anno sarebbe sufficiente per salvare la pastorizia italiana
Elementare. Come ogni trovata della Coldiretti, negli ultimi tempi. Potremmo suggerire anche di comprare un auto in più, un motociclo, e sedie, tavoli e ogni genere di masserizia. Tutti salvi, tutti grati alle famiglie che acquistano ciò di cui non hanno bisogno per salvare il culo a chi non riesce a produrre secondo le loro aspettative.
Il problema, come sempre, è un po’ più complesso. E se i pastori che sono scesi ieri a Roma hanno ragione nel protestare contro le contraffazioni, sarebbe più onesto se chi li vuole rappresentare stimasse, tanto per dire, i costi della certificazione, ovvero quanto costa ottenere prodotti con metodi antieconomici (benché tradizionali) al fine di ottenere un’etichetta attraverso un (costoso) meccanismo burocratico.
Quanto costano quei passaggi che altrove non sono necessari e che mettono il nostro made in Italy agroalimentare in una posizione di fatto svantaggiata rispetto ai concorrenti, che pur non dovendo chiamare con nomi italiani i loro formaggi, sono in grado di farli altrettanto buoni a costi inferiori.
Quanto costa continuare a barattare un’etichetta sempre meno credibile con la libertà di realizzare economie di scala più vantaggiose sia per i produttori che per i consumatori.