Viva il land grabbing!
Si è affacciata una nuova “parola ameba” nell’evanescente vocabolario dell’ambientalista mainstream, in quel pernicioso costrutto simil/logico, come ebbe a dire Antonio Pascale, che
si fonda in primo luogo sull’incompetenza e quindi sulla necessità, poi, di riempire il vuoto di conoscenza sostituendo l’analisi con delle parole amebe, ossia, quel tipo di parole che ormai hanno perso la matrice e dunque significano tutto e niente. La parola ameba rassicura, consola, oppure genera un cosiddetto ricatto emotivo, ci chiude in un angolo e comunque, nell’uno o nell’altro caso, genera un effetto spot, si illumina cioè, solo quello che fa comodo illuminare e il resto, che servirebbe a spiegare meglio e sostenere o contrastare il ragionamento, viene lasciato nell’ombra
Questa parola è “land grabbing“.
Con tale espressione si vuole dare una connotazione negativa al fenomeno, in netta crescita negli ultimi anni, degli investimenti stranieri in terreni agricoli nei paesi in via di sviluppo, soprattutto in Africa. Hanno cominciato i cinesi, ed ora anche fondi di investimento occidentali stanno approfittando dell’occasione, data l’impennata della domanda asiatica di materie prime agricole, e dei relativi prezzi.
Il prezzo della terra è ancora molto basso, così come il costo della manodopera. Spesso all’acquisto dei terreni devono seguire necessariamente grossi investimenti in infrastrutture, indispensabili in paesi in cui manca tutto, ma nel complesso si tratta sempre di un buon affare, con ricadute decisamente positive sulle economie locali. Ricadute positive documentate, in quei paesi africani che non hanno chiuso le porte agli investimenti stranieri, non chiacchiere, e delle quali abbiamo già parlato. Qualche esempio? Nei primi quattro anni del progetto pilota, la Sudafricana Emvest ha impiegato già 2500 persone nei quattordici paesi africani nei quali è presente, promettendo agli investitori istituzionali guadagni che si aggirano attorno al 30%.
Certo, c’è da considerare che, a fronte della forte crescita della domanda di cibo, la comparsa sulla scena globale di un nuovo superconcorrente come l’Africa non è una buona notizia per i governi occidentali con le loro economie agricole protette e sussidiate. Ecco quindi che alla parola “investimento estero” si sostituisce “land grabbing“, dando ad intendere che queste perfide multinazionali la terra la rubano, la coltivano senza impiegare manodopera locale (o se lo fanno la sottopagano, peggiorandone le condizioni di vita che fino a ieri invece erano rosee e splendenti), e poi si portano via tutto, prodotto, capitale (e magari anche le strade, i magazzini e tutte le strutture per lo stoccaggio, la conservazione e il trasporto delle derrate agricole che nel frattempo avevano costruito), nottetempo, ridacchiando sotto i baffi. Esagerazioni? Guardate questo video promosso dai soliti geni di Oxfam per descrivere il fenomeno, e poi ne riparliamo.
E a riprova invece che invece dietro l’ostilità verso il “land grabbing” altro non c’è che una nuova forma, più sofisticata ed ideologizzata, di protezionismo commerciale a danno dei paesi in via di sviluppo, c’è una recente risoluzione del Parlamento Europeo, che chiede esplicitamente ai paesi africani di mettere in campo politiche agricole che impediscano le acquisizioni fondiarie su vasta scala operate da investitori esteri in questi paesi, promettendo in cambio sostegno economico. Ovvero, in parole povere, sussidi in cambio della garanzia di non rendersi competitivi con l’occidente. Bravi, davvero.
“Certo, c’è da considerare che, a fronte della forte crescita della domanda di cibo, la comparsa sulla scena globale di un nuovo superconcorrente come l’Africa..”
Non l’Africa bensì le multinazionali che stanno comperando. La differenza è sostanziale.
E questo, trattandosi di alimenti di base, è preoccupante.
Oggi, i Paesi debitori non sono sovrani ma debbono recepire disposizioni dai creditori.
Domani, dai monopolisti, pardon, produttori benefici di cibo.
Può essere?
Ottimo post. La chiave di tutto, secondo me, sta in questo passaggio:
“Spesso all’acquisto dei terreni devono seguire necessariamente grossi investimenti in infrastrutture, indispensabili in paesi in cui manca tutto, ma nel complesso si tratta sempre di un buon affare, con ricadute decisamente positive sulle economie locali”
Ho sempre sostenuto, infatti, che il problema della fame e della povertà in vaste aree nel mondo sta proprio nella mancanza di infrastrutture che consentano un minimo di attività economica produttiva.
Altro che cazzate del tipo Terra Madre e Vandana Shiva…
Fort
Vogliamo che non solo le multinazionali producano cibo in Africa? La soluzione c’è.
Visto che noi (europei) abbiamo a cuore le popolazioni africane affamate e non vogliamo aumentare la nostra produttività in agricoltura, dovremmo permettere alla nostra ricerca pubblica di lavorare nel miglioramento delle piante, se non fosse impedita nell’operare per migliorare anche le piante che sono la base dell’alimentazione di queste popolazioni.
– La prima che prendo in considerazione è la banana.
Essa rappresenta in termine di volumi il 4 cibo (dopo i tre cereali) del mondo. Le si mangiano mature senza cottura, mature con cottura leggera, , mature con cottura prolungata, banana verde. Poi ci sono tutte quelle da cuocere, bollite, fritte, essiccate e trasformate in farine e farne pane, trasformarle in purea o in polvere da somministrare al posto del latte. Infine ci si fa la birra o dei succhi di frutta. Senza contare le utilizzazioni di altre parti della pianta per farne piatti o tessuti o materiale da costruzione.
Ora vi è un fungo che potrebbe falcidiare tutte le piantagioni (industriali e non), non varrebbe la pena di usare la transgenesi per rendere la pianta resistente?
– La seconda pianta è la manioca.
Essa sola rappresenta la terza fonte di carboidrati nel mondo. Tuttavia, oltre a contenere allo stato crudo dei cianuri, che scompaiono con la cottura, essa manca quasi completamente di proteine e quindi è un alimento da integrare (facile a dirsi da noi, ma molto difficile da farsi in Africa). Ebbene è già stata ottenuta una forma OGM che contiene il 13% di proteine e quindi potrebbe divenire un alimento completo e soprattutto non è frutto della ricerca di multinazionali. Perché non diffonderlo questo OGM nei paesi caldi poveri?
Non posso dimenticare di citarti il Golden Rice (ricco in provitamina A) tanto avversato dai militanti anti-OGM.
Quando si dice che gli OGM possono concorrere a sfamrae meglio il mondo è questo che si vuol dire, non certo di far produrre derrate in Occidente e regalargliele (gli si da la lenza e non gli si regala il pesce)
Ma, Alberto (mi permetta), qui si tenta di forzare una porta già aperta.
Chi scrive non è affatto contrario agli OGM che, come Nella Valle del Siele si scrive, sono una realtà e come il sottoscritto asserisce, lo sono da sempre. Lo vado scrivendo dal 2003 nel mio blog e vado dicendo da sempre da quando un brillantissimo professore di agronomia, appena laureato a Bari alla Mungivacca, 35 anni fa me ne spiegava l’utilità.
In un mio post, per esempio, (dei molti sull’argomento) e dal titolo “Il misterioso grano che l’Uman Essere miete” asserivo che lo stesso grano come altri cereali sono NECESSARIAMENTE dei prodotti di ingegneria genetica già dal 10.000 A.C.
Così anche in un altro dal titolo “L’abominevole mistero delle piante da fiore”
La mia remora è che ricercatori del settore si lascino sempre più attrarre dalle sirene dell’industria dei brevetti e non sperimentino bene gli effetti delle loro ricerche prima della messa a coltura. Un pò come nella farmaceutica, insomma.
Ed è questo, a mio modesto avviso, la vera, reale argomentazione contro la coltivazione degli OGM.
Le altre argomentazioni sono solo chiacchiere.
Un saluto.
Fort
Ti permetto, ti permetto anche di rivolgerti a me con la seconda persona singolare, ci mancherebbe.
Ci troviamo quindi d’accordo. E’ su quanto dici sotto che vorrei puntualizzare.
“La mia remora è che ricercatori del settore si lascino sempre più attrarre dalle sirene dell’industria dei brevetti e non sperimentino bene gli effetti delle loro ricerche prima della messa a coltura. Un pò come nella farmaceutica, insomma.”
Ci deve essere un limite ai controlli, perché la ricerca e la dimostrazione del rischio zero non è praticabile e neppure possibile. Infatti, sono convinto che questa spasmodica ricerca abbia creato il seguente paradosso: nessuno, se non una multinazionale, si può permettere di completare tutti i dossier con i controlli eseguiti. Quindi attenzione a non cadere nell’eccesso opposto, vale a dire creare di fatto un ostacolo insormontabile per i ritrovati della ricerca pubblica.
A questo proposito vi un’interessante nuova rubrica sul Blog di Salmone dal titolo “parlare chiaro” dove vi è un professore che ipotizza, se si vogliono creare OGM accettabili dall’opinione pubblica di crearli apodittici e con meccanismi epigenetici che impedisca la produzione di polline. Se sei interessato eccoti il link:
http://www.salmone.org/coesistenza-ogm-biologico/
Ricambio con piacere il saluto
Leggi “apomittici” al posto di “apodittici”