Di bufale e bufalari
Che il web sia il mare più pescoso per la cattura dei boccaloni è cosa nota da tempo. Un po’ meno scontato è il modo in cui le bufale si diffondono e acquisiscono la dignità di verità rivelata e indiscutibile. Prendiamo l’ultima: è di qualche giorno fa la notizia, che ha cominciato a diffondersi sotto forma di catena di Sant’Antonio virtuale, secondo la quale il latte pastorizzato potrebbe essere ribollito più e più volte dopo la scadenza (alla temperatura di 190 gradi!), e che quindi la maggior parte dei cartoni reperibili sugli scaffali altro non sarebbero che invenduti sottoposti a tale trattamento. Trattamento legale, sostengono gli anonimi diffusori della notizia, come dimostrerebbero le cifre stampigliate sul fondo del cartone ad indicare il numero di “ribollite” subite dal prodotto.
Finché una scemenza del genere si diffonde via email è tutto nella norma: un po’ meno se la si ritrova su siti a 5 stelle, blogs e forum a uso di mamme e piccini, magazine di tutela del consumatore, o giornali locali in cerca di materiale per riempire spazi vuoti, ovvero da mezzi di informazione che dovrebbero verificare le notizie prima di pubblicarle. E sorprende che non sia il semplice buon senso a far intuire l’inganno (chissà cosa resterebbe del latte se venisse bollito a 190 gradi…), ma che debbano intervenire professori, nutrizionisti e associazioni professionali a spiegare l’arcano, così come è stato spiegato dal Corriere della Sera.
E sorvoliamo sul legittimo sospetto che la bufala in questione sia parte della campagna religiosa contro il latte pastorizzato e in difesa della discutibile (benché ovviamente più che legittima, basta conoscerne i rischi) abitudine di consumare latte crudo, in cui si sono specializzati leghisti, grillini e Petrini.