La cessione dei terreni pubblici e le cifre a vanvera
Tra i provvedimenti contenuti nell’allegato alla legge di stabilità, ultimo provvedimento varato dal Governo Berlusconi e base di partenza per il lavoro del nuovo esecutivo presieduto da Mario Monti, c’è anche un articolo che riguarda la cessione, da parte dello Stato, dei terreni a vocazione agricola.
La notizia è senz’altro buona, personalmente sento vanamente parlare di dismissione dei terreni agricoli di proprietà pubblica più o meno da quando ho memoria, ed è stata salutata da Coldiretti con un entusiasmo commovente. In particolare, si legge in questi giorni su tutti i quotidiani, “dalla vendita dei 338mila ettari di terreni agricoli pubblici, prevista dalla legge di stabilità, possono nascere fino a 43mila nuove imprese agricole condotte da giovani, ai quali è stato assicurato il diritto di prelazione nelle procedure di cessione“. Wow!
Leggendo l’articolo di legge in questione, apprendiamo che (grassetti nostri):
Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, con uno o più decreti di natura non regolamentare da adottare d’intesa con il Ministero dell’economia e delle finanze, individua i terreni a vocazione agricola, non utilizzabili per altre finalità istituzionali, di proprietà dello Stato non ricompresi negli elenchi predisposti ai sensi del decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85, nonché di proprietà degli enti pubblici nazionali, da alienare a cura dell’Agenzia del demanio mediante trattativa privata per gli immobili di valore inferiore a 400.000 euro e mediante asta pubblica per quelli di valore pari o superiore a 400.000 euro. L’individuazione del bene ne determina il trasferimento al patrimonio disponibile dello Stato. Ai citati decreti di individuazione si applicano le disposizioni di cui all’articolo 1, commi 3, 4 e 5, del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n, 410.
I terreni in questione sono quindi ancora da individuare. Allora di che parla Coldiretti (e a pappagallo tutti gli organi di informazione che hanno riportato la notizia senza uno straccio di verifica)? Come al solito in questi casi, il lancio di agenzia fa riferimento a un fantomatico “studio” del quale non c’è traccia sul sito della Confederazione, e del quale si capisce ben poco sul magazine di riferimento:
Da una stima della Coldiretti sulla base della superficie media nelle diverse Regioni, con la dismissione delle terre agricole pubbliche il maggior numero di nuove aziende giovani potrebbe nascere nel Lazio (6.500), in Campania (4.300), nel Trentino (3.800), in Piemonte (3.700), in Calabria (3.500) e in Puglia (2.600).
Bene, possiamo quindi dedurre che Coldiretti disponga, in qualche modo, di un elenco dei terreni di proprietà pubblica, prima ancora che questi terreni siano stati individuati dall’Agenzia del Demanio. Strano, ma ammettiamo che sia vero: da questo elenco sono stati tolti i terreni “non utilizzabili per altre finalità istituzionali“? E quelli “non ricompresi negli elenchi predisposti ai sensi del decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85“? E quelli degli enti locali, per i quali la legge individua sì una procedura per la cessione, ma che non obbliga affato a cedere (“le regioni, le province, i comuni possono vendere, per le finalità e con le modalità di cui ai commi 1 e 2, i beni di loro proprietà aventi destinazione agricola compresi quelli attribuiti ai sensi del decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85; a tal fine possono conferire all’Agenzia del demanio mandato irrevocabile a vendere“)? E quelli che ricadono all’interno di aree protette, per i quali è necessario il parere preventivo dell’ente gestore dell’area? E ha già un’idea, Coldiretti, di cosa avverrà di quei terreni sui quali gravano usi civici come diritti di pascolo o di taglio del legname, e di quelli che, presumibilmente, le amministrazioni pubbliche hanno usato come garanzia per mutui e prestiti a lunga scadenza?
Non è dato sapere. E poi, come si arriva alla fantomatica cifra di 43.000 nuove aziende agricole? Perché “nuove”, dato che bisognerà già essere giovani imprenditori agricoli per godere del diritto di prelazione? Forse che in Coldiretti sono perfettamente consapevoli che ogni volta che si riconosce qualche beneficio per i giovani agricoltori si scatenano i passaggi di proprietà di padre in figlio delle attività che altrimenti ne sarebbero escluse?
Ma il capolavoro assoluto è sul numero previsto (chissà come) di nuove aziende: se le stime di Coldiretti, per uno scherzo del destino, si dovessero rivelare esatte, da 338.000 ettari otterremmo 43.000 aziende agricole della superficie media di 7,86 ettari. Sarebbe proprio un capolavoro, davvero.
No, e’ proprio sintomatico del loro modo bovino di ragionare, siccome la superfice media aziendale italiana e’ per l’appunto quella, 7/8 ettari, allora il modello che seguira sara’ quello di tanti giovani – balilla? -che vanno a prendere un buono per un azienda media, magari in vendita dal tabaccaio. Non gli balena neanche in testa che il mondo e’ diverso dagli anni ’50, dove loro sono ancora situati, e ben comodi.
A loro interessano le 43.000 quote associative e siccome, a quanto si dice, le casse della Coldiretti non sono così floride, probabilmente per accedere a mutui le avranno già messe in bilancio cone acquisite.