I consumi interni calano e l’export agroalimentare cresce. Che vorrà dire?
Tutti coloro che parlano di “spesa a km zero“, o di “domanda interna come motore della crescita“, ammantando di diverse sfumature e suggestioni lo stesso concetto protezionistico, dovrebbero dare un occhiata all’ultimo rapporto dell’Ismea sui consumi alimentari italiani:
Riduzioni significative si registrano in particolare per frutta e agrumi (-8,7% rispetto al primo trimestre 2010), prodotti ittici (-7,5%) e lattiero-caseari, (-6,3%). Negativo il bilancio degli acquisti anche per le carni bovine (-5,1%), i salumi e i tagli freschi di suino (-2,7%), gli ortaggi (-2,6%), il pollame (-1,9%) e i derivati dei cereali (-1,4%).
Di contro, se si guarda all’export:
Contrariamente alla dinamica dei consumi interni, i dati a consuntivo del 2010 confermano, all’estero, una decisa ripresa dell’export agroalimentare (+12,7% in valore rispetto al 2009), con brillanti performance per molti dei prodotti simbolo del made in Italy, compresi vini (+11,7%), frutta fresca (+18,8%), formaggi (+15%) e oli di oliva (+14,9%).
E per chi fosse pronto a cinguettare che questi sono valori che riguardano prodotti di qualità, c’è sempre il rapporto, stavolta del 20 aprile, dell’ International Grains Council che può chiarire con una certa precisione la situazione dell’offerta e della domanda (globale, non nazionale) di cereali.
Giusto per rispondere (in anticipo) a quanti vorranno approfittare dell’ultimo vuoto d’aria delle materie prime per ricominciare gridare alla volatilità e pretendere di indurci a mangiare da soli tutto il magazzino, o meglio, nel dubbio, di smettere proprio di riempirlo, il magazzino, ché il mais si può benissimo far marcire nei digestori da biogas e la terra coltivabile resta comunque il supporto più affidabile per i pannelli fotovoltaici.
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