Il testo dell’intervento di Galan alla FAO
Pubblichiamo il testo integrale dell’intervento del Ministro delle Politiche Agricole Giancarlo Galan alla tavola rotonda sul “Trattato internazionale delle risorse genetiche vegetali per l’alimentazione e l’agricoltura” che si è svolta ieri a Roma presso la FAO. Scegliamo di divulgare questo testo non per fare l’apologia del ministro, che di certo non ne ha bisogno, ma perché oltre ogni retorica ci sembra il segno tangibile, dopo tanto penare, di un decisivo e significativo cambio di marcia e, soprattutto, di direzione (grassetti nostri).
Signor Segretario, colleghi Ministri, signori delegati,
i tre obiettivi posti dal Trattato Internazionale sulle Risorse Genetiche Vegetali per l’Alimentazione e l’Agricoltura, nella loro significativa semplicità, rivelano proprio per questo l’imponente rilevanza di questioni che hanno reso drammatica fino ad ora la storia del nostro pianeta, compromettendone addirittura il futuro.
Può sembrare paradossale, ma la positività degli obiettivi del Trattato ci aiuta a comprendere meglio l’oscura negatività di problemi che hanno a che vedere con la miseria e con la fame di più di un miliardo di persone.
In sintesi, ognuno dei tre obiettivi ha il suo pesantissimo risvolto, rivela una sua minacciosa e apocalittica profezia. D’altra parte, impossibile non accorgersi del suo opposto se l’obiettivo ti spinge a riconoscere l’enorme contributo degli agricoltori nella conservazione delle colture che alimentano il pianeta; oppure se l’obiettivo è stabilire un sistema globale tale da consentire agli agricoltori, ai selezionatori di materiale vegetale e ai ricercatori di accedere facilmente e gratuitamente al materiale genetico vegetale; o con che cosa in effetti ci stiamo confrontando se lo scopo è garantire che i vantaggi provenienti dal miglioramento vegetale o dall’uso di biotecnologie siano condivisi con i Paesi di origine del materiale.
Se questi sono gli obiettivi del Trattato, è chiaro che stiamo vivendo un presente, che viene da molto lontano, nel quale continua ad essere ignorato o contrastato o umiliato il contributo degli agricoltori nella conservazione delle colture che ci alimentano. Se questi sono gli obiettivi, vuol dire che si impedisce a chi ne ha bisogno di poter ricorrere al materiale genetico vegetale. Se questi sono gli obiettivi, significa che dal miglioramento vegetale o dall’uso di biotecnologie non deriva alcun vantaggio per i Paesi che proprio di questo hanno disperato bisogno.
Probabilmente è così che si spiega o si comprende meglio un passaggio, che desidero citare, tratto dal recente documento della Pontificia Accademia delle Scienze: “Oltre 1 miliardo di persone, dei 6 miliardi e 800 milioni che compongono la popolazione mondiale, sono attualmente denutrite, una condizione che richiede lo sviluppo urgente di nuovi sistemi e tecnologie agricole […]. L’applicazione appropriata dell’ingegneria genetica e di altre moderne tecniche molecolari in agricoltura contribuisce ad affrontare alcune di queste sfide.”
La domanda che io mi pongo e che pongo a tutti voi è la seguente. In ogni agricoltura del pianeta – al di là del fatto che si tratti di un’agricoltura fragile e scadente piuttosto che di un’agricoltura florida e redditizia – in definitiva ciò che conta è il contadino. Sono i contadini il centro di ogni agricoltura, ed è una presenza questa notevolmente cresciuta in Asia e in Africa nel corso degli ultimi anni.
Ma se così stanno le cose, è possibile superare positivamente l’antica “tragedia dello scontro tra contadini e modernità”? E non è un caso infatti se per la mia domanda mi sono servito di alcune parole illuminanti, parole che si trovano in un libro in cui non mi riconosco affatto, ma che un politico responsabile deve tener presente, dato che Silvia Pérez-Vitoria con il suo “Il ritorno dei contadini” ha, in conclusione, proposto un punto di vista condivisibile se considerato su scala planetaria.
– “Diventiamo più poveri quando scompaiono conoscenze e abilità. Il nostro immiserimento è invisibile, ma non per questo meno reale. Dobbiamo imparare a rispettare gli altri come dobbiamo imparare a rispettare la natura e, per arrivarci, è necessario ridare uno spazio e un posto ai contadini […] Ovviamente non si tratta di fare dell’agricoltura contadina la soluzione a tutti i problemi del pianeta, bensì di notare che attorno ai valori che essa continua a veicolare, c’è un enorme serbatoio di possibilità” -.
Allora, io riterrei un errore gravissimo per l’intera umanità se non tentassimo di superare l’antico e dannosissimo scontro fra agricoltura contadina e modernità, fra le conoscenze e le abilità proprie dell’agricoltura cosiddetta tradizionale e le conoscenze e le abilità che la nostra contemporaneità offre a chi ha il dovere morale e politico di combattere ineguaglianze, miseria e fame. Ma se si desidera per davvero la fine dello scontro tra agricoltura contadina e modernità, appare saggio tener conto di ciò che pensano coloro che si occupano e che studiano con serietà le questioni che ci vedono riuniti qui assieme. Costoro ci dicono che nel mondo rurale che ospita la gran parte delle persone affamate, non è solo l’accesso al cibo l’elemento deficitario, ma è l’accesso alle risorse con cui produrlo il vero problema. Dire risorse che producono cibo significa riferirsi a terra, acqua, energia, credito, assistenza tecnica, educazione primaria e specialistica, mercati locali, magazzini, infrastrutture, sementi, ossia risorse genetiche. Insomma, ci si riferisce a dotazioni e disponibilità limitate e limitanti.
Ecco perché Luca Colombo e Antonio Onorati nel loro studio sul “diritto al cibo” sostengono che se vengono meno le indispensabili precondizioni della produzione agricola, la fame si rende cronica proprio laddove gli alimenti dovrebbero essere prodotti e immessi sui mercati, impedendo, inoltre, la valorizzazione di un eventuale contributo tecnologico.
E’ notizia tragicamente e universalmente nota quella relativa alla carenza di vitamina A che colpisce milioni di bambini in tutto il mondo. E’ notizia tragicamente e universalmente nota quella secondo la quale tra i 250 e i 500 mila bambini nei Paesi in via di sviluppo diventano ciechi ogni anno a causa di carenza di vitamina A, e questa vergogna dell’umanità accade soprattutto nel Sud-est asiatico e in Africa.
E mancanza di un adeguato apporto di vitamina A significa una sola cosa: ci sono luoghi nella nostra Terra in cui non esiste l’agricoltura, non esiste l’allevamento, non esiste la pesca.
Perché credere nel Trattato? Da tempo si parla della conservazione, dell’uso e della valorizzazione delle risorse genetiche. Per un simile obiettivo si impongono scelte chiare, come il trasferire tecnologie, il costruire laboratori, il libero accesso a informazioni tecniche e alla formazione, così da consentire un grande impegno nella ricerca esteso a tutti quei Paesi che di questo hanno bisogno.
Per essere più espliciti ed anche più concreti, il Trattato facilita l’accesso al materiale genetico di 64 specie utilizzabili per scopi di ricerca, selezione e formazione. Dal 2004, anno in cui il Trattato è entrato in vigore in 40 Paesi, è stato favorito lo scambio di semi e di materiale vegetale per circa 1 milione e 300 mila campioni.
Tutto ciò va ad inserirsi in un Sistema Multilaterale costituito da banche genetiche, che includono collezioni di varietà locali, collezioni nazionali e collezioni mondiali di tutte le varietà esistenti appartenenti a singole specie. Attraverso il Sistema Multilaterale il Trattato attua in tal modo una soluzione molto innovativa nei riguardi dell’accesso e della condivisione dei benefici.
Concludo, richiamando alla vostra attenzione un’immagine che appartiene da millenni a molte civiltà del pianeta.
L’immagine riguarda il Paradiso terrestre, il luogo in cui Dio, prima che l’uomo cedesse al peccato, aveva posto Adamo ed Eva e li aveva posti al centro di un universo di bellezza e felicità costituito nella più completa armonia del rapporto fra uomo e natura.
Ciò che noi tutti dobbiamo augurarci è di poter ritrovare l’originaria armonia fra una natura in un certo senso divina e l’umanità, senza per questo far assurgere a nuova forma di divinità assoluta, se non addirittura a divinità terribile, la scienza, oppure la tecnologia, o le più raffinate e avanzate ricerche.
Bene dunque l’avanzamento delle conoscenze, bene anche le nuove abilità tecnologiche e applicative, ma tutto ciò non può e non deve escludere Adamo ed Eva e la loro discendenza. Una discendenza che finalmente posta nelle condizioni, avendone le possibilità adeguate, di fare del nostro pianeta il nuovo Paradiso terrestre, diventato in tal modo bello e giusto, cioè buono verso tutti, per davvero tutti gli abitanti della Terra.