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Latte e bugie

25 marzo 2011

Altro giro altro grafico, e questa volta bisogna ringraziare ne’elam che su noiseFromAmerika, tornando a parlare dell’affaire Lactalis-Parmalat (che a questo punto diventa l’affaire Lactalis-Parmalat-Tremonti), segnala qualche dato, qui e qui, in cui si raffrontano i prezzi all’origine del latte in Lombardia con quello di altre regioni europee, in particolare Rhone-Alpes (Francia) e Baviera (Germania). Date un occhiata qui:

Da cui si possono trarre alcune conclusioni:

  1. Il latte in Italia viene pagato alla stalla più che nel resto d’Europa.
  2. Il prezzo del latte italiano è meno soggetto di quello francese e tedesco alla volatilità di lungo periodo (confrontare l’andamento dal 2007 in poi) e di quello francese alla volatilità stagionale. E’ significativo l’andamento ad “elettrocardiogramma” del prezzo del latte francese che segue, evidentemente, l’andamento stagionale del prezzo delle materie prime, (cereali, foraggi, ecc.) che si alzano e si abbassano a seconda della prossimità col periodo di raccolta.
  3. La narrazione che fanno Lega Nord e confederazioni agricole dell’origine dei problemi del latte italiano è basata su frottole.

All’origine dell’inefficienza della filiera del latte italiano, che non riesce oggetivamente a stare sul mercato, non c’è la concorrenza sleale straniera, né la volatilità dei prezzi: c’è il fallimento del modello protezionistico basato sulla tutela della suggestione del Made in Italy, della qualità certificata e della sicurezza alimentare, che si reggeva in piedi finché c’era il cavalier Calisto che pagava il latte coi soldi degli altri, e l’unico modo per uscirne è una sana e decisa deregulation e sburocratizzazione dell’intero settore che consenta di abbassare i costi di produzione, adeguandoli a quelli degli altri paesi.

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3 commenti leave one →
  1. Alberto Guidorzi permalink
    25 marzo 2011 13:15

    Se fosse solo il latte che segue questo andamento, diremmo che c’è un settore da ristrutturare, ma è tutta l’agricoltura italiana che rispecchia questa non competitività. Cito a memoria: carne, frumento duro e tenero, cereali minori, bietola da zucchero, pisello proteico, e perfino mais.

    In certi casi vi sono obiettive differenze ambientali, vedi bietola da zucchero e frumento, che favoriscono le agricolture del Nord, ma quando però andiamo ad osservare gli incrementi produttivi realizzati, che perciò stesso sono avulsi dall’effetto pedoclimatico, ce ne accorgiamo che noi non abbiamo realizzato neppure questi.

    E’ per questo che ho proposto da tempo di rinominate il Ministero in MINISTERO DELLA NON AGRICOLTURA.

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