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La nuova PAC segna l’addio dell’agricoltura al mercato, con la benedizione dei sindacati agricoli

11 ottobre 2011

Libertiamo – 11/10/2011

Se ogni cosa ha il suo prezzo, non è chiaro in cambio di cosa gli agricoltori italiani dovranno subire una decurtazione tanto significativa dei fondi loro destinati dalla riforma della Politica Agricola Comune. Finora se ne parla solo attraverso stime approssimative e simulazioni, e nei prossimi giorni il quadro sarà più chiaro, ma quel che appare certo è che, nell’ambito della rimodulazione della distribuzione del budget che l’UE destina al settore primario, in Italia arriveranno meno soldi: il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali parla di quasi il 20% in meno.

Non è una sorpresa, sia chiaro, dato che oggi la stessa torta dovrà essere suddivisa in maniera più equa tra più commensali, in primis quei paesi dell’est europeo che, al tempo dell’introduzione del cosiddetto “disaccoppiamento” non facevano parte dell’Unione da un tempo sufficiente perché il calcolo del premio li premiasse in misura soddisfacente, e che questa redistribuzione non poteva non colpire il nostro paese.

Quel che stupisce, però, è che a fronte di una consistente diminuzione del budget a disposizione, gli agricoltori italiani non guadagneranno nulla in termini di libertà di impresa. Anzi, a quel che pare i vincoli saranno ancora più onerosi, e oltre al capitolo degli aiuti allo sviluppo, anche parte degli aiuti diretti sarà condizionata dall’adozione di pratiche agricole ecosostenibili (o presunte tali, come abbiamo visto in passato). Più burocrazia per le aziende, più vincoli, più intermediazione pubblica (con tutti i costi che questo comporta), ma meno soldi per gli agricoltori: tutto normale, laddove è uno solo dei due contraenti (l’autorità pubblica) a stabilire sia il prezzo che le condizioni.

Ma se questo segna, definitivamente, il fallimento del modello di rappresentanza sindacale italiano in agricoltura, con le tre confederazioni interessate più di ogni altra cosa a mantenere il ruolo istituzionale di intermediazione tra erogatore dei fondi e beneficiari finali, e quindi tutt’altro che propense a pretendere uno snellimento del carico burocratico e dei vincoli per le imprese, la nuova PAC nel suo complesso sembra destinata a marcare il definitivo scollamento tra l’agricoltura europea e il mercato globale.

Oggi tendiamo a dare il cibo per scontato, e questo ci permette di concentrare la nostra attenzione su altri problemi, trascurando la produttività. Il fatto però è che la dinamica dei prezzi delle materie prime agricole degli ultimi anni indica che non c’è proprio nulla di scontato in termini di sicurezza alimentare, e l’obbiettivo di raddoppiare la produzione agricola nei prossimi decenni, per venire incontro alle sfide della demografia e dello sviluppo dei paesi emergenti, non si persegue con le chiacchiere. E sono sfide che gli altri continenti hanno già raccolto da tempo, attraverso la libertà d’impresa, l’innovazione e la tecnologia, mentre noi continuiamo a baloccarci con la strenua difesa di rendite acquisite e protezionismi variamente mascherati dietro il velo sempre più logoro della sostenibilità ambientale.

E a farne le spese saranno gli agricoltori europei, in primis quelli italiani, se non saranno in grado di tornare a chiedere, attraverso nuove forme di rappresentanza, deregulation e libertà di intraprendere e di rischiare. Se non riusciranno a scrollarsi di dosso l’enorme apparato parassitario che mortifica il loro lavoro ma vive del loro lavoro, concedendo in cambio molto poco e sempre meno.

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8 commenti leave one →
  1. 11 ottobre 2011 11:06

    le organizzazione sindacali: qualcuno ha mai fatto una stima di quanto pesano sul comparto e quanto rendono? Piu’ burocrazia per loro vuol dire piu’ soldi per loro.

  2. Alex permalink
    12 ottobre 2011 22:00

    Mai sentito parlare di quanto successo ai sussidi agricoli in Nuova Zelanda negli anni ’80? Tolti, cancellati, eliminati. (in realtà è stato riformato l’intero paese che era al collasso – ps vi fa venire in mente qualcosa?) Niente più “parassiti” e vera imprenditorialità agricola. Certo il passaggio non è stato indolore per tutti ma tant’è. Libro consigliato: Brian Chamberlain – “Farming and subsidies: debunking myths”

  3. Alberto Guidorzi permalink
    13 ottobre 2011 00:02

    Alex

    Nel contesto che tu delinei:

    -Ti immagini quanta genete rimarrebbe nei nostri campi?

    -Ti immagini dove precipiterebbero i valori fondiari?

    -Ti immagini quante banche si vedrebbero svalutate le fideiussioni?

    -Ti immagini cosa farebbero tutti gli impiegati delle associazioni agricoli e dei vari patronati?

    – Ti immagini cosa direbbe quel qualche proprietario di terra ricevuta in eredità che non può più aspirare di far parte di qualche consiglio di associazione o società collegate (o addirittura a fare il Presidente di qualche associazione e accarezzare l’dea di trovarsi ministro) che gli permette di giadagnare di più del reddito del terreno (esclusi gli aiuti PAC infatti spesso non essendo provetti agricoltori di far rendere la terra al massimo non lo sanno fare)?

    – TI immagini quel politico che è sempre stato eletto con i voti che la Coldiretti gli metteva a disposizione (Vedi Scalfaro)

    Smetto pur non avendo finito, ma è meglio che vada a letto….

  4. Alex permalink
    13 ottobre 2011 08:13

    – gli imprenditori agricoli più bravi
    – meno di quanto si possa pensare
    – le banche lavoreranno di più (sul serio e non sulla carta)
    – dovrebbero ingegnarsi in qualche modo
    – potrebbe cedere il suo terreno ad un agricoltore vero
    – dovrà guadagnarsi la rielezione
    Buona giornata

  5. 13 ottobre 2011 09:50

    Alberto:

    “Ti immagini quanta genete rimarrebbe nei nostri campi?” Quella necessaria a ricavarne profitto.

    “Ti immagini dove precipiterebbero i valori fondiari?” Se i terreni agricoli perdono valore e ricominciano ad avere un prezzo commisurato alla loro produttività non sarebbe affatto un male.

    “Ti immagini quante banche si vedrebbero svalutate le fideiussioni?” Ecco, questo sarebbe un problema (ma per le banche, non per gli agricoltori), con i tempi che corrono e con le banche che stanno cercando disperatamente di ricapitalizzare. In ogni caso in Nuova Zelanda non è fallita neanche una banca.

  6. Alberto Guidorzi permalink
    13 ottobre 2011 11:13

    Alex e Giordano

    Penso che si sia capito che erano ironiche le mie “immaginazioni” anzi erano più auspici che timori.

    Io sarei perfino del parere che gli agricoltori o i proprietari di terra che non possono essere ascrivibili (perchè mai stati o non più assimilabili) alla categoria dei veri e propri Inprenditori Agricoli (quelli con la lettera maiuscola) se non affittano il terreno le tasse non le pagano più sul reddito domenicale, ma su valori stimati come si fa per gli immobili. (Francia docet)

  7. Alex permalink
    13 ottobre 2011 21:59

    Sì sì, l’ironia era chiara. Era solo per far vedere con semplici risposte che in realtà non esistono tabù agricoli e che i miti possono essere tranquillamente sfatati

  8. Alberto Guidorzi permalink
    14 ottobre 2011 00:34

    Alex

    Infatti la nostra agricoltura è arretrata appunto per questo, non gli mai stato concesso di funzionare come “libera” attività economica, ma solo come oggetto di elargizioni per grazia ricevuta, ivi comprese le frequenti svalutazioni della lira quando si potevano fare.

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