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Le contraddizioni della nuova PAC – 3: ‘l’agricoltore attivo’

20 ottobre 2011

Chicago Blog – 20/10/2011

Il 12 ottobre la Commissione Europea ha ufficialmente presentato il pacchetto di iniziative volte a riformare la Politica Agricola Comune (PAC) da qui al 2014, quando la riforma entrerà in vigore. E’ una serie di misure molto complesse, che merita migliore approfondimento. Intanto vorrei dedicare alcuni brevi post alle contraddizioni più evidenti della proposta appena approvata, seguendo il canovaccio  dell’efficace sintesi riportata sul periodico online “Agronotizie”.

Terza puntata: “l’Agricoltore attivo”

La futura Pac conterrà una nuova definizione di ‘agricoltore attivo’: per escludere coloro che non hanno un reale impatto sulla produzione, d’ora in poi la percentuale degli aiuti dovrà rappresentare almeno il 5% del reddito globale del beneficiario degli aiuti.

Anche in questo caso, come in quello del “tetto agli aiuti” che abbiamo esaminato la volta scorsa, il rimedio rischia di essere peggiore del male. L’idea di premiare chi lavora realmente la terra, escludendo dai sussidi quelli che ormai hanno abbandonato l’attività agricola pur conservando la rendita della PAC, sembrerebbe essere un’iniziativa lodevole, ma sbaglia clamorosamente il bersaglio (e non è detto che lo sbagli per caso).

Oggi un ettaro di terra riceve, in media, circa 300 euro di aiuti diretti. Chi possiede 100 ettari di terra beneficia automaticamente di 30.000 euro ogni anno, anche seminando un prato poliennale di foraggere: con un impegno minimo iniziale può garantirsi una buona rendita per alcuni anni, alla quale potrebbe sommare 150 euro per ettaro circa se converte l’azienda al biologico, arrivando a beneficiare di 45.000 euro annui, ai quali dovrebbe sottrarre solo il costo annuale della presentazione della domanda per la PAC. Più che sufficiente per garantirsi un’esistenza dignitosa, e soprattutto sufficiente per continuare ad essere considerato “agricoltore attivo”, anzi attivissimo, dato che il reddito globale continuerà a provenire esclusivamente dagli aiuti.

Chi invece rischia di perdere la qualifica di “agricoltore attivo”, e quindi i sussidi, saranno non solo coloro per i quali l’attività agricola è diventata talmente marginale da far sì che gli aiuti costituiscono meno del 5% del reddito globale, a prescindere da come viene condotta l’azienda (l’attività agricola potrà costituire una minima parte del reddito di un imprenditore, ma questo non prova che quell’attività non venga svolta correttamente, contribuendo attivamente alla produzione). Rischieranno di perdere gli aiuti anche coloro i quali, dedicandosi anche alla trasformazione e alla commercializzazione dei loro prodotti, sono riusciti a ridurre a meno del 5% del loro reddito globale il peso degli aiuti, ovvero proprio gli agricoltori più attivi e meritevoli di tutti.

E comunque, anche in questo caso sarà facile risolvere il problema (almeno per chi ne ha la possibilità) ricorrendo a prestanome o intestando l’azienda a familiari inoccupati. Non sarebbe la prima volta che succede: alcuni anni fa, tramite il capitolo degli aiuti allo sviluppo, c’era la possibilità in molte regioni di ottenere dei finanziamenti a fondo perduto per il cosiddetto “primo insediamento”, una misura dedicata ai giovani che iniziavano l’attività di imprenditore agricolo. Lascio immaginare quanti hanno approfittato dell’occasione per intestare l’attività ai figli, mentre i giornali di settore pubblicavano statistiche ed entusiastici resoconti sul ritorno dei “ggiovani” alla terra…

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6 commenti leave one →
  1. Alex permalink
    20 ottobre 2011 22:31

    Oltre all’inutilità io ancora mi chiedo (e attualmente non so darmi ancora una risposta) quale mole di carta servirà per dimostrare sul serio che gli aiuti sono almeno il 5% del reddito (e poi quale reddito, dominicale, agrario, iva, reddito lordo, reddito netto, pensione, ecc.), a meno che non facciamo una bella dichiarazione sostitutiva che è la panacea di tutti i mali! Continuo a pensare che è ora di entrare nell’ottica di chiedersi se questa PAC serve a qualcosa.

  2. 20 ottobre 2011 22:50

    buona considerazione: molti redditi, per esempio quelli che provengono da investimenti in titoli, non appaiono su nessuna dichiarazione dato sono soggetti a cedolare secca e la banca detrae direttamente le tasse sui guadagni. Ma non credo che l’ intenzione di chi ha redatto questo capolavoro di PAC fosse quella di colpire le rendite (altrimenti basterebbe abolirla, la PAC), né tantomeno quella di ridurre scartoffie e burocrazia, che anzi aumenteranno.

  3. _Salvatore permalink
    21 ottobre 2011 13:15

    Verissimo! Da uno studio di Comfagricoltura presentato al Forum di Taormina a marzo 2011, l’apparato burocratico per l’agricoltura costa 61 miliardi di euro.
    Dai dati che noi tutti abbiamo sotto gli occhi (la mole di burocrazia che avanza) questi costi sono destinati ad aumentare enormemente.
    Facendo uno più uno meno i costi, gli “aiuti” per l’agricoltura servono (sono il pretesto) – a prova di smentita – a mantenere l’apparato burocratico.
    Chiamassero le cose con il loro nome…

  4. Fort permalink
    21 ottobre 2011 18:27

    Sembra che la PAC vada a braccetto con l’oligarchia dei gruppi d’acquisto che sta cambiando la geografia agricola di interi Paesi.
    Ma nessuno ne parla.

  5. vincenzo lenucci permalink
    22 ottobre 2011 19:54

    Debbio riconoscere, invece, che il criterio proposto dalla Commissione europea è coerente con le considerazioni della Corte dei Conti europea (cui si ispira) che orientavano il legislatore comunitario ad escludere quei soggetti che fanno altre attività e cui non vanno concessi i pagamenti diretti della PAC. Ad esempio le ferrovie, gli aeroporti, gli impianti di campi da golf e maneggi. Tutte realtà con tanti ettari generalmente non coltivati ma che possono percepire i pagamenti “disaccoppiati” (non legati appunto alla produzione). Criteri legati alla produzione agricola come la prima versione della bozza di regolamento che prevedeva il rispetto del criterio del 5% delle ENTRATE DA ATTIVITA’ AGRICOLA sul totale delle entrate da altre attività economiche (a proposito attenzione si parla sempre di entrate, proventi, giro di affari – in inglese ‘recepits’ – , non reddito…) rischiano di essere magari più utili ed eque ai nostri occhi ma non conformi alle considerazioni della Corte dei Conti UE ma neanche alle regole della “scatola verde” del WTO che vuole i sostegni slegati sempre dalla produzione.
    Piuttosto ora dobbiamo chiarire alcuni aspetti fondamentali della proposta. Ad esempio come considerare le “entrate” da redditi di capitale, di fabbricati, da pensione, da lavoro dipendente… e poi come ci mettiamo per le entrate da attività “connesse” a quella agricola? Per il fisco italiano produrre agroenergia o produrre e vendere pane o grappa – per rimanere alle ultime “frontiere” delle attività connesse – determinano redditi agricoli. Sarebbe il caso che queste non diventino “attività extra agricole” a Bruxelles per l’accesso ai pagamenti.

    Infine tre temi per stimolare ulteriormente la discussione:
    – la definizione deve essere comunitaria o lasciata in sussidiarietà agli Stati membri? Qualcuno lo desidererebbe ma dove va a finire la politica agricola COMUNE?
    – semplificazione burocratica: e se chiedessimo solo – per essere “in attività” – l’iscrizione al registro delle imprese della CCIAA o la partita IVA agricola? Troppo semplice? Forse escluderemo i piccolissimi che questi oneri non li vogliono…
    – e sempre a proposito di piccoli agricoltori o giù di lì. Sotto i 5 mila euro di pagamento Bruxelles non pretende di verificare nulla, Quindi anche un “non attivo” percepisce regolarmente sino a 4999,99 euro… E’ giusto privilegiare i piccoli rivoli di danaro? E magari escludere chi fa l’agricoltore seriamente e poi ha ANCHE per sua fortuna molti fabbricati o capitali da cui (legittimamente perchè il danaro non è farina del diavolo come ritiene chi si scaglia contro la “rendita”…) ricava la giusta remunerazione?

    Ciao a tutti i visitatori di Valle del SIele.

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