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Evidenza scientifica e responsabilità, ben oltre il principio di precauzione: la lezione della Chiesa sugli OGM

6 dicembre 2010

Libertiamo – 06/12/2010

Non credo che Hans Berger, assessore all’agricoltura della provincia autonoma di Bolzano, che pochi giorni fa ha dichiarato libero da OGM il territorio di sua competenza (di cui evidentemente crede di essere legittimo proprietario), abbia letto le conclusioni del workshop che la Pontificia Accademia delle Scienze ha dedicato alle colture geneticamente modificate, alla sicurezza alimentare e allo sviluppo. E probabilmente, se lo avesse letto, non avrebbe capito molto.

Perché mentre i capi-fabbricato posti ai vertici delle nostre regioni continuano ad arrampicarsi sugli specchi, pretendendo che l’Italia rivendichi per le colture geneticamente modificate una clausola di salvaguardia che non trova alcun fondamento nel diritto comunitario – e Hans Berger, quantomeno per questioni di vicinanza geografica, dovrebbe conoscere l’esito di una richiesta analoga presentata nel 2003 dalla regione austriaca dell’Oberoesterreich – il mondo e l’umanità vanno avanti per la loro strada. E chi ha responsabilmente a cuore il futuro del genere umano trova più interessante e proficuo parlare della realtà piuttosto che dei fantasmi evocati da chi la realtà non è in grado di comprenderla.

Non vi è nulla di intrinseco, nell’impiego dell’ingegneria genetica per il miglioramento delle colture, che renderebbe pericolose le piante stesse o i prodotti alimentari da essi derivati.

Nulla quindi, che renda le varietà OGM diverse da quelle il cui patrimonio genetico è stato modificato con tecniche differenti da quella del DNA ricombinante. Nulla che giustifichi per esse un trattamento speciale. Per queste ragioni – e questo nella sua pacata ragionevolezza è il passaggio forse più significativo – il tanto conclamato principio di precauzione perde fondatezza, e il senso di responsabilità per le conseguenze (tutte) delle proprie azioni dovrebbe prendere il suo posto.

La costosa regolamentazione dell’ingegneria genetica deve diventare difendibile da un punto di vista scientifico e basata sui rischi. Questo significa che la normativa dovrebbe essere basata sulle caratteristiche particolari di ogni nuova varietà di pianta, piuttosto che sui mezzi tecnologici usati per produrla. (…)

La normativa eccessiva e inutile di questa tecnologia paragonata a tutte le altre in agricoltura l’ha resa troppo costosa da applicare a colture “minori”, e a quelle che non possono garantire agli sviluppatori dei ritorni proporzionati all’investimento e al rischio intrapresi.

Quindi, se i numerosi passaggi sperimentali e burocratici imposti dalle autorità pubbliche prima che un OGM sia messo sul mercato sono serviti a rassicurare l’opinione pubblica, soprattutto quella occidentale, i costi elevatissimi che ne sono derivati sono risultati sostenibili solo per le grandi multinazionali, e non c’è possibilità che garantiscano un rendimento adeguato nel caso di colture diverse dalle grandi commodities agricole. Questo ha messo fuori gioco le società biotech di ridotte dimensioni e le istituzioni scientifiche pubbliche, ed escluso la possibilità che i miglioramenti genetici possano riguardare colture di fondamentale importanza per comunità di ridotte dimensioni, tanto in occidente quanto e soprattutto nei paesi in via di sviluppo.

Le valutazioni dei rischi devono prendere in considerazione non solo i rischi potenziali dell’uso di una nuova varietà di pianta, ma i rischi delle alternative nel caso in cui proprio quella varietà non fosse resa disponibile. (…)

Una normativa eccessivamente rigida sviluppata dai paesi ricchi e focalizzata esclusivamente sui rischi ipotetici delle colture geneticamente ingegnerizzate opera una discriminazione nei confronti dei paesi poveri e in via di sviluppo, così come contro i produttori e i commercianti più piccoli e poveri. (…)

Riesaminare l’applicazione del principio di precauzione all’agricoltura in un contesto scientifico e pratico, e rendere proporzionali al rischio le richieste e le procedure normative, considerando i rischi associati al mancato agire.

C’è la consapevolezza, nel documento della Pontificia Accademia delle Scienze, che la sfida più impegnativa che la scienza e la tecnologia sono chiamate ad accettare è quella del cibo, ovvero quella di fornire strumenti che garantiscano rese adeguate a sfamare un’umanità che cresce e che si sviluppa, senza che questo significhi devastare il pianeta nella ricerca di nuove superfici agricole. Una consapevolezza che sembra sfuggire invece a chi si oppone pregiudizialmente all’uso degli OGM, così come sfuggono le conseguenze per la parte più povera dell’umanità. Evidenza e responsabilità:

Esortiamo chi è scettico o si oppone all’impiego di colture geneticamente ingegnerizzate e all’applicazione della genetica moderna in generale, a valutare attentamente l’evidenza scientifica connessa e i danni dimostrabili causati dal trattenere questa comprovata tecnologia da chi ne ha più bisogno.

Ma tutto ciò sembra lasciare indifferente Hans Berger, che infatti invoca il principio di precauzione evitando (e non potrebbe essere altrimenti) di presentare alcuna prova scientifica che dimostri l’esistenza di pericoli per la salute o per l’ambiente derivanti dall’impiego di qualcuno degli OGM fino ad oggi ammessi sul mercato. Il ministro Galan gli ha correttamente ricordato che iniziative propagandistiche di questo genere non possono essere assolutamente vincolanti dal punto di vista legale, ma tant’è: viviamo in un mondo magico e incantato, noi, quello in cui l’agricoltura biologica e di sussistenza possono sfamare l’umanità, soprattutto quella porzione di essa che trascorre le vacanze in Alto Adige. Un mondo in cui i concetti di evidenza scientifica e di responsabilità, richiamati dalla Chiesa, sono decisamente fuori moda.

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7 commenti leave one →
  1. azimut72 permalink
    6 dicembre 2010 14:38

    Una delle caratteristiche più evidenti della religione cristiana è quella di porre l’uomo al centro di tutto.
    Partendo da questo principio, quanto riportato ha senso.
    Però, se consideriamo una visione più “orientale”, quella cioè di un mondo equilibrato nella Natura, piuttosto che “affidato” all’Uomo, le basi etiche della tecnica OGM si indeboliscono.
    Modificare il patrimonio genetico di un essere vivente, generato lentamente dall’equilibrio naturale, per un vantaggio a breve termine (soprattutto in termini geologici) dell’Uomo non ci mette perfettamente al riparo da eventuali conseguenze.
    Significa infatti modificare l’equilibrio naturale costringendo la natura a trovarne un’altra le cui conseguenze potremmo non sapere a breve e che, quando si rivelano, potrebbero richiedere ulteriori aggiustamenti…e così via…
    L’uomo tenta di sostituirsi a Dio ma senza avere la capacità di prevederne le conseguenze, fino in fondo.

    Mi chiedo come la Chiesa riesca a sostenere questa posizione in ambito OGM e, allo stesso tempo, opporsi all’eutanasia dove il problema di base è lo stesso: sostituirsi a Dio. Una posizione inquadrabile solo se si pensa che la Natura sia al “servizio” dell’uomo.
    Io, personalmente, non penso sia così.
    azimut72…un cristiano…

  2. 7 dicembre 2010 08:53

    @azimut72
    le “basi etiche della tecnica OGM” sono esattamente le stesse che hanno permesso all’uomo, nel corso di secoli e millenni, di modificare, trasformare e devastare il patrimonio genetico di innumerevoli specie vegetali e animali per renderle più conformi alle proprie esigenze. Ridurre i costi di produzione, garantirsi rese più abbondanti, dare al cibo di cui ci nutriamo proprietà organolettiche migliori.

  3. azimut72 permalink
    7 dicembre 2010 10:14

    @Masini
    Vero ma…fino a che punto è lecito spingersi?
    Secondo me, proprio l’arma che più di ogni altra gli ha consentito di affermarsi, la tecnologia, sta mettendo in crisi il positivismo.
    Infatti sta dando all’uomo degli strumenti che necessitano di una lungimiranza che, ritengo io, l’uomo non ha in quanto, per sua natura, guarda all’utile di breve termine.

    Mi spiego.
    Se il trattore ha incrementato la produttività agricola, lo fa avendo un impatto riscontrabile e controllabile (entro certi limiti) nell’arco di una vita media. Come riusciamo invece a gestire l’impatto che ha un grano ogm resistente ai parassiti? se fra 100 anni ci troviamo con un parassita più forte cambiamo ancora il dna per fare un grano ancora più forte? chi ci assicura che saremo ancora in grado di farlo? a che prezzo?

    Ammetto di non sapere rispondere ma ho molti dubbi sulla sostenibilità di questa strada (anche se, sono anche convinto dell’inevitabilità di certi strumenti).

    Concludo con una considerazione solo apparentemente fuori luogo.
    Secondo me, dobbiamo sempre ricordarci che, da un punto di vista geologico, il nostro affrancamento dalle “rudezze” della natura si sviluppa in un tempo insignificante ed è basato sull’utilizzo del petrolio, una risorsa finita.
    La produttività agricola di questi scarsi 80-90 anni è figlia del petrolio. Poichè è una risorsa scarsa, dobbiamo secondo me incominciare a porci una domanda: sapremo gestire l’innovazione tecnologica in quadro di scarsità delle risorse energetiche?
    saluti
    azimut72

  4. 7 dicembre 2010 13:49

    Ma noi già adesso siamo andati abbondantemente “oltre”. Voglio dire, quando incrociamo diverse specie che in natura non potrebbero incrociarsi, per ottenere determinati ibridi, e trasferiamo quindi in una nuova varietà il 50% del patrimonio genetico delle due specie originarie, conosciamo le conseguenze? D’altronde già ora con sistemi convenzionali si cerca, e spesso ci si riesce, di ottenere la resistenza ai parassiti o agli erbicidi. E che questo possa dare origine a parassiti o a malerbe più resistenti, beh, anche questo è nell’ordine delle cose, avviene costantemente e qualsiasi agricoltore ne ha avuto esperienza, magari usando troppe volte di seguito lo stesso erbicida.

    E se, per indurre mutazioni nel codice genetico di una varietà, la bombardiamo di radiazioni? Con questo sistema, che produce gli effetti desiderati solo per approssimazioni successive, abbiamo prodotto il grano duro Creso, il più diffuso in Italia, o il pompelmo rosa. Ne conosciamo gli effetti a lungo termine?

    La tecnica del DNA ricombinante consente, attraverso modifiche minime del patrimonio genetico, di indurre gli effetti che ricerchiamo in maniera mirata e molto più controllata di quanto non sia avvenuto fino ad oggi. Per quale ragione dobbiamo ipotizzare che le varietà il cui patrimonio genetico è stato modificato con questa tecnica possano avere degli effetti a lungo termine più spiacevoli delle altre?

    E’ molto più probabile il contrario, ed è plausibile ritenere che tecniche che aumentano, benché indirettamente, le rese agricole, vadano proprio incontro alle esigenze di un agricoltura che un domani, forse, avrà a che fare con un costo del carburante insostenibile. D’altronde è quanto è già successo in India con il cotone BT resistente ai parassiti, che è venuto incontro alle esigenze proprio dei piccoli produttori che avevano difficoltà a sostenere il costo dei macchinari per la distribuzione dei pesticidi.

  5. azimut72 permalink
    7 dicembre 2010 15:24

    Grazie delle risposte
    saluti
    azimut72

  6. azimut72 permalink
    7 dicembre 2010 15:37

    @Masini
    Grazie delle risposte.
    Non sono un esperto e quindi non sono in grado di sostenere una discussione tecnica, ma quanto ha scritto mi sembra convincente anche se….

    Anche se, proprio quando da lei scritto, mi fa rimanere con un dubbio.
    La differenza fondamentale tra quanto si faceva in passato e quanto ha descritto lei è che il know-how sta passando (io direi che è già passato) dal contadino, attore protagonista della selezione con mezzi arcaici, al ricercatore di laboratorio che ha bisogno di finanziamenti sufficienti.

    Mi creda non sono una persona naive, nè un no-global.
    Per esempio, conosco l’Argentina e so che già oggi è inutile parlare di ogm sì e ogm no. Ho visto km e km di appezzamenti di terra con cereali transgenici e sulle palizzate le sponsorizzazione delle grandi multinazionali con la sigla del seme utilizzato. So che quando mangio un pezzo di pane comprato dal fornaio, nella migliore delle ipotesi sto mangiando un pane fatto con un mix di semi, modificati e non.

    Però mi domando.
    Il passaggio del timone dal contadino tradizionale, come mio nonno, alla Multinazionale è un passaggio completamente indolore? Dubito.

    Grazie ancora delle risposte.
    saluti.
    azimut72

  7. 7 dicembre 2010 17:39

    E’ un dubbio che hanno in molti, ma è necessario considerare che tra lei e suo nonno c’è stata un’altra generazione, quella di suo padre, ed è durante quella generazione che questo passaggio è già avvenuto. Se oggi un ettaro di grano può produrre fino a 70 quintali laddove sessant’anni fa ne produceva 10, questo lo si deve ai fertilizzanti, ai fitofarmaci e al miglioramento genetico delle varietà. Miglioramento che già da tempo ha indotto gli agricoltori a non conservare i semi per l’anno successivo, ma a riacquistarli dalle stesse società che oggi producono anche OGM. Perché gli ibridi, ottenuti anche con metodologie convenzionali, perdono le loro caratteristiche dopo una generazione, e nessuna azienda agricola, neanche la più grande, dispone della tecnologia e dei fondi per selezionare ibridi.

    E’ vero che in alcune regioni del pianeta questo passaggio ancora non c’è stato, o sta avvenendo oggi, ma questo avviene laddove si sta passando oggi, come noi sessant’anni fa ai tempi della cosiddetta green revolution, da un agricoltura di pura sussistenza a un’agricoltura moderna orientata al profitto, in primo luogo al profitto dell’agricoltore. Avverrebbe anche senza OGM, e in molti casi avviene a prescindere dagli OGM (non esistono varietà OGM di qualsiasi specie, per esempio il grano OGM non c’è).

    Probabilmente è uno dei costi dello sviluppo, che da noi all’epoca ha indotto molte persone ad abbandonare le campagne per cercare opportunità diverse, e in qualche caso ci ha fatto abbandonare la coltivazione di alcune varietà antieconomiche (varietà che però oggi, che ci possiamo permettere di spendere di più per il cibo, stiamo riscoprendo e che hanno di nuovo un mercato promettente), ma non sarebbe giusto impedire ad altri di fare la strada che abbiamo percorso noi con successo.

    Ma mi creda, il timone è sempre nelle mani dell’agricoltore, che come sempre ha fatto decide di coltivare ciò che crede più redditizio: se un OGM è troppo costoso o i suoi vantaggi risultano marginali (come nel caso del mais BT resistente ai parassiti in molte zone dove la piralide non è diffusa) gli OGM non vengono usati o le società che li producono hanno decisamente abbassato il loro costo.

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