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Prezzi e speculazione: ciò che le cipolle possono insegnare

15 novembre 2010

Libertiamo – 15/11/2010

La storia delle cipolle americane merita di essere raccontata: negli anni ’50 un giovane deputato del Michigan destinato ad un futuro luminoso, Gerald Ford, facendosi portavoce degli interessi dei produttori di cipolle, riuscì a far passare una legge che proibiva gli scambi di futures che avessero come oggetto le cipolle. I produttori erano preoccupati dalla volatilità del prezzo delle cipolle, e pensarono che questa legge potesse riparare il loro reddito dal mercato.

L’idea di mettere al sicuro le materie prime dalla speculazione si presenta ciclicamente, almeno ogni volta che, per qualche ragione, il prezzo di alcune commodities tende a salire. Oggi Sarkozy, prendendo la guida del G20, ha lanciato la sua personale battaglia contro gli speculatori, seguito, a quanto pare, dalla Germania, mentre anche in America si mettono a punto provvedimenti che tendono a limitare gli eccessi, o i presunti eccessi, in questo settore.

Effettivamente, secondo Barclays Capital, in un decennio l’ammontare degli investimenti sulle materie prime è aumentato da 6 a 320 miliardi di dollari. Ma siamo sicuri che questa sia la ragione principale degli aumenti che si sono verificati nel 2008 e, in misura decisamente più contenuta, oggi?

Guardando alle materie prime alimentari, gli scambi di contratti futures hanno il duplice effetto positivo di stabilizzare i mercati (un produttore può vendere il suo futuro raccolto a un prezzo fissato in anticipo) e di dare importanti indicazioni sulla domanda e sull’offerta. Nel 2008 l’irruzione sul mercato di un divoratore di materie prime come la Cina, l’emanazione del farm bill americano che incentivava le colture no-food e l’aumento del prezzo del petrolio che poteva avere delle forti ripercussioni sui trasporti su lunghe distanze segnalarono al mercato l’eventualità di una scarsità dell’offerta, favorendo le scommesse al rialzo.

Allo stesso modo oggi la siccità e i recenti incendi russi, accompagnati dal crollo delle semine di cereali in Europa indotto dalla PAC, hanno favorito una risalita dei prezzi. E’ interessante notare come sia negli Stati Uniti che in Europa un intervento pubblico distorsivo abbia influito in maniera determinante sui mercati. Pur tuttavia, gli scambi sulle commodities agricole non intaccano la disponibilità delle stesse sul mercato: praticamente nessuno, acquistando o vendendo futures, finisce per portarsi qualche migliaio di tonnellate di grano in magazzino in attesa di tempi migliori. E infatti nel 2008 bastarono pochi mesi per riportare i prezzi al punto di partenza.

Da quanto si può osservare, gli interventi pubblici sul mercato producono reazioni più destabilizzanti di quanto non facciano gli investitori, che rispondono alle regole della domanda e dell’offerta. Forse sarebbe bene che i governi, in Europa come negli Stati Uniti, smettessero di considerare la limitazione dell’offerta come un sistema efficace per stabilizzare i mercati interni: è una risposta antiquata che, in tempo di globalizzazione, finisce per rivelarsi decisamente controproducente.

Oltretutto basta osservare come i prezzi di quei prodotti, pensiamo dalle nostre parti all’ortofrutta o a alcuni semi in natura, sui quali la speculazione è molto più contenuta o completamente assente, siano molto più altalenanti e volatili di quelli delle grandi commodities agricole, come cereali, mais e soia. Una prova su tutte? La legge che sul finire degli anni ’50 proibì i futures sulle cipolle americane è ancora in vigore. Cosa è accaduto? Mentre, tra il 2006 e il 2008, il prezzo del petrolio aumentò del 100% e quello del mais fino al 300, i prezzi delle cipolle crebbero del 400% tra ottobre 2006 e aprile 2007, scesero del 96% fino a marzo del 2008 per tornare a crescere, in un solo mese, del 300%.

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