Stato di polizia tributaria versione 2.11
Libertiamo – 27/12/2010
Siamo qui per dire no alla mostruosa macchina fiscale messa in opera dal governo per schedare tutti i cittadini, per controllarne i comportamenti, fino ad ogni minimo passaggio di denaro ed addirittura con l’invito alla delazione fiscale
Ha fatto bene Alberto Mingardi, nel suo articolo natalizio sul Riformista, a ricordare questo passaggio del discorso di Silvio Berlusconi
alla manifestazione del dicembre 2006 contro la legge finanziaria del governo Prodi. Sono passati quattro inverni, il quinto è ancora in corso e il Berlusconi di governo, fratello gemello di quello di lotta che arringava la folla di Piazza San Giovanni ci consegna, come regalo di Natale, e viatico per il nuovo anno, lo stato di polizia tributaria aggiornato alla versione 2.11.
L’ultimo aggiornamento installato, in ordine di tempo, è lo “spesometro”: da aprile i commercianti dovranno richiedere il codice fiscale di chiunque faccia una spesa superiore a 3000 euro, che sia un elettrodomestico, un ciclomotore, una vacanza o chissà che altro, e comunicarlo all’agenzia delle entrate.
Si va ad aggiungere al redditometro, di cui è il completamento naturale, e alla reintroduzione dell’odioso principio del “solve et repete
”, secondo il quale l’accertamento fiscale è un titolo immediatamente esecutivo, e l’onere della prova è a carico del contribuente: prima paghi, poi fai ricorso. E se hai ragione (o se riesci a dimostrarlo), forse un giorno quanto ti è stato estorto ti verrà rimborsato.
Ancora più di prima, lo Stato si riserva il diritto di supporre, presumere e dedurre i redditi dei contribuenti secondo criteri e parametri arbitrari (gli studi di settore sono sempre lì, esattamente come li aveva ritoccati il governo precedente a fine legislatura, o sbaglio?), e chi si sottrae non tanto al fisco ma alla casistica viene preso di mira dagli accertamenti dell’agenzia delle entrate, ché tanto qualcosa fuori posto lo si trova sempre.
Ancora nuove corvées che gli imprenditori dovranno svolgere per conto dello Stato, al posto dello Stato e senza ricevere nulla in cambio. Mi sentirei di invitare le imprese e i commercianti a ribellarsi e a non chiedere il codice fiscale di nessuno: se lo Stato ha bisogno di questi dati se li procuri da sé, senza bisogno di trasformare un’intera categoria in un corpo di delatori in servizio permanente, effettivo e gratuito.
Che ci diranno oggi gli strateghi del ministero dell’economia? Anch’essi, come coloro che li hanno preceduti, ci racconteranno la favola secondo la quale chi ha la coscienza a posto non ha nulla da temere? Saranno proprio gli esponenti di Lega e PdL a spiegarci che il fisco italiano non è quello che è, cioè una macchina fondata sull’arbitrio e la discrezionalità, e come tale cucita su misura per furbi e corruttori mentre per gli altri è solo una pistola perennemente puntata alla tempia? Che sulle imprese italiane non grava una pressione complessiva del 68,6% come riportato dalla banca mondiale in una classifica che ci vede al 128 posto nel mondo? Che i ricorsi non andrebbero presentati ad un sistema giudiziario tra i più inefficienti del pianeta (a proposito, e la riforma della giustizia?) tanto inefficiente da indurre i più a desistere in partenza? Con un po’ di fortuna potremo sentire qualcuno della maggioranza, prima della fine della legislatura, sostenere che le tasse sono bellissime.
Ma non ci diranno, a quanto pare, proprio un bel niente. La notizia dell’approvazione dello spesometro è scivolata via nell’indifferenza generale, mentre giornali e TV avevano altri scandaletti a cui pensare. Non ci saranno manifestazioni, e né la vecchia né la nuova opposizione sembra intenzionata a indire un “No Tax Day”. In uno stato di polizia tributaria che si rispetti è meglio tenere il profilo basso, come hanno fatto chiaramente capire quegli esponenti della Lega Nord che, appena sono venuti a sapere che i comuni potranno tenersi un terzo degli utili degli accertamenti fiscali condotti in proprio, hanno lanciato la splendida idea delle ronde antievasione nelle regioni settentrionali.
Finisce il 2010 e gli imprenditori italiani non sono mai stati così soli. Molte imprese del Nord se ne stanno andando, e non se ne vanno, come vi continuano a raccontare, per approfittare della mano d’opera a basso costo dei paesi in via di sviluppo o verso esotici paradisi fiscali: se ne vanno semplicemente verso paesi più civili, efficienti e trasparenti come la Svizzera o l’Austria, a due passi da qui. Fanno bene.