I costi economici e ambientali della spesa a km zero
Freakonomics pubblica un’interessante indagine di Steve Sexton sulle contraddizioni economiche e ambientali del “locavorism“, la moda che vorrebbe favorire l’agricoltura di prossimità e la “spesa a km zero” rispetto al vantaggio comparato e al commercio su lunghe distanze dei prodotti agricoli.
Ne abbiamo già parlato, e ne parleremo ancora. Intanto, basti citare la sintesi delle cifre contenute in un paper dello stesso Sexton:
Le mie stime (peraltro prudenti) indicano che in un sistema che privilegia il consumo di prodotti locali la superficie coltivata a mais dovrebbe aumentare del 27 per cento (22 milioni di acri) e quella coltivata a soia del 18 per cento (14 milioni di acri). L’uso di fertilizzanti aumenterebbe almeno del 35 per cento per il mais, e del 54 per cento per la soia, mentre il consumo di carburante salirebbe del 23 per cento e del 34 per cento, rispettivamente per il mais e per la soia. L’uso della chimica crescerebbe del 23 per cento e del 20 per cento rispettivamente per le due colture.
Al fine di mantenere i livelli attuali di offerta di uscita per 40 delle colture più importanti, un simile sistema di produzione richiederebbe altri 60 milioni di acri di terre coltivate, altri 2,7 milioni di tonnellate di fertilizzanti, e 50 milioni di sterline in più di agrofarmaci ogni anno. I cambiamenti dell’uso del suolo e l’uso di imputs ad alta intensità di carbonio avrebbero un profondo impatto sulla carbon footprint del nostro cibo, distruggendo gli habitat e intensificando l’inquinamento ambientale.
Fantastico vero? E stiamo parlando di un modello che riguarda i soli Stati Uniti. Eppure, a guardare l’orientamento che hanno preso le politiche agricole occidentali, è proprio quella la strada sulla quale, deliberatamente, abbiamo deciso di incamminarci.
Forse, per spesa a Km zero bisogna riferirsi alle colture intensive, orticole.
Non a quelle estensive, chiaramente.
Un saluto.
Bell’articolo, ma c’è un altro aspetto che spinge molti ambientalisti a scegliere il cibo a chilometriz zero, cioè la qualità, vera o presunta che sia.
Qualche esempio banale: un frutto maturato sulla pianta è più saporito di uno colto in anticipo e maturato durante il trasporto, quindi la frutta a chilometri zero ha un sapore migliore.
Ancora meglio: il trasporto può avariare la merce, mentre questo rischio è assente se viene consulta dove è prodotta. Ricordo a Report il giornalista aveva scovato un blocco di grano ammuffito appena uscito dalla stiva di una nave (la stiva è umida, favorisce la formazione di muffe e quindi anche di tossine sul grano).
Per smontare il mito della convenienza dei mercati a km 0 bisognerà prima o poi affrontare la cosa anche da questo punto di vista.
Il commercio su lunghe distanze non avviene più su clipper a vela (anche se il commercio via clipper già consentiva all’inghilterra di panificare col grano australiano). I trasporti su lunga distanza sono diventati straordinariamente efficienti e la loro durata è proporzionale ai tempi di deperibilità di un prodotto. Esportiamo in Giappone le mozzarelle di bufala, tanto per fare un esempio, ricorderete quando le bloccarono per lo scandalo della diossina in Campania, e non riesco a immaginare un prodotto più deperibile di una mozzarella.
E’ vero che un prodotto di stagione è, in linea di massima, preferibile, ma oggi consumiamo prodotti stagionali per tutto l’anno: produrre frutta o ortaggi in serra, o conservarli perché sia possibile consumarli fuori stagione (come facciamo con le mele – trovamene una maturata sull’albero) richiede molti più imputs produttivi, dall’energia ai prodotti chimici, che importare gli stessi prodotti, per metà dell’anno, da luoghi in cui le stagioni sono invertite rispetto alle nostre. Quando si parla di vantaggio comparato si parla esattamente di questo.
Quanto alle muffe del grano, se ne possono trovare anche nei silos di commercianti locali: è uno dei problemi di tutti quei prodotti che necessariamente vengono stoccati per lunghi periodi, se non vengono trattati adeguatamente. Una ragione in più per farli viaggiare velocemente, anche su lunghe distanze quando è possibile, per arrivare in breve tempo dal produttore al consumatore.
Gwilbor
Ormai i cereali sono conservati in modo molto migliore di una volta, le contestazioni sulla qualità sono frequenti e tutti i mulini prima di sfarinare fanno analisi microbiologiche accurate e contestano il prodotti mal conservati.
Se uno vuol, mangiare frutta Km “0” deve prodursela da sè, se non ha questa possibilità si mangia ciò che trova. Dovresti andare in frigo di conservazione della frutta per vedere con quanta cura è fatta maturare.
Sulla pianta si mangia molta più frutta in sovramaturazione, che in giusta maturazione.
Qui si mescola la globalizzazione con i mercati di nicchia. Pensare che tutti consumino tutto a km 0 è un evidente idiozia, Scattano ovii meccanismio legati alla quantità ed al prezzo di prodotti competitors che possono essere importati.E’ come pensasre che tutti i tedeschi devono comprarsi la mercedes.E’ chiaro però che c’è una fetta di mercato che chiede questo, e dire che questo è contro il libero mercato è un evidente ossimoro. Qui continuate a parlare di libralizzare totalmente i mercati, io parlo di liberalizzare i mercati con regole di trasparenza sul prodotto che io compro. Per banalizzare il concetto: Comprereste una mercedes se sai che invece è semplicemente una Dacia con il simbolo del tridente sopra? Non mi direte che questo è un diritto del libero mercato. L’Europa quindi deve difendere la propria produzione non con dazi doganali, ma con la difesa della qualità della propria produzione. , E’ evidente che un prodotto fatto con regole sanitarie e di benessere animale che altri paesi non hanno non può essere assimilato a quello simile fatto nel resto dle mondo. Quindi un discorso è il libero mercato un’altro la libertà di truffare, vi prego non confondetele.E infine guardate che libero mercato è anche fare libero marketing sulla difesa del proprio prodotto.
@Pino Doriguzzi: non ho mai parlato di distorcere il mercato, casomai è vero proprio il contrario. L’articolo di Sexton che ho linkato prende le mosse proprio dalla critica di provvedimenti legislativi che vogliono proteggere il locavorism, come per esempio l’obbligo di usare prodotti locali nelle mense scolastiche (abbiamo provvedimenti simili in pressocché tutte le regioni italiane, tra l’altro). Nessuno ha criticato le libere scelte di ogni individuo di cercare sul mercato i prodotti che meglio crede, quanto casomai l’idea che imporre scelte del genere possa procurare qualche beneficio economico o ambientale.
@Masini :Ritengo che tali provvedimenti oltre che essere condivisi da una buone fetta delle popolazione (mercato) servono proprio a tutelare la salubrità (1° beneficio), mantenimento della attività economica che come detto prima non può essere a prezzi mondiali (2° beneficio) , mantenimento dell’agricoltura nel territorio e quindi difesa del suolo (3° beneficio). e io ci metterei sicuramente i minori trasporti , la valorizzazione del territorio e quindi un diverso approccio nei PAT comunali oltre che uno sviluppo di un turismo più sostenibile (vedi Alto Adige). Purtroppo tali tematiche sono state fatte proprie, ma per ragioni molto diverse,da un partito politico che ne ha distorto fortemente l’immagine, pur dando loro il merito che pur senza rendersene conto le stanno portando avanti. Certo sono visioni diverse ed entrambe condivisibili ma la mia estrazione più da forestale che da agronomo mi fa (tentare) di progettare le cose a più lunga distanza temporale, io devo prevedere non di anno in anno ma da qui a cento anni come si evolve il mio progetto.Ovvero io ritengo che con questa strategia abbiamo qualche possibilità in più di preservare e migliorare il nostro territorio sia da un punto di vista ambientale che economico.