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La metà. Ovvero uguale

10 ottobre 2011

La newsletter di Scientific Alliance affronta il tema della presunta equivalenza produttiva dell’agricoltura biologica e di quella convenzionale, argomento recentemente sostenuto da un paper del Rodale Institute, un istituto che fin dalla mission si prefigge di “migliorare la salute e il benessere delle persone e del pianeta attraverso l’agricoltura biologica”.

Gli autori dello studio dimostrano di poter ottenere rese analoghe a quelle convenzionali attraverso sistemi di fertilizzazione organica, essenzialmente letamazioni e sovesci. Tutto bene, se si esclude un particolare:

se guardiamo alla descrizione dei sistemi biologici, vediamo che comprendono sia le rotazioni lunghe tra cereali per mangimi e foraggi perenni (per il concime organico) che le rotazioni tra cereali annuali e colture di copertura (per i sovesci). In altre parole, non abbiamo un raccolto commerciabile ogni anno.

Questo rende la misurazione delle rese effettivamente corretta per ogni singolo raccolto, ma fuorviante, perché la produttività della terra nel corso del tempo è la misura realistica. Se l’agricoltura biologica non può che produrre ogni due anni, la stessa superficie di terra può fornire solo metà del prodotto di un’area coltivata continuativamente.

E tutto questo tralasciando il problema del controllo dei parassiti e delle infestanti, così come il costo dei diversi tipi di fertilizzazione. “Comunque la si guardi” conclude Scientific Alliance “il biologico non è il futuro dell’agricoltura”.

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4 commenti leave one →
  1. Alberto Guidorzi permalink
    10 ottobre 2011 16:43

    Io non ho bisogno di andare a cercare ricerche per conoscere i risultati del coltivare biologico. Nei primi dieci anni della mia vita io ho mangiato solo cibo biologico.
    Vi dico come si coltivava la mia azienda allora:

    Frumento, bietole e granoturco come sarchiate, tre anni di medica. Una rotazione quinquennale quindi. Si seminava il Mentana come frumento, delle popolazioni locali di granoturco e l’ecotipo romagnolo di medica. Quindi anche da questo punto di vista si era in regola con i dettami del biologico, infatti loro ti propinano che vogliono recuperare vecchie varietà.
    Poi vi era la stalla, con un carico di bestime enorme perchè essendo noi nella zona del parmigiano reggiano la produzione di latte era molto spinta perchè dava più reddito. L’alimentazione del bestiame era esclusivamente foraggio fresco di erba medica e fieno di erba medica. La razza del bestiame era la Bianca modenese o Bianca della Val padana, cioè il non plus ultra per ottenere il parmigiano reggiano biologico di oggi. La quantità di letame prodotta era quindi molto maggiore che molti altri luoghi. Si pensi che per dar da mangiare al bestiame in estate e poter fare più latte si sfogliavano gli alberi di olmo che fungevano da tutori alle viti della sistemazione a piantata.

    Nel dopoguerra ricordo che mio padre comperava il nitrato del Cile (che era guano) e quindi rientrante nella categoria del biologico. Serviva per una nitratatura al frumento.

    Conclusione: sapete qual’era la produzione che ricavavamo(che mi aiuta sono le vecchie agende di mio padre. Quado andava bene bene erano 30 q/ha di frumento (ma il più delle volte ci si fermava a 20). Le varietà locali di granoturco non producevano ad ettaro non più del grano, anzi spesso meno, ma lo si coltivava solo per la polenta e per gli animali di bassa corte). Le vacche di razza modenese quando producevano 2500 litri di latte per lattazione erano considerate buone lattifere.

    Eravamo proprietari della terra e quindi in condizioni migliori di tanti altri, ebbene volete sapere cosa si mangiava?
    Minestra tutti i pasti di mezzogiorno (con il soffritto e fagioli). Al venerdì era pasta asciutta con le sarde (era come una festa). Il pane era fatto ogni 10/15 giorni, ma non era lesinato, mentre non era così con il companatico (vi era il detto “mangia il pane che il companatico non ti riempie”). La sera era polenta e qualcosa in cui intingerla (poteva essere vino cotto, una mela,della conserva di frutta, era festa quando vi era un po’ di stufato con tante patate) Le uova non mancavano, ma era sufficiente averne una metà a disposizione nel piatto. Il vino non manva e non veniva lesinato era forse l’unico alimento che dava più calorie. Le galline erano ammazzate solo quando erano ammalate, mentre i polli novelli si mangiavano, ma in tre volte, cioè con un pollo si facevano tre pasti.

    Parlo tra l’altro di una zona benedetta da Dio come fertilità e giacitura del terreno: oltrepo mantovano, ma accostati al fiume, quindi un terreno di medio impasto facilemnte lavorabile, profondo, fertilissimo e suportato da una falda acquifera abbastanza superficiale che ci premuniva quasi sempre dalla siccità.

    Siccome chi è amante del biologico sono proprio gli inurbati, ebbene sappiano che se si ritorna a fare questo tipo di agricoltura i contadini mangeranno, i più ricchi della città pure, ma per tutto il resto della popolazione ci sarà da tirar la cinghia.

    Ecco ci sarà un vantaggio, forse diabete, colesterolo e trigliceridi torneranno a valori molto bassi!

  2. 10 ottobre 2011 20:00

    Alberto, grazie per la tua testimonianza!

  3. 11 ottobre 2011 11:03

    Yep
    Concordo in tutto e per tutto con Alberto. E’ ora di finirla di profferire stronzate. La gente studia per aumentare produttività e (guadagnare di più) e però anche sfamare tanta gente in più, e poi si cerca di regredire all’agricoltura pre-industriale.
    Se ci vedesse una civiltà aliena si sarebbe depressa.

  4. Alberto Guidorzi permalink
    11 ottobre 2011 11:51

    libertyfighter

    Il tuo intervento mi permette di correggere il tiro.

    Nell’intensificare l’agricoltura si sono commessi dei non sensi agronomici, permessi anche da congiunture economiche favorevoli.

    Concimazioni eccessive ed alla cieca – ora le abbiamo corrette con l’analisi sistematica dei terreni e soprattutto con la somministrazione dell’azoto a bilancio nel senso che si misura la quantità di azoto disponibile nel terreno, si sono stabiliti i momenti di bisogno e si concima di conseguenza.

    Trattamenti antiparassitari a calendario e non più ad intervalli fissi,
    adattamento dei trattamenti ai cicli del parassita.

    Lavorazioni del terreno con minor spreco di energia. Sono spariti ad esempio i cingolati che aravano con un monovomere.

    Il produrre quantità con poca qualità. Ora non è più così, si pensi solo al frumento, che ormai quello seminato è quasi tutto di qualità superiore per la panificabilità. Si pensi alla qualità della carne dei polli, si pensi al miglioramento organolettico della frutta e della verdura.

    Ecco una cosa che ancora è sottovalutata è la rotazione delle coltivazioni, la quale deve essere recuperata seppure adattandola ai contesti cambiati.

    Purtroppo nel consumatore è ancora inculcata l’idea di un’agricoltura fatta con i modi sbagliati che ho elencato, ma è da tempo che è cambiata, cioè da quando il contesto economico mutato ha portato alla riflessione ed alla conseguente ricerca di metodologie più confacenti.

    Un grande aiuto ci è stato dato dalla genetica, ma ora i tempi di
    costituzione varietale non sono più sostenibili e lo sfruttamento già avvenuto della variabilità genetica naturale è pressochè terminato. Bisogna crearne nuova in senso qualitativo e quantitativo ed un mezzo che non si può tralasciare sono le biotecnologie di transgenesi e di cisgenesi da accoppiarsi ai metodi di genetica classica.

    E’ solo questo approccio che permetterà di dar da mangiare a due miliardi di persone aggiuntive tra soli 40 anni e nello stesso tempo di rendere l’agricoltura sempre più sostenibile

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