L’impronta idrica agricola e zootecnica tra leggende e realtà. Seconda parte
Bradley G. Ridoutt del CSIRO Australia e Stephan Pfister dell’ ETH di Zurich, in una loro nota pubblicazione hanno lanciato l’allarme sul rischio siccità nelle zone ad alto stress idrico invitando i politici ad intervenire per ridurne l’impronta idrica. Ma cos’è la cosiddetta impronta idrica o water footprint? Questa è la definizione nel sito della Commissione Europea alla sezione ambiente:
L’impronta idrica di una nazione corrisponde al volume totale dell’acqua utilizzata per produrre i beni e i servizi consumati dai suoi abitanti. Poiché non tutti i beni consumati sono prodotti all’interno dei confini nazionali, l’impronta idrica tiene conto sia delle risorse idriche domestiche sia dell’acqua utilizzata in altri paesi.
In pratica l’impronta idrica è formata da due componenti:
- l’impronta idrica interna che è la quantità di acqua prelevata necessaria a produrre i beni e servizi prodotti e consumati internamente al paese
- e l’impronta idrica esterna che deriva dal consumo di tutte le merci importate, consolo quelle alimentari e calcola l’acqua prelevata per la produzione nel paese esportatore.
Cito sempre dal sito della Commissione Europea:
Com’era prevedibile, nei paesi più caldi dell’Europa meridionale l’impronta idrica pro capite è maggiore che nel più fresco Nord, dato che nella statistica sono comprese tanto l’irrigazione e l’agricoltura quanto l’industria. In cima alla lista spicca la Grecia, che consuma 2.389 m3 d’acqua per abitante l’anno, a fronte dei 684 della Lettonia.
Se si escludono l’agricoltura e l’industria, invece, è la Svezia ad avere i consumi più alti (121 m3 per abitante l’anno), mentre i Paesi Bassi sono i più morigerati (28 m3).
L’impronta idrica della Cina è pari a 700 m3 per abitante l’anno, ma solo il 7% è riconducibile a beni e servizi prodotti all’estero.
Il Giappone, al contrario, con un’impronta globale di 1.150 m3 per persona l’anno, deve il 65% della sua impronta idrica ai beni e ai servizi prodotti all’estero.
L’impronta idrica degli USA è pari a 2.500 m3 pro capite l’anno.
Ricordarsi di chiudere un rubinetto è facile. Ma vi siete mai soffermati a pensare a quale volume d’acqua sia necessario per produrre il cibo che mangiate, gli abiti che indossate o l’auto che guidate? La maggior parte dell’acqua che usate rientra in questa “impronta virtuale.
Per stimare l’impronta idrica interna ed esterna viene considerato tutto il volume di acqua dolce prelevata dall’uomo, senza distinzione tra consumo effettivo ed utilizzo. Quindi l’impronta idrica ha poco a che fare con il ciclo dell’acqua, la cui alterazione va stimata dopo aver fatto il bilancio tra prelievo di acqua e il ripristino delle risorse. L’impronta idrica indica solo il prelievo, ma non è detto che questo determini un’alterazione nel ciclo dell’acqua.
Ad esempio Jeremy Rifkin intervistato sul blog di Beppe Grillo ha detto:
E infine, una cosa che tutti dovrebbero discutere col vicino di casa: non abbiamo acqua! Questo le aziende energetiche lo sanno ma la gente no. Prendete la Francia, la quintessenza dell’energia atomica, prodotta per il 70%. Questo e’ quello che la gente non sa: il 40% di tutta l’acqua consumata in Francia lo scorso anno, e’ servita a raffreddare i reattori nucleari. Il 40%.
Ma raffreddare le centrali termoelettriche non distrugge l’acqua e non ne altera il ciclo. L’acqua dal fiume torna al fiume, e una quota diventa vapore che torna nei fiumi con le piogge, quindi è soprattutto un utilizzo di acqua superficiale e non un consumo di acqua di falda con depauperamento delle risorse idriche. Il problema al limite è la mancanza di acqua nei periodi siccitosi, che si risolve da sempre con le dighe. Io abito di fronte ad una centrale termoelettrica a gas che utilizza l’acqua del Po’ per il raffreddamento e nelle annate siccitose come nel 2003 per assicurarsi il volume di acqua necessario hanno approntato una dighetta provvisoria di massi per rallentare il flusso del fiume.
Tra l’altro ci sono impianti di raffreddamento che utilizzano l’acqua marina, il più noto è l’impianto di climatizzazione dell’Opera House di Sydney, ma nessuno si sogna di dire che gli australiani consumano l’acqua di mare. Eppure la Commissione Europea nel calcolo dell’impronta idrica conteggia anche l’utilizzo di acqua per raffreddare le centrali termoelettriche, cito:
Risparmiare acqua non significa soltanto fare attenzione quando beviamo o ci laviamo. Oltre alla rete idrica pubblica, anche l’industria, l’agricoltura e il turismo sono fra i principali consumatori. La quota più alta, tuttavia, se ne va per la produzione di energia, che nell’UE ne assorbe il 44%, contro il 24% dell’agricoltura, il 17% della rete idrica pubblica e il 15% dell’industria….Il sito Web “Water Footprint”, gestito dall’Università di Twente (Paesi Bassi) e dall’UNESCO-IHE Institute for Water Education, fornisce alcuni dati statistici interessanti:
- Per produrre 1 kg di carne di manzo servono 15.500 litri d’acqua.
- Per preparare una tazza di caffé servono 140 litri d’acqua.
- Per produrre 1 kg di granturco servono 900 litri d’acqua.
Per calcolare la vostra impronta idrica, potete utilizzare il calcolatore on line
Un altro sito on line per calcolare la propria impronta idrica è quello di H2O Conserve. In entrambi i casi quello stimato non è il consumo di acqua ma il prelievo, e ritengo che sia un errore clamoroso confonderli. L’impronta idrica dei prodotti è tutta l’acqua prelevata durante le fasi di produzione, compresa quella prelevata per produrre le materie prime importate, e necessarie alla produzione, come cereali e proteici per i prodotti zootecnici. Quindi la stima che fa il sito water footprint dell’Unesco non è per nulla indicativa del rischio di depauperamento idrico. Sarà una convenzione, ma serve solo a fare una confusione tremenda perché gli stati del Nordeuropea potrebbero avere un impronta idrica molto elevata senza però intaccare le risorse idriche, e viceversa nell’Europa meridionale.
In un recente studio cioè Bierkens et al 2010 degli scienziati olandesi hanno stimato con un modello la differenza tra l’acqua prelevata e quella ripristinata dal 1960 al 2000 cioè il depauperamento globale delle risorse di acqua dolce, e hanno scoperto che è raddoppiato, soprattutto a causa dello sviluppo dell’agricoltura in India e Cina, ma anche in questo caso hanno considerato tutti i prelievi di acqua di falda compresi quelli per l’irrigazione senza alcuna distinzione tra utilizzo e consumo reale di acqua dolce.
La mappa in fig 2 tratto dal lavoro prima citato di Bierkens et al 2010 , indica le zone sul pianeta dove c’è stato un depauperamento reale delle risorse idriche in 40 anni di prelievi. Le zone con il maggior depauperamento (zone più scure) sono in Pakistan, nel nordovest dell’India e in alcune aree degli USA.
La mappa in fig 3 tratta dal rapporto FAO 2006 sintetizza la distribuzione nel mondo di suini, avicoli, grandi e piccoli ruminanti, il dato riguarda il peso vivo allevato al km quadrato.Vorrei far notare come le aree a maggior densità zootecnica europee, come il nord Italia, la Danimarca, i Paesi bassi, il Belgio, e la Bretagna , ma anche mondiali come il nord America e il sud America, evidenziate nella mappa in fig 3, non abbiano avuto alcun depauperamento delle riserve idriche sotterranee. Questo lo si può verificare dal confronto tra la mappa del depauperamento idrico (fig 2) e quello della distribuzione mondiale degli animali zootecnici (fig 3).
La mappa in fig 4 tratta dal rapporto FAO 2006 mostra l’estensione delle coltivazioni nel mondo. Anche le aree a maggior coltivazioni non coincidono con le aree a maggior depauperamento delle risorse idriche in fig 2. Il confronto delle tre mappe (fig 2-3-4) evidenzia che le aree europee, nordamericane, e americane dove vi è più sviluppo agricolo e maggior carico zootecnico, non hanno avuto nessun depauperamento delle risorse idriche, in 40 anni, a dimostrazione che l’acqua prelevata dalla filiera agrozootecnica non era un consumo, ma un utilizzo, le uniche eccezione sono delle piccole aree della costa ovest degli USA, e aree più estese in Pakistan, e in India.
Secondo Bierkens et al il prelievo di acqua di falda antropico contribuisce a circa il 25% del rateo di innalzamento del livello dei mari. Gli studiosi hanno considerato tutti i prelievi di acqua sotterranea, compresi quelli per l’irrigazione senza alcuna distinzione tra utilizzo e consumo reale di acqua dolce, il modello utilizzato considera come ricarica della falda solo le precipitazioni, e non vi è accenno invece alle infiltrazioni in falda dell’acqua di irrigazione. Nelle tecniche a scorrimento o a sommersione, come per le risaie, la perdita per drenaggio sotto superficiale può raggiungere il 70% del totale dell’acqua utilizzata a seconda del tipo di terreno coltivato. Tanto che nei terreni sabbiosi non si può coltivare il riso con la tecnica a sommersione perché l’acqua drena rapidamente in falda e il riso secca.
Il modello dei ricercatori olandesi non considera il ripristino della falda per drenaggio nel caso si utilizzi acqua superficiale per l’irrigazione come in realtà nella maggioranza dei volumi di irrigazione. In Cina è noto l’enorme calo di portata dei fiumi durante il periodo di irrigazione delle risaie, ebbene il volume di acqua mancante nei fiumi andrà a rimpinguare le falde anziché defluire in mare.
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