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Gli speculatori, questi sconosciuti

21 marzo 2011

Libertiamo – 21/03/2011

Alcuni governi hanno già cominciato ad accumulare scorte, cosa che farà salire ulteriormente i prezzi. Ma alla fine la colpa sarà degli speculatori, come me.

Ma la cosa non sembra preoccupare troppo Jim Rogers, cofondatore con George Soros del leggendario Quantum Fund, che secondo il Wall Street Journal aveva previsto la corsa al rialzo dei prezzi delle materie prime agricole fin dal 1999. E non si riesce a dargli torto, dato che se le cose stanno come dice lui “l’agricoltura diventerà una delle industrie più grandi per i prossimi vent’anni e oltre, e diventerà più redditizia di quanto non sia mai stata”.

Ora, sappiamo bene quanto sia diffusa la convinzione che dietro i rialzi dei prezzi delle materie prime, in particolare quelle agroalimentari, non vi sia altro che l’avidità degli speculatori, tanto diffusa che Nicolas Sarkozy ha fatto della guerra alla speculazione finanziaria e della regolazione dei mercati delle materie prime uno dei tratti distintivi del suo mandato di presidente pro tempore di G8 e G20 (peraltro con scarsi risultati, almeno finora).

E sappiamo anche quanto queste teorie siano care al nostro Giulio Tremonti (il quale ama rivendicarne, con un pizzico di gelosia, addirittura la paternità), che le ha ribadite recentemente in una trasmissione a lui dedicata da quello che si sta sempre più accreditando come il suo agiografo personale, Michele Santoro. E dato che il superministro dell’Economia non è abituato ad argomentare le sue affermazioni, probabilmente sprecheremmo tempo se ci aspettassimo di udire da lui una risposta al domandone che gli ha rivolto qualche giorno fa il prof. Giulio Zanella dalle pagine di noiseFromAmerika.org:

  • Premessa. Lei, Sig. Ministro, afferma che la speculazione, il “terzo mostro”, è responsabile dell’aumento dei prezzi, dal petrolio agli alimentari.
  • Fatto. Per ogni acquisto, con qualunque contratto questo avvenga, deve esserci una vendita, e viceversa.
  • Domanda. Può spiegare in che modo gli speculatori creano “carovita”, ovvero spingono tendenzialmente in alto i prezzi?

Invece non sprecheremmo tempo cercando di capire che cosa sia, questa benedetta speculazione, che cosa significa, oggi, scommettere sul rialzo dei prezzi delle cosiddette soft commodities, quali siano le prospettive e quali gli effetti (reali) sull’economia, e in questo ci viene in aiuto lo stesso articolo del Wall Street Journal da cui ho tratto la citazione iniziale.

Tralasciamo l’analisi delle vere cause del rialzo dei prezzi delle materie prime agricole, ovvero l’aumento della domanda globale di cibo dovuto principalmente allo sviluppo dei giganti asiatici, di cui abbiamo già parlato, e cominciamo sfatando il mito secondo cui il trend rialzista sia frutto di una volatilità di breve periodo: se si escludono i futures, che promettono prese di beneficio nel breve, ma che la stessa volatilità rende particolarmente rischiosi, gli investitori istituzionali si stanno concentrando su quei settori produttivi maggiormente legati all’agricoltura, come l’industria sementiera e biotech, chimica (fertilizzanti e fitofarmaci) e meccanica specializzata nella produzione di attrezzature agricole.

L’equazione è piuttosto semplice: l’aumento dei profitti degli agricoltori si traduce in maggiori investimenti aziendali, e di questi investimenti non possono che beneficiare nel medio e lungo periodo proprio le società (e le azioni delle medesime) che offrono servizi all’agricoltura.

Per operazioni ancor più di lungo periodo, ma che promettono grandi soddisfazioni, c’è anche il private equity su compagnie che investono direttamente in terreni e attività della filiera agroalimentare nei paesi in via di sviluppo, dal Sud America all’Africa Subsahariana, dove il prezzo dei terreni è ancora accessibile pur essendo in costante aumento: basandosi sui quattro anni del progetto pilota della Sudafricana Emvest, che investe in quattordici paesi africani occupando ad oggi più di 2500 persone (quanto sono cattivi questi speculatori!), si stimano ritorni per gli investitori nell’ordine del 30% annuo.

Non male, se si considera che al tempo stesso si investe direttamente in sviluppo e si contribuisce ad aumentare l’offerta globale di cibo. E questo forse è l’aspetto che tende a sfuggire al nostro ministro dell’economia e alla maggior parte dei commentatori nostrani. Più capitali torneranno ad essere investiti, in qualsiasi forma, sull’agricoltura, più e meglio ci potremo avvicinare all’obiettivo, indicato dalla FAO, di incrementare la produzione di cibo del 70% entro il 2050 per nutrire 2,3 miliardi di persone in più rispetto ad oggi.

A meno che a risolvere il problema non facciano prima i nostri amici di Slow Food con la diffusione dei loro orti biologici in Africa. Sono sincero, la vedo un po’ dura.

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