Il consumo di vino diminuisce in Italia. C’è da preoccuparsi? No.
Il consumo di vino in Italia non e’ mai stato cosi’ basso, lo dice l’Agea, attestandosi per la prima volta al di sotto dei 20 milioni di ettolitri. E’ un male? Secondo me no.
Se guardiamo le cifre con attenzione, vediamo che negli anni settanta il consumo era di tre volte superiore, con 60 milioni di ettolitri, pero’ a perdere terreno sono stati sopratutto i vini senza Denominazione di Origine, i quali sono invece passati da 6.4 a 9.1 milioni di ettolitri negli ultimi venti anni. Si beve meno, ma si beve meglio quindi, e con maggior consapevolezza. Il consumo di vino passa da mero alimento a bene voluttuario, con una spesa maggiore per bottiglia (immagino, anche se non ho i dati per questo).
Che cosa dovrebbero attendersi i produttori di vino, che in Italia si ritorni a bere 100 litri pro-capite come ai tempi in cui l’economia era essenzialmente agricola? Tutti sanno che il consumo di vino in dosi giornaliere limitate (due o tre bicchieri al giorno) puo’ avere effetti positivi sulla salute, ma che il consumo eccessivo ha invece effetti negativi importanti.
L’Italia si allinea quindi ad un consumo da paese piu’ civile, non e’ quindi un bene questo? Certo, sara’ piu’ difficile trovare mercato per qull’oceano di vino indistinto, senza merito ne’ qualita’, che viene prodotto da vigne non vocate, in zone non vocate, in quantita’ volutamente eccessive per ettaro, che non ha e non puo’ avere un mercato, ne’ in Italia ne’ nel mondo. Come e’ successo per molti altri beni tradizionalmente prodotti in Italia, si salveranno solo quelle produzioni qualificate, legate nel caso del vino ad un territorio ben preciso e vocato, con un prezzo medio sicuramente piu’ elevato ma che puo’ avere un mercato in Italia, e sopratutto nel mondo, quando esso venga percepito come un giusto valore da parte del consumatore che giustamente diventa sempre piu’ esigente ed informato.
I nodi strategici sono quindi due:
- Qualita’ e rispondenza al territorio
- Promozione nel mondo perche’ il vino italiano sia esportato dappertutto, sfruttando l’incredibile traino dato dall’Italian food, valore aggiunto che poche nazioni oltre noi possono avere e dove forse siamo ancora i primi (a dispetto della nostra goffaggine in materia di promozione).
E le altre produzioni? Il loro futuro e’ segnato gia’ da molto tempo. Sono in piedi solo grazie ai generosi sussidi dei contribuenti europei (italiani in prima fila), che prima o poi verranno meno, anche grazie alla fine dei premi per la distillazione di crisi prevista dalla nuova OCM. Si devono mettere in campo sostegni per le persone che vogliono uscire dal ciclo produttivo e che non hanno possibilita’ di riconvertirsi a produzioni di qualita’ e di mercato, ma si deve cancellare per sempre la tentazione di sostenere produzioni che non hanno nessun futuro, e forse anche poco passato.
Un riordino delle Denominazioni di Origine sarebbe anche urgente, eliminando tutte quelle non rivendicate, che sono molte, e accorpando tutte quelle minuscole (in Toscana solamente ve ne sono 20 che hanno meno di 100 ettari l’una), tranne quelle che abbiano una vera storia e un valore aggiunto particolare che ne giustificano l’esistenza.
E sopratutto, basta piangere lamentandosi del destino cinico e baro, e cominciare al lavorare seriamente nella direzione giusta. I soldi ci sono, che non vadano sprecati come spesso accade.
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