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La PAC è stata la peggiore politica agricola del XX secolo? I – Perché l’intervento pubblico è (generalmente) sbagliato

25 gennaio 2011

Gli economisti in genere danno per scontati gli effetti negativi dell’intervento pubblico, e la PAC è un esempio perfetto di tutto ciò. In due parole, la Politica Agricola Comune precedente alle riforme degli anni ’90 aveva l’obiettivo di incrementare i prezzi dei prodotti agricoli europei rispetto a quelli del resto del mondo. I prezzi alti provocano la caduta dei consumi interni, l’aumento della produzione domestica e la diminuzione delle esportazioni. I consumatori perdono, in quanto possono permettersi di acquistare meno beni con la stessa quantità di denaro e devono pagare di più per ciò che consumano. Parte delle loro perdite è trasferita ai produttori, ma una parte è destinata a rimanere come una perdita (peso morto) per la società nel suo complesso.

L’entità delle perdite dipende dalla sensibilità della produzione e dei consumi interni alle variazioni dei prezzi, misurato nell’elasticità della domanda e dell’offerta. Maggiore è l’elasticità, maggiore è la perdita. Tuttavia, alcune perdite sono comunque inevitabili.

Così, per approssimazione, gli economisti ritengono generalmente che lo Stato non debba mettere il becco nell’economia. Questa regola, come ogni regola, ha le sue eccezioni. L’intervento publico può essere giustificato se il mercato non riesce a distribuire i guadagni (o le perdite) correttamente nella società. Ad esempio un monopolio induce i consumatori a pagare prezzi troppo elevati rispetto ad un regime di libera concorrenza, e quindi lo Stato dovrebbe intervenire, quando possibile. Ma i monopoli non sono chiaramente un problema rilevante in agricoltura. Il mercato nel settore agricolo può rischiare di fallire laddove trascura i vantaggi degli investimenti nei cosiddetti “beni pubblici” o i danni che derivano da un eccessivo sfruttamento delle risorse naturali.

La storia dell’agricoltura fornisce molti esempi agli stati o alle organizzazioni sovranazionali, come il Gruppo Consultivo sulla Ricerca Agricola Internazionale (CGIAR), di come si possano affrontare con successo questi problemi[1]. L’intervento pubblico in quei casi ha creato o rafforzato i diritti di proprietà, finanziato l’istruzione, la costruzione di infrastrutture, la ricerca e lo sviluppo agricolo. Quest’ultimo obbiettivo è stato fondamentale per promuovere lo sviluppo tecnologico, dato che molte tecniche agricole erano (e sono tuttora) beni pubblici.

Un analisi quantitativa delle politiche agricole è stata avanzata da un gruppo di esperti dell’OCSE guidati da Josling nei primi anni ’80[2]. Si distinguevano quattro categorie principali di sostegno:

  1. misure volte ad aumentare i prezzi interni rispetto ai prezzi di mercato, comprese le sovvenzioni alle esportazioni
  2. i pagamenti diretti agli agricoltori, tra i quali il cosiddetto set-aside (i pagamenti per non produce)
  3. altri investimenti in agricoltura – non direttamente percepiti dagli imprenditori agricoli
  4. i contributi per il consumo di prodotti alimentari (di cui indirettamente beneficiano gli agricoltori spostando influenzando la domanda)

Si potrebbero aggiungere le norme per la sicurezza alimentare, che, in alcuni casi, potrebbero essere utilizzato per limitare le importazioni[3]. Infatti l’Uruguay Round ha strettamente regolamentato l’uso di tali misure[4].

Gli esperti delle organizzazioni internazionali sono di solito molto appassionati agli acronimi, così hanno chiamato 1) MPS (Market Price Support), 2) DP (direct payments) e 3) GSSE (General Services Support Estimate). Essi hanno definito il PSE (Producer Subsidy Equivalent) come la somma di MPS e DP, e TSE (Total Support Equivalent) come PSE più la GSSE.

In questo quadro, è possibile definire sette ulteriori misure per valutare la politica agricola:

  1. Il rapporto tra TSE e PIL
  2. Il rapporto tra PSE e produzione lorda (più i pagamenti diretti)
  3. Il rapporto tra TSE e PSE
  4. Il rapporto tra MPS e TSE
  5. Il rapporto tra la somma dei costi in ricerca, sviluppo e infrastrutture (lasciando quindi fuori i costi di marketing, promozione e altri) e il GSSE
  6. La quota di TSE pagata dai consumatori
  7. Il rapporto tra prezzi interni e globali, conosciuto anche come NPC (Nominal Protection Coefficient)

Le prime due misure rilevano il rapporto tra il livello del sostegno rispetto all’intera economia e al reddito dei produttori. 3) e 4) analizzano le “scelte” della politica, cioè il il sostegno diretto ai singoli produttori contro il sostegno generale a tutti gli agricoltori, il sostegno nascosto agli agricoltori attraverso la manipolazione dei prezzi rispetto al supporto trasparente attraverso sovvenzioni. 6) misura la distribuzione dei costi della PAC e la trasparenza delle scelte politiche. La differenza tra prezzi interni e mondiali è una misura diretta della distorsione causata dalle politiche agricole. In teoria, esso dovrebbe includere qualsiasi forma di protezione prevista dalle disposizioni in materia salute e sicurezza alimentare.


[1] Giovanni Federico, Feeding the World. An Economic History of Agriculture, 1800-2000 (Princeton 2005): 106-108
[2] OECD, Methodology for the measurement of support and use in policy evaluation (Paris 2002)
[3] Jimmye S. Hillman, Technical barriers to agricultural trade (Boulder, CO 1991)
[4] Timothy Josling, Stephan Tangermann and T.K. Warley, Agriculture in the GATT (Macmillan 1996)

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