Cibo: essere o non essere (inflazione)?
Paul Krugman ha sintetizzato il problema con un grafico efficace che riporta i dati Eurostat sui prezzi al consumo al netto di energia, cibo e tabacco, per sostenere che non c’è vera inflazione e che quindi non vi sarebbe ragione per un intervento sui tassi da parte della BCE.
Questo, almeno, se la BCE fosse la FED, che si concentra sull’inflazione “core”, cioè la misura dell’aumento medio dei prezzi (e della diminuzione del potere d’acquisto della moneta) che non tiene conto di beni come l’energia e gli alimentari.
Spiega meglio la cosa Christopher Emsden sul Wall Street Journal:
La gente tende a vedere l’aumento dei prezzi alimentari come segno di inflazione, ma se il reddito del lavoro non sale allo stesso modo, il risultato è che le famiglie hanno redditi inferiori da spendere per altre cose, innescando così una pressione deflazionistica sui prezzi degli asset e dei beni di consumo discrezionali.
I rischi maggiori, quindi, potrebbero derivare proprio dalla spesa che i governi potrebbero destinare (o già destinano, in qualche caso) per calmierare i prezzi dei generi alimentari, o per sostenere economicamente le famiglie mediante sussidi:
Se i prezzi dei generi alimentari continueranno a salire, per il governo sarà difficile continuare a finanziare i trasferimenti senza stampare denaro, aumentando la base monetaria e innescando l’inflazione nel senso tecnicamente corretto della parola.
Quindi il rally delle materie prime agricole dovrebbe essere soltanto la molla necessaria per incoraggiare significativi aumenti di produzione, che resta, a conti fatti, l’unica strada percorribile.
Basta cercare su internet i grafici che misurano il costo di alimentari e petrolio in ORO invece che in euro o dollari… ci si accorge che i prezzi del petrolio sono sempre gli stessi da 40 anni e che i prezzi degli alimentari stanno scendendo