La moschea di Milano. Tutto è possibile nel paese delle religioni di Stato
Libertiamo – 13/09/2010
C’è una differenza forse impercettibile (infatti non viene per lo più percepita) ma pesante come un macigno tra la vicenda della moschea di Ground Zero e quella della moschea di Milano, e questa differenza sta nel ruolo dello Stato. Il sindaco di New York Michael Bloomberg l’aveva spiegato abbastanza chiaramente:
Non c’è nulla nella legge che può essere usato per impedire ai proprietari di aprire una moschea all’interno di un edificio esistente. Il fatto, molto semplice, è che quell’edificio è una proprietà privata, e i proprietari hanno il diritto di usare quell’edificio come luogo di culto. Il governo non può in nessun modo negare quel diritto, e qualora provasse a farlo, i tribunali senza dubbio lo censurerebbero per aver violato la Costituzione degli Stati Uniti.
Qualunque cosa si possa pensare della realizzazione della moschea e del community center, nel clamore delle discussioni si è perduta una questione di fondamentale importanza: può il governo tentare di negare a dei privati cittadini il diritto di realizzare, in una proprietà privata, un luogo di culto della loro particolare religione? Potrebbe accadere in altre nazioni, ma non permetteremo mai che accada qui.
Questo significa che negli Stati Uniti si può pensare ciò che si vuole dell’opportunità di realizzare a proprie spese una moschea in un edificio privato a pochi passi da Ground Zero. Si può ritenere che sia un affronto e un’offesa alla memoria di quanti perirono l’undici settembre del 2001. Non solo lo si può pensare, ma lo si può anche dire. Si può urlare la propria rabbia e la propria indignazione. Ma non si può pretendere che un’autorità pubblica lo impedisca.
Se a New York le autorità pubbliche sono entrate nel dibattito, è stato solo perché il City Landmark Preservation Commission era chiamato a decidere se sugli edifici di quell’isolato potesse essere esteso lo status di monumento nazionale. E’ apparso subito chiaro che l’edificio non aveva una rilevanza che giustificasse un vincolo del genere, e che un voto in quella direzione sarebbe stato solo un provvedimento ad hoc per impedire la realizzazione della moschea. Correttamente la commissione si è attenuta a quanto le spettava e il dibattito è rientrato nell’unico alveo possibile, quello dei diritti individuali.
Qui da noi la storia è un po’ diversa: non si sta discutendo infatti se i mussulmani milanesi abbiano o meno il diritto di farsi la loro moschea, ma se sia giusto o meno che questa moschea venga realizzata su suolo pubblico e a spese dei contribuenti. Anzi, si dà praticamente per scontato che il diritto a praticare la propria religione debba essere garantito attraverso il diretto intervento dello Stato. E non potrebbe essere altrimenti, in un paese in cui le chiese vengono previste già nei piani regolatori.
In Italia l’interdipendenza tra lo Stato e le confessioni religiose viene sancito già nella Costituzione, che con l’articolo 7 acquisisce i Patti Lateranensi come carta che regola il rapporto tra Stato e Chiesa Cattolica, e con l’articolo 8 stabilisce che lo Stato regoli i rapporti con le altre confessioni mediante apposite intese.
Il principio che ne consegue, piuttosto aberrante da un punto di vista liberale, è che la religione non è più un fatto individuale, ma pubblico, e che lo Stato può arrogarsi il diritto di concedere privilegi di diversa natura a diversi gruppi religiosi sulla base dell’opportunità politica contingente, e quali di questi gruppi siano meritevoli di ottenere questi privilegi (tra i quali può esserci quello per cui i comuni si fanno carico dell’edificazione dei luoghi i culto) e quali no. Infatti per stipulare un’intesa un gruppo religioso deve avere ottenuto il riconoscimento della personalità giuridica (!) ai sensi della legge n. 1159 del 24 giugno 1929, su parere favorevole del Consiglio di Stato, e poi condurre una trattativa con il governo.
Il fatto che non esista in Italia un’autorità islamica che possa trattare con lo Stato a nome di tutti i mussulmani (che strano, la realtà ancora una volta non riesce ad essere compressa negli schemini e nelle casistiche burocratiche) ha finora impedito la stipula di un intesa, ma se le questioni religiose sono affari di Stato, allora ognuna delle opinioni espresse nel dibattito di questi giorni è altrettanto legittima.
Si può sostenere che per favorire l’integrazione con i numerosi immigrati di fede islamica sia opportuno realizzare la moschea, oppure si può ritenere che il fatto che non esista un’intesa con l’Islam sia sufficiente a far sì che la moschea non venga fatta. Si può pensare che l’aggressività più o meno latente della comunità islamica renda opportuno un atteggiamento remissivo, e si può pensare, per le stesse ragioni, l’esatto contrario.
Si può dire che se un diritto (o un privilegio) è garantito alle altre confessioni, questo debba essere garantito anche ai mussulmani, così come si può rivendicare che senza reciprocità certi diritti non vanno concessi. Fino a sostenere, come ha fatto un membro del governo in carica, che sia compito dello Stato quello di chiudere le moschee che ci sono, piuttosto che favorirne l’apertura di nuove.
Per capire la differenza tra la moschea di Lower Manhattan e quella di Milano basta paragonare il discorso di Michael Bloomberg che ho citato all’inizio con la proposta di legge regionale del vicegovernatore lombardo Andrea Gibelli, leghista (ogni principio costituzionale ha, evidentemente, i garanti che merita), il quale pretenderebbe che la regione debba contingentare il numero dei luoghi di culto, stabilire distanze minime tra l’uno e l’altro, proibire la preghiera nei centri culturali e sottoporre i progetti a referendum popolare. E che si vanta anche di prendere ispirazione, per il principio di reciprocità, dalla legislazione egiziana (perché non da quella iraniana o saudita?).
Sono tutte opinioni legittime nel paese delle religioni di Stato. Ma qualsiasi decisione verrà presa sulla moschea di Milano, sarà inevitabilmente una decisione politica, che proprio per questo potrà essere ribaltata al prossimo alito di vento dalla prossima maggioranza. Una decisione presa sulla base di una bramosia regolatoria completamente indifferente ai diritti fondamentali degli individui, del tutto assente tra i principi che fondano la carta costituzionale degli Stati Uniti d’America.
Update – Simona Bonfante mi ha fatto notare, giustamente, che nell’articolo c’è un’imprecisione: i mussulmani milanesi si sono dichiarati da tempo disponibili a realizzare la moschea a loro spese e quindi la discussione non verte tanto su eventuali risorse pubbliche da destinare all’opera, quanto sull’autorizzazione che spetterebbe alla regione. Chiedo scusa per l’errore, dovuto probabilmente alla mia distanza dalle faccende milanesi e forse da un’eccessiva fretta nel commentare la notizia. Ma nonostante il racconto cambi in maniera sostanziale, non cambia di molto la sua morale, che riguarda comunque la legittimità per un’autorità pubblica di entrare nel merito di decisioni che dovrebbero restare (e altrove restano) nell’ambito dei diritti individuali.