La Toscana rispolvera l’annona
Non si finisce mai d’imparare. Questa è l’ultima sorpresa dal fantasmagorico mondo della viticoltura socialista toscana (grazie a Gianpaolo Paglia per la segnalazione). Pare che d’ora in avanti, se ci fosse qualche problema nella commercializzazione dei vini Doc, Docg e Igt toscani, la regione potrà adottare misure finalizzate a migliorare e stabilizzare il mercato dei vini stabilendo specifiche norme di commercializzazione. Che in sostanza vuol dire la possibilità di ricorrere al blocco temporaneo delle vendite di vino, per una durata massima di 36 mesi e fino alla percentuale massima del 30% della produzione complessiva effettiva di vino dell’annata di riferimento.
Certo, si tratta di una misura estrema, che può essere applicata solo nel caso in cui si verifichino alcune rarissime condizioni (rarissime come la quinta, per esempio)
- variazioni consistenti del mercato
- aumento delle giacenze
- diminuzione delle richieste di imbottigliamento
- particolare andamento climatico
- altre condizioni tali da giustificare l’adozione di una misura
L’idea è che contingentando anche il prodotto (oltre la materia prima), un po’ come fa l’Opec col petrolio, si riescano a spuntare prezzi migliori sul mercato, trascurando il fatto che mentre se la benzina non c’è o l’aspetti o la paghi quel che costa, se non trovi una bottiglia di Monteregio, o se costa troppo, le alternative (grazie a Dio) non mancano.
Californiani, Sudafricani, Australiani, Cileni e chi più ne ha più ne metta, visibilmente commossi, sentitamente ringraziano.
sembra un film, ma e’ vero.
Salve,
mi permetto di riportare la questione entro la cornice legislativa che le è propria, e che dal
post sul mio blog si evince chiaramente: la normativa adottata dalla Regione Toscana è soltanto di attuazione della già vigente normativa a livello comunitario ex art. 113 quater del Reg. CE n. 1234/2007. Nella normativa comunitaria si legge infatti: “Per migliorare e stabilizzare il funzionamento del mercato comune dei vini, comprese le uve, i mosti e i vini da cui sono ottenuti, gli Stati membri produttori possono stabilire norme di commercializzazione intese a regolare l’offerta, in particolare in attuazione di decisioni adottate dalle organizzazioni interprofessionali (…) Tali norme sono proporzionate all’obiettivo perseguito e:
a) non riguardano le operazioni che hanno luogo dopo la prima commercializzazione
del prodotto;
b) non permettono la fissazione di prezzi, nemmeno orientativi o raccomandati;
c) non rendono indisponibile una percentuale eccessiva del raccolto di
un’annata che sarebbe altrimenti disponibile;
d) non prevedono la possibilità di rifiutare il rilascio degli attestati
nazionali e comunitari necessari per la circolazione e la commercializzazione
dei vini, se la commercializzazione è conforme alle regole
summenzionate.”
Questo per doveroso diritto di cronaca, per cui mi sembra che parlare di decisione del “mondo della viticoltura socialista toscana” non sia appropriato, piuttosto parlate del “mondo della viticoltura socialista di Bruxelles”, cosa peraltro che non mi sembra proprio veritiera visti i venti di liberalizzazione (degli impianti etc) che attraversano il Reg. 1234/2007 per quanto concerne il settore vino.
Inoltre si tratta di misure che in altri paesi sono adottate già da molto tempo, e il CIVC dell’AOC Champagne ne è un esempio lampante: l’unica differenza tra noi e loro è che i cugini transalpini hanno una capacità di “fare squadra” che noi non conosciamo proprio, per cui ogni qualvolta viene deciso un provvedimento a livello di Comité Interprofessionnel, dopo trattative che coinvolgono effettivamente tutta la filiera produttiva, questo viene rispettato da tutti siano essi soli produttori di uve, o vinificatori, courtiers e negociants, piccoli produttori indipendenti o grandi maisons quali Moet Chandon etc. La Champagne dal punto di vista di gestione del mercato (scelta del prezzo delle uve prima della vendemmia e non modificabile successivamente, quantità prodotte etc) è una “macchina da guerra” che andrebbe insegnata a scuola.
Inoltre aggiungo che queste misure di stabilizzazione del mercato saranno presumibilmente adottate su proposta e iniziativa esclusiva dei Consorzi di Tutela, difficile (se non impossibile) pensare che la Giunta Regionale si attivi autonomamente. Se, come dovrebbe essere, i Consorzi di Tutela sono espressione e rappresentazione della filiera produttiva della DO di riferimento, ecco che il sistema di democraticità viene garantito.
Bernardo, grazie per le precisazioni. Il fatto però che l’iniziativa provenga dai produttori, se da un lato non mi stupisce affatto, dall’altro mi sembra l’aspetto più desolante di tutta la vicenda.
Ma davvero si può pensare che bloccando il prezzo delle uve prima della vendemmia si fa un servizio alla qualità e alla concorrenza? La Champagne ha un mercato un po’ particolare, tra l’altro, con poca concorrenza (finora), ma continua, mi pare, a perdere quote di mercato. Perché potrai vincolare produttori di uve, vinificatori, courtiers e negociants, piccoli produttori indipendenti e grandi maisons, ma non potrai mai impedire al consumatore di scegliere una bottiglia su un altro scaffale, dove la sua “domanda” incontrerà un”offerta” più adatta alle sue aspettative, più che a quelle dei produttori.
E infatti continua a perdere quote di mercato l’intera filiera vitivinicola europea (su questo hai ragione, il problema è prima europeo che toscano) proprio a scapito di quei produttori che non si fanno dire da nessuna autorità pseudopubblica come devono fare il vino (e quanto), ma lo fanno bene, nella quantità richiesta dal mercato e al prezzo migliore.
Il mercato non si “gestisce”. Il mercato si affronta con le proprie capacità e la propria inventiva. E se si decide di produrre meno inseguendo l’illusione di salvaguardare la rendita di prezzi fuori mercato, altri prendono il posto.
Quanto alla “democraticità” del sistema, io credo che un sistema sia democratico se è libero. Ovvero se io posso essere un produttore, mettiamo il caso, di Chianti Classico, perché produco il mio vino in un dato luogo e in un dato modo, ma posso decidere di venderlo nella quantità che voglio e al prezzo che voglio, a mio esclusivo rischio e pericolo. Se qualsiasi autorità ha il potere di impedirmelo, che sia la regione o il consorzio, allora è un sistema, nel suo piccolo, totalitario.
@Bernardo. La UE infatti ha sempre applicato una politica dirigistica in agricoltura, ed in questo rispetto non e’ infatti meglio della “toscana socialista”. In particolare il vino sembra essere, chissa perche’, particolarmente messo sotto tutela. Dopo aver cercato invano, ed infatti smetteranno, di controllare l’offerta con i contributi alla distillazione, una bella torta da 400 milioni l’anno che di fatto le eccedenza contribuiva a creare, si sono inventati questa enormita’ di cui stiamo parlando.
I consorzi di produttori devono giustamente definire le regole, con appositi disciplinari, per dire come si fa un prodotto, ma e’ assolutamente aberrante che decidano come, quando e quanto ne posso vendere.
Dal momento che io ho rispettato il disciplinare, ho i vigneti in regola (rispettando anche la regola, altrettanto illiberale, che mette i blocchi ai nuovi impianti), posso o non posso fare le mie scelte imprenditoriali liberamente? La risposta della UE, recepita di corsa dalla solerte e socialista toscana (dove io vivo), dice di no.
Mi vien da ridere a pensare ai business plans che si portano in banca per richiedere un mutuo, nella riga della produzione annuan bisognera’ metterci: dipende dal consorzio!
Al di la delle mille considerazioni su questa aberrazione, non ultima quella che in una denominazione sono contemporaneamente produttori virtuosi che hanno un mercato adeguato alla LORO offerta, e produttori non virtuosi che non hanno un mercato adeguato alla loro offerta, e che in questo modo si penalizza chi lavora bene a vantaggio di chi lavora male, nella speranza che anche quest’ultimo possa vendere di piu’ o guadagnare di piu’ senza alcun merito, si e’ mai sentita di una legge che mette il “blocco” alla produzione delle scarpe perche’ l’industria e’ in crisi? O della automobili, o delle penne biro, o di qualunque altra cosa, tranne il vino!
Follia pura, e pure condivisa da molti, segno tangibile della scarsa cultura liberale del nostro declinante e declinato paese.
@Bernardo. Lo Champagne e’ infatti in forte crisi oggi, grazie proprio alle politiche sbagliate degli scorsi anni che hanno portato all’estensione della zona di produzione, ad una produzione per ettaro enorme, sopra i 150 qli in media, e al non rispetto dei massimali di produzione per ha, costantemente sforati nell’omerta’ di tutti. Il risultato sono cali di vendite fino al 30%.
Le organizzazione dei produttori, i consorzi che non sono padroni di una denominazione ma solo i custodi, dovrebbero decidere le regole, sulla base della tutela del marchio allo scopo di produrre un vino di maggior qualita’. Le regole di produzione sono importanti, la definizione della zona di produzione, le rese per ettaro, l’invecchiamento, ed infine la promozione. Sta poi al produttore conformarsi a dette regole se vuole produrre un certo vino. Ma le regole funzionano solo se a) sono uguali per tutti b) salvaguardano la liberta economica e di impresa degli imprenditori c) non sono soggette ad eccezioni “temporanee” piegandosi alla volonta’ di alcuni, anche se maggioranza.
Ripeto ancora: e’ immaginabile che la confindustria decida di bloccare il 30% della produzione della Fiat, tanto per fare un esempio, perche’ c’e’ crisi nel mercato dell’auto?
In piu’, sei sicuro che i consorzi abbiano base democratica? Non e’ cosi’, la democrazia vuol dire un voto per testa, mentre e’ noto che per legge nei consorzi i voti vengono pesati sulla base della produzione dei vari soci. Tanto per fare un es., nel Consorzio del Morellino per molti anni la Cantina Cooperativa ha pesato in modo determinante: sarebbe lecito che se per caso la cantina avesse dei problemi di vendite facesse bloccare la produzione anche agli altri?
Prevedo disastri, ricorsi al Tar ecc, tutto per non voler accettare che se si fa impresa si rischia con i propri soldi.