La variabile “credibilità” e la crisi del debito italiano
Libertiamo – 18/07/2011
Non presti soldi a qualcuno di cui non ti fidi. Capovolgendo il concetto, non riesci a farti fare credito se non ispiri fiducia. Per chiunque abbia, nella vita, investito soldi propri o lavorato con soldi altrui questo è un fatto intuitivo ed autoevidente. Non sembra esserlo invece per la nostra classe politica, che di soldi altrui purtroppo ne maneggia parecchi, né, e questo forse è ancora più grave, per la nostra carta stampata.
Uno dei mantra più ricorrenti in questi giorni è quello secondo il quale Stati Uniti e Giappone hanno una situazione debitoria peggiore della nostra, e nonostante questo i mercati si sono scatenati contro l’Italia. Quindi all’origine di tutto non può esserci che un complotto, ordito chissà dove ai danni del Bel Paese e dell’Europa in generale, e del quale i perfidi speculatori non sarebbero altro che il braccio armato.
L’aspetto paradossale è che la zona euro ha dei conti pubblici più sani degli Stati Uniti e del Giappone. Il debito di quest’ultimo è quasi il triplo di quello europeo. Eppure è la zona euro a essere attaccata. Ciò mostra bene che non si tratta di un problema di fondamentali macroeconomici.
argomentava Jean-Paul Fitoussi pochi giorni or sono nell’intervista più citata dai leader del centrodestra, e di questa tesi sembra essersi fatto portavoce anche un redivivo Romano Prodi che, appropriandosi perfettamente della lingua di Tremonti, ha impartito la propria benedizione al nuovo clima da “volemose bene” che ha consentito la rapidissima approvazione della manovra più feroce e probabilmente più inutile degli ultimi tre lustri:
L’Italia non brilla per il proprio rigore, ma la nostra economia non è certo al collasso, anzi, le strutture produttive sono generalmente sane e le banche sono relativamente più solide che negli altri Paesi. Eppure assistiamo a un attacco feroce, sia in Borsa che sui titoli di Stato.
Anzi, sembra che l’idea secondo la quale l’attacco all’Italia sia solo l’apripista di un non meglio precisato attacco prossimo venturo all’Europa e alla sua debolezza politica sia l’ultima delle scuse usate dalla nostra classe politica per continuare a far finta di non accorgersi del disastro verso il quale ha condotto il paese nell’ultimo ventennio: un po’ come avveniva per gli sbarchi a Lampedusa, non si perde occasione per tentare goffamente di scaricare sugli altri la parte migliore dei propri casini.
Eppure quel che è successo è sotto gli occhi di tutti: l’Italia non cresce, ed ha una spesa pubblica gigantesca e fuori controllo. Tradotto, l’Italia è come un’impresa che fattura meno di quanto spende, e sta andando avanti così da tanto, troppo tempo. Di più, l’Italia era stata avvertita tante volte, l’ultima delle quali in una lingua che dovrebbe risultare comprensibile anche ai più tonti: le agenzie di rating forse non brillano per acume, ma se Moody’s se ne esce poche settimane fa con un outlook in cui minaccia a chiare lettere di abbassare il rating dell’Italia, la cosa più stupida da fare è continuare a far finta di niente.
Ovvero, la cosa più stupida da fare è quella di presentare una manovra in cui si rimanda l’onere del pareggio di bilancio a dopo le elezioni e lo si carica sui ceti produttivi mortificando ulteriormente le prospettive di crescita, il tutto mentre il ministro dell’economia si fa coinvolgere in scandaletti vari e il presidente del consiglio si chiude, offeso, in camera da letto a rimuginare sui 560 milioni che deve a De Benedetti, lasciando di fatto la guida del paese ad un signore di 87 anni. La domanda più banale da porsi è: continuereste a prestare soldi a qualcuno che continua a spenderli all’osteria?
Oltretutto sarebbe il caso di ripeterci fino allo sfinimento che non siamo stati vittime di attacchi speculativi, come ricorda Giulio Zanella su noiseFromAmerika (e come ha specificato la Consob), ma di vendite effettive: un mucchio di gente ha preferito realizzare delle perdite pur di levarsi di torno i titoli del debito di un paese così scarsamente affidabile. Nessuno (per ora) sta facendo profitti sulla nostra pelle, altro che speculatori ed avvoltoi.
E’ vero, gli Stati Uniti corrono pericoli seri, e lo stesso vale per il Giappone. Ciò che differenzia l’Italia da questi due paesi è la consapevolezza dei pericoli che stanno correndo. In America c’è un dibattito feroce sulla crisi del debito sovrano, e sui modi per evitare il default: su questo tema si gioca il futuro di Obama e la credibilità di chi aspira a sostituirlo. Un paragone tra Italia e Giappone l’ha fatto anche Paul Krugman, concludendo: “Or, finally, do Japanese politics — for all their disappointments — just look more mature than those of Italy?”
Quando si è pieni di debiti o si affronta la situazione o si grida al complotto, maledicendo la sorte, i creditori e l’ingiustizia del mondo. Imboccare l’una o l’altra strada fa la differenza sul quel “fattore credibilità” che può spesso indurre gli investitori a considerare più affidabile qualcuno che ha i conti messi peggio dei tuoi.