Agricoltura ed emissioni: l’impatto (reale) del biologico
Il WWF ha lanciato uno studio dal titolo Carrello della spesa virtuale che dovrebbe quantificare le emissioni per ogni alimento acquistato e quindi l’impronta ambientale delle diverse diete. E’ stato creato grazie alla collaborazione del prof. Riccardo Valentini dell’Università di Napoli. Cito dal suo curriculum: “l’attività del Prof. Valentini inoltre si è indirizzata alle questioni di politiche ambientale globale e sviluppo sostenibile. Nel 2007 è stato insignito del Premio Nobel per la Pace, insieme ad altri scienziati del Comitato Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC), per le ricerche relative ai cambiamenti climatici”. Insieme a lui la prof.ssa Simona Castaldi e il prof. Mauro Moresi dell’Università della Tuscia.
Privilegia prodotti biologici: L´agricoltura biologica non solo consente di disporre di cibi più sani ma comporta anche una serie di benefici ambientali sia in termini di eliminazione dell´uso di sostanze particolarmente impattanti quali pesticidi, diserbanti e concimi chimici, sia rispetto ai cambiamenti climatici in atto. È, infatti, noto come le coltivazioni biologiche siano in grado di migliorare fortemente la capacità dei suoli di assorbire e fissare il carbonio, sottraendo così anidride carbonica dall´atmosfera. Un campo coltivato con metodo biologico sequestra oltre 5 volte il carbonio di uno coltivato con metodologie convenzionali (basato su monocolture, arature profonde, con l´uso di diserbanti, concimi e pesticidi). Alle pratiche agricole biologiche sono anche solitamente associati minori consumi di energia dovuti all´impiego di tecniche e macchinari meno energivori rispetto a quelli usati nelle coltivazioni convenzionali. Peraltro l’agricoltura biologica, preservando la diversità genetica delle colture, permette maggiori possibilità di resistenza prima e di adattamento poi ai cambiamenti climatici.
La produzione agricola biologica non ha nulla a che fare con la tecnica di coltivazione senza aratura o con semina su sodo che determinano una minore degradazione di sostanza organica nel terreno e quindi, si presume, un sequestro di carbonio. In realtà se non si ara la sostanza organica nel terreno non è più inglobata nei terreni quindi il presunto sequestro viene meno, resta il fatto che le minime lavorazioni comportano un minor consumo di gasolio per i trattori e quindi una riduzione delle emissioni. Io però ho dei dubbi anche su questo perché i conteggi vanno fatti sulla produzione totale non su quella unitaria per ettaro. Bisogna tener presente infatti che per ottenere la stessa quantità di prodotto senza arare bisogna coltivare più terra perché le rese sono più basse e questo aumenta le emissioni prodotte dal processo produttivo.
Nel protocollo europeo della cerealicoltura biologica è ammessa l’aratura, mentre nell’agricoltura intensiva ad alto rendimento che utilizza la chimica e gli OGM, già in molti coltivano senza arare sopratutto nella coltura intercalare. La tecnica è conveniente, per ora, soprattutto agli allevatori, alcuni dei quali riescono a fare il doppio raccolto, perchè non acquistano i concimi e scelgono colture a ciclo più breve come i pastoni, gli insilati, e i foraggi.
Non è assolutamente vero che a parità di produzione il biologico richieda meno energia! E’ vero altresì il contrario, basti pensare nella maiscoltura, alle sarchiature aggiuntive necessarie per controllare meccanicamente le infestanti, e al fatto che per ottenere la stessa produzione si debba coltivare più terra. Anche nel biologico si deve concimare, solo che non si possono utilizzare concimi di sintesi, ma solo concimi organici la cui produzione comunque comporta emissioni sia per gli effluenti zootecnici, sia nell’estrazione, confezionamento e trasporto di guano del Cile o di torba siberiana. In alcune produzioni biologiche di cereali citate dal Moresi effettivamente le emissioni risultano inferiori a quelle dell’orzo convenzionale, questo probabilmente perché, non hanno usato nessuna tecnica di diserbo e grazie alla rotazioni agricole con le leguminose che fissano azoto nel terreno, non hanno concimato, quindi le emissioni totali dell’orzo nell’anno appena dopo le leguminose, potrebbero risultare inferiori.
Il confronto annuale però falsa il dato di lungo periodo, perché se per l’orzo biologico si applica la rotazione, nell’arco di dieci anni per ottenere la stessa quantità di calorie ( tra orzo e leguminose) prodotta dagli ettari coltivati a orzo convenzionale servirebbe molta più terra. Coltivare superfici molto più estese nel biologico a parità di produzione con il convenzionale comporta maggiori emissioni per le lavorazioni e per l’irrigazione. Per una valutazione più corretta bisognerebbe (secondo me) introdurre altri tipi di misura come le emissioni della produzione decennale per ettaro di proteina o di calorie.
Inoltre le produzioni biologiche hanno rese decrescenti nel tempo perchè si sviluppano le infestanti e i parassiti sui campi che sono difficili da controllare biologicamente, quindi la produzione annuale è molto diversa dalla media decennale. I terreni agricoli sono stati mondati dalle infestanti e dai parassiti dalla preistoria fino agli anni 40’-50’ con metodi biologici cioè zappando estirpando e schiacciando gli insetti con le mani. Successivamente sono stati usati in modo molto più efficace diserbanti antiparassitari, fino all’uso degli OGM che a mio giudizio è la tecnica migliore e meno impattante dal punto di vista ambientale.
Quindi oggi i terreni in Europa, Cina e India sono abbastanza puliti, presentano cioè pochi semi di infestanti e meno insetti rispetto a terreni vergini delle zone tropicali, dove è molto difficile ottenere le rese descritte dal Moresi con coltivazioni biologiche, anzi è più facile non ottenere raccolto. Perchè le infestanti e i parassiti hanno la meglio (specie nel settore ortofrutticolo): ho visto campi di mais completamente sommersi dalla zucchina selvatica e, in Brasile, infestanti che erano veri e propri arbusti.
Secondo lo studio del WWF il prodotto biologico risulta, nel caso dei legumi, il 40% meno climalterante in CO2 equivalenti rispetto ai legumi convenzionali. E’ un dato che faccio fatica a comprendere visto che i legumi essendo appunto azoto fissatori richiedono poca concimazione, il risparmio di emissioni è da imputare probabilmente all’energia necessaria alla sintesi di antiparassitari e disinfestanti ma il biologico producendo meno richiede più terra da coltivare e nel lungo periodo, è molto difficile mantenere produzioni accettabili.
Le produzioni zootecniche biologiche accrescono enormemente il consumo di mangimi e di energia a parità di produzione, ma per i prodotti zootecnici l’opzione biologica nel carrello della spesa virtuale non c’è. Eppure sul mercato ci sono uova, yogurt, formaggi, e salumi biologici: probabilmente risultano più climalteranti delle produzioni convenzionali. Gli animali in produzione biologica sono quelli che soffrono di più e che hanno la mortalità più alta perchè in pratica si lesina sulle medicazioni, e non c’è alcun modo di controllare in modo biologico le parassitosi.
Per ciò che attiene il suino c’è uno studio importante che mostra come la produzione biologica abbia un impatto ambientale maggiore, di quella convenzionale, considerando i modelli produttivi di importanti Paesi come Germania, Olanda e Danimarca. Inoltre gli effluenti dei suini allevati all’aperto vengono dilavati ad ogni pioggia e trascinati nei corsi d’acqua superficiali.
Anche Al Gore si è espresso al riguardo: nel suo libro La scelta auspica che l’agricoltura intensiva mondiale si trasformi in agricoltura biologica rigenerativa, ovviamente per salvare il pianeta riducendo le emissioni, e cita l’azienda Rodale, uno tra i più grandi produttori bio americani, impegnata anche nella ricerca:
Il successo dell’implementazione dell’agricoltura biologica rigenerativa a livello nazionale dipenderà da due fattori: una forte richiesta di cambiamento che arrivi dal basso, e dall’alto un diverso approccio delle politiche locali e nazionali per sostenere gli agricoltori impegnati nella transizione, che dovrebbero essere pagati in base a quanto carbonio immettono e conservano nel terreno, non solo per quanti litri di frumento producono (litri? Probabilmente uno dei tanti errori di traduzione, NdA). Gli incentivi incoraggeranno la tutela delle risorse e altri sistemi attenti al carbonio, per produrre raccolti poi impiegati come cibo, mangime o fibre.
Purtroppo molti fanno confusione sulle emissioni dell’agricoltura e della zootecnia biologica con le tecniche di minima lavorazione chiamata da Al Gore agricoltura biologica rigenerativa. Gli autori del carrello della spesa virtuale usano SimaPro (un software in grado di elaborare simulazioni sui carichi ambientali) secondo il quale un Kg di prodotto biologico risulta essere meno energivoro del prodotto da agricoltura e zootecnia convenzionale.
Gli amici ricercatori dell’ottimo blog Biotecnologie basta bugie, citando pubblicazioni scientifiche (peer reviewed), ci dicono invece che:
- la produzione biologica, che è senza OGM, è assolutamente inefficace, e richiederebbe il 64% di terre agricole in più per mantenere la stessa produzione agricola della produzione convenzionale.
- I dati suggeriscono che l’agricoltura ad alto rendimento (compresa quindi anche la zootecnia intensiva), sono quelle che permetteranno in futuro la persistenza di più specie selvatiche (biodiversità) rispetto alle produzioni biologiche.
- Una ricerca durata 18 anni in Svezia ha dimostrato che con la coltivazione convenzionale il rendimento, la fertilità del suolo e il sequestro del carbonio, sono superiori rispetto alla coltivazione biologica
Questa immagine è accompagnata da un commento:
Oggi si coltivano circa 1,5 miliardi di ettari a livello mondiale. Per produrre le medesime quantità di prodotti agricoli, non solo di cibo, senza l’uso della chimica o degli OGM, ne servirebbero 4 miliardi, il che tradotto in termini planetari vorrebbe dire mangiarci praticamente tutte le praterie. Qualora si facesse una proiezione sulla richiesta di beni agricoli da parte di una popolazione mondiale, al 2025, di 8 miliardi di persone, i miliardi di ettari salirebbero a 6. Con buona pace anche delle foreste.
Alla fine, associare l’agricoltura biologica al sequestro di carbonio come nella minima lavorazione è un gioco di parole. Peccato che non sia vero.
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