La fiera del catastrofismo zootecnico – quarta parte: CO2 e N2O
La metodologia di calcolo delle emissioni zoogeniche dirette è descritta nelle linee guida dell’IPCC: Nel capitolo 10 del volume 4 sul CO2 zoogenico si esprimono chiaramente e dicono che il bilancio del carbonio tra quello emesso dagli animali e quello captato dai vegetali deve essere nullo.
Un ettaro di mais che produce 140 q di granella, detratte le perdite legate alle emissioni del suolo e le emissioni dovute all’energia necessari alla produzione, vanta un assorbimento netto complessivo di circa 32 t di CO2, che devono per forza coincidere con il carbonio emesso dagli animali e dall’uomo. Per cui i bilanci del carbonio andrebbero sempre calati in una logica di agro-ecosistema e sono infatti in pari tra il captato dalle piante e quello emesso dagli animali e dall’uomo.
I gas serra climalteranti per avere un’azione riscaldante sul pianeta e aumentarne le temperature cioè esercitare una forzante radiativa devono aumentare nelle loro concentrazioni atmosferiche.
Il CO2 emesso con la respirazione degli animali e con la fermentazione dei reflui zootecnici non è una perturbazione aggiuntiva cioè non va ad aumentare la concentrazione di CO2 in atmosfera quindi non determina nessun aumento delle temperature globali.
Ad un discorso diverso si prestano le emissioni di protossido d’azoto N2O, la cui concentrazione atmosferica dai valori pre-industriali di 270 ppb (parti per miliardo) è passata alle oltre 320 ppb odierne. L’indice di GWP per il protossido d’azoto N2O è 310 quindi in teoria una molecola di N2O assorbe infrarossi 310 volte più di una molecola di CO2
A livello zootecnico il protossido d’azoto viene liberato nei processi di nitrificazione/denitrificazione che interessano i reflui zootecnici in stalla, nella fase di stoccaggio e a seguito dello spandimento in campo. I reflui zootecnici contengono molte fonti azotate, che rilasciano, il protossido d’azoto N2O soprattutto allo spandimento senza iniezione.
Importanti fonti agricole di N2O sono anche i concimi chimici azotati, come urea, e nitrato di potassio ecc. In generale la quota di protossido d’azoto emesso dai concimi agricoli organici o minerali è di qualche ppb, cioè parti per miliardo, quindi tracce infinitesimali.
Per il protossido d’azoto la permanenza in atmosfera (lifetime) è di 114 anni, molto più lunga rispetto al metano, quindi effettivamente il protossido di azoto si accumula in atmosfera malgrado sia in ciclo di assorbimento come il metano, infatti il protossido dopo circa un secolo di permanenza diventa azoto atmosferico che si deposita sui terreni con una stima circa di 30 kg/Ha, e qui viene assorbito dalle piante.
In un grafico inserito nel rapporto FAO, le emissioni di protossido di azoto dai liquami, sono indicati come facenti parte di un ciclo naturale, di emissione e assorbimento.
I dati raccolti in questi anni mostrano in complesso un processo di crescita continua dei livelli di N2O atmosferici, con un andamento che ricorda quello del CO2, tuttavia i ratei annui sono in decrescita da più di 20 anni come per il metano.
Gli incrementi atmosferici di metano e di protossido d’azoto sono talmente bassi, trattasi infatti di qualche ppb che il loro forzante radiativo è più o meno stabile dal 1990 come si vede dal grafico tratto dal lavoro di D. J . Hofmann et al 2006 partendo dall’alto la prima fascia riguarda gli incrementi della forzante radiativi del CO2, la seconda quelli del metano CH4, la terza quelli del protossido d’azoto N2O. Questo significa che il contributo all’aumento delle temperature del metano e del protossido d’azoto negli ultimi 20 anni è stato minimo.