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La bufala della sicurezza alimentare

26 gennaio 2011

Libertiamo – 26/01/2011

Dietro il termine “sicurezza alimentare” si nascondono molti significati ed altrettanti interessi, non tutti sempre espressi con chiarezza e alla luce del sole. Periodicamente veniamo informati, con toni più o meno allarmistici, di truffe e frodi alimentari, sofisticazioni, o episodi di vero e proprio inquinamento come nel recente caso delle uova tedesche contaminate con un tasso di diossina significativamente superiore alla norma.

L’attenzione dei consumatori è sempre più o meno legata all’attenzione che i media dedicano all’evento, e quasi mai è proporzionata alla reale gravità del caso. Sta di fatto che spesso questi episodi si risolvono, come nei casi della “mucca pazza” o dell’aviaria, con brevi isterie collettive che spesso lasciano sul terreno milioni di capi abbattuti ed aziende in seria difficoltà economica, e con norme più severe e restrittive in materia di sicurezza alimentare, la cui reale (scarsa) efficacia viene regolarmente rivelata in occasione dello scandalo successivo.

Per esempio, proprio pochi giorni fa è stato approvato il DDL 2260 che prevede l’obbligo di indicare in etichetta il luogo di origine o di provenienza di tutti i prodotti alimentari. Il provvedimento forse ci metterà in conflitto con l’UE, dato che pare violare le norme europee sull’etichettatura dei prodotti trasformati (l’Italia sembra sempre più spesso dimenticare limiti e competenze per quanto riguarda il settore agroalimentare), ma è stato comunque salutato da più parti con toni tanto trionfalistici da superare abbondantemente la soglia del ridicolo.

Molti hanno ripetutamente sottolineato che una legge del genere impedirà il riproporsi di scandali come quello delle uova alla diossina, dimenticando che per le uova è già da tempo in vigore l’obbligo di indicare l’origine, e lo è in tutta Europa. Anche le confezioni dei prodotti caseari, latte e derivati, riportano chiaramente il luogo di origine in base alle norme europee, ma questo non ha impedito né lo scandalo delle mozzarelle blu né l’uso strumentale dell’episodio per sostenere la necessità di introdurre la norma che è stata approvata pochi giorni fa.

La norme a tutela della sicurezza alimentare sono sempre state usate dai governi come ostacoli tecnici da frapporre al commercio internazionale. Un modo per porre in atto misure protezionistiche anche in assenza di tariffe, tanto che già gli accordi dell’Uruguay Round avevano tentato di porre dei limiti al loro utilizzo. E questa legge non fa eccezione, dato che viene presentata come “legge salva Made in Italy”, in ossequio alla suggestione secondo la quale tra l’origine di un prodotto e la sua sicurezza vi sia qualche legame diretto.

Anche in questo caso è prevedibile che il costo di questo nuovo giro di vite normativo verrà scaricato sui consumatori che pagheranno all’acquisto il prezzo dei nuovi oneri burocratici che graveranno su produttori e trasformatori. E l’appuntamento è solo rimandato al prossimo scandalo alimentare.

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