Ciao ‘Arry
Harry Bernstein è morto. L’ho scoperto per caso, pochi giorni fa, imbattendomi nella pagina a lui dedicata su Wikipedia. Se ne è andato il 3 giugno, alla tenera età di 101 anni, 5 anni dopo aver pubblicato il suo primo romanzo, “Il muro invisibile“.
Perché Harry Bernstein ha cominciato a scrivere a 96 anni di età, raccontando la sua infanzia in un sobborgo industriale dalle parti di Manchester, in una strada divisa nel verso della sua lunghezza da un muro invisibile: da una parte i cristiani, dall’altra gli ebrei, per lo più famiglie, come la sua, emigrate dall’Europa orientale per sfuggire ai Pogrom. E la memoria di questa strada, ripescata in un passato remotissimo, osservata con gli occhi di un bambino di quattro anni e raccontata con la voce di un uomo giunto ai limiti estremi della propria esistenza, ci viene regalata da Bernstein con pagine stupefacenti.
Harry (o ‘Arry, come veniva chiamato dai suoi parenti con l’intonazione dialettale di Manchester) ha cominciato a scrivere per riprendersi dal dolore della scomparsa della moglie, Ruby. Dopo “Il muro invisibile” sono venuti “Il sogno infinito“, con il racconto del viaggio della speranza negli Stati Uniti, e dei primi anni al di là dell’oceano, compressi tra la Grande Depressione e la Seconda Guerra Mondiale, e “Il giardino dorato“, dedicato proprio a Ruby e alla loro vita insieme, dal dopoguerra ai giorni nostri. Un suo ultimo romanzo, “What Happened to Rose”, sarà pubblicato postumo in Italia da Piemme.
Sono tutti libri da leggere, per chi non l’avesse già fatto, anche se “Il muro invisibile” resta a mio avviso uno dei libri più belli in cui ho mai avuto la ventura di imbattermi. In questa pagina, che riporto, siamo sulla porta di casa di ‘Arry, lungo la strada, durante la prima guerra mondiale.
Da quando era scoppiata la guerra, e aveva lasciato la scuola, Emily era diventata “la ragazza dei telegrammi”. Era così piccola e minuta che coi piedi raggiungeva a malapena i pedali, e così non stava seduta sul sellino come tutti, ma ritta in piedi, e se ne andava fischiettando di strada in strada, di porta in porta, a consegnare messagi dall’Ufficio di Guerra, apparentemente inconsapevole del loro tragico contenuto.
Era il fischio che Lily doveva aver sentito per primo, e che l’aveva fatta precipitare giù dal letto e correre alla finestra. Era il suono che preannunciava sempre l’arrivo della ragazza, e che portava le persone alle porte, i volti terrei e le mani giunte convulsamente al cuore. Adesso lo udimmo anche noi, quel fischio, mentre Lily stava parlando, e ci precipitammo alla porta con lei. La lettera per i parenti d’America rimase incompiuta, dimenticata sul tavolo, con le sue numerose pagine piene di scarabocchi e macchie d’inchiostro.
Sì, eccola là, Emily, che girava l’angolo della nostra strada, in piedi sui pedali, fischiando allegramente. Era una canzone di guerra: “Mademoiselle from Armentières, parlez vous…”
Era una di quelle miti e deliziose serate che sono frequenti in estate. Il sole era già tramontato dietro la torre quadrata dell’India Mill e striature di un rosso violento erano rimaste nel cielo.
La strada, che fino a poco tempo prima aveva risuonato delle grida dei bambini che giocavano, si era fatta di colpo silenziosa. I ragazzi avevano interrotto i loro giochi per fissare Emily e per essere pronti a correrle dietro, verso qualunque porta stesse andando. Quelli che stavano fuori a prendere il fresco della sera erano rimasti incollati alle loro sedie, con gli occhi inchiodati sulla piccola messaggera. Altri, che erano dentro casa, erano venuti subito fuori, alla porta, con la mano sul cuore. Di quale casa si sarebbe trattato? Era già accaduto prima, nella strada. Si tirava a indovinare; era diventato un gioco. Un gioco terribile, che seminava il panico.
Di sicuro, non si sarebbe fermata davanti a casa nostra. E infatti Emily proseguì oltre. Mio padre era andato a Chester con altri uomini per essere visitato dai medici dell’esercito, ed era tornato a casa ubriaco, con uno strano sguardo malizioso sul viso, come per dire che non ci avrebbe fatto il favore di andare a combattere in guerra per essere ucciso.
Noi non dicemmo nulla, anche se so che mia madre pianse di sollievo.
Sì, Emily oltrepassò casa nostra, la prima all’angolo con Brook Street, e poiché la casa dei Forshaw era quasi dirimpetto alla nostra, ma sull’altro lato, oltrepassò anche quella. I Forshaw avevano spento il grammofono ed entrambi si erano alzati in piedi. Stavano immobili a guardare, e notai come gli occhi di Lily, in quel momento, rimanessero fissi sulla ragazza. E quando Emily proseguì senza fermarsi, Lily tirò su con il naso e dette un sospiro.
Fu quasi impercettibile, e gli occhi di mia madre si volsero severi verso di lei e poi all’altro lato della strada. E chiaramente si capì che anche gli altri due, laggiù, appoggiandosi l’uno all’altra, avevano dato un sospiro di sollievo. Ma non tornarono a sedersi. E neppure lo fecero gli altri, quelli che Emily oltrepassava. Ora dovevano sapere quale fosse la casa destinataria del messaggio. La ragazza dei telegrammi percorse in bicicletta tutta la strada, fino in cima, fischiando il suo motivetto, e la sigora Turnbull uscì dal suo negozio di dolci per essere pronta a riceverla. Le era già successo altre volte. Gli avventori della sua mescita davano il suo nome come parente prossima, e già qualche telegramma era arrivato.
Lei non ne era rimasta tanto turbata, e anche ora non sembrò particolarmente ansiosa, mentre attendeva che Emily si fermasse da lei. Ma non fu lì, su quel lato, che Emily si fermò.
Sentii mia madre lasciasi sfuggire un sospiro. Ora tutti gli occhi della strada erano fissi sul punto in cui la ragazza era smontata dalla bici, i colli allungati per vedere meglio.
Fu un istante. Tutto quello che ricordo è la signora Harris che corre in mezzo alla strada, grida, si straccia le vesti e si batte il viso. La parrucca le è caduta dal capo e lei si strappa con entrambe le mani i capelli, che sono tutti bianchi, e il marito cerca in tutti i modi di frenarla e anche lui perde la bombetta e mostra la piccola kippah nera. E tutti accorrono verso di loro.
Ricordo che notai una cosa piuttosto inconsueta. Le donne provenivano anche dal lato cristiano. La signora Humberstone aveva raggiunto rapidamente gli Harris, e così altre come la signora Turnbull che, in generale, era la più distaccata ed ostile di tutte loro. Perfino in quel momento confuso e caotico, mi venne fatto di pensare che questo era un evento davvero nuovo, non era mai acaduto.
Mia madre era tra le donne che si spingevano fra loro per raggiungere la signora Harris, e contenerla. Lo stracciarsi le vesti è un rituale che gli ortodossi praticano per il lutto dei morti, ma lo strazio della donna era così grande che avrebbe distrutto anche se stessa se mia madre e le altre non l’avessero immobilizzata e non l’avessero trascinata di forza in casa.
Ed entrarono tutte insieme, donne cristiane e donne ebree, con la signora Humberstone che reggeva in una mano la parrucca della signora Harris e nell’altra la bombetta del marito.
Poi tutto finì e la gente fece ritorno a casa. Qualche ragazzo riprese a giocare, ma la maggior parte di noi ragazzini, cristiani come ebrei, rimase intorno alla casa degli Harris a discutere animatamente su come Sam fosse stato ucciso.