Lo svegliabambocci
Sembra che la patrimoniale in manovra avrà il suo bel peso sulle aziende agricole:
A sopresa, al contrario di quanto avvenuto in passato, quando gli edifici rurali (abitazioni e fabbricati destinati all’attività agricola) erano esentati dall’Ici, ora l’Imu colpirà anche l’agricoltura secondo quando previsto dall’art. 13 della nuova manovra. L’imposizione sarà pari allo 0,2% della rendita catastale rivalutata del 5% e moltiplicata per 160 per l’abitazione e per 60 per gli altri edifici agricoli (D10). Per quanto riguarda i terreni agricoli assoggettati a imposizione il loro valore sarà pari al reddito domenicale riportato nei documenti catastali, rivalutato del 25%, e poi moltiplicato per 120.
E’ una bella botta, non c’è che dire, nonostante l’aliquota bassa (per ora) dello 0,2%. Per quanto riguarda il sottoscritto, tra l’abitazione, i fabbricati destinati all’attività agrituristica, i capannoni e magazzini vari, sarà soggetta a imposizione dalla sera alla mattina una superficie superiore a 800 mq, e posso garantire che mi va abbastanza bene rispetto alla media. E a questo aggiungiamo anche la rivalutazione degli estimi catastali dei terreni agricoli, che per determinare il carico fiscale degli agricoltori hanno la loro bella importanza.
Che dire? Giusto? Sbagliato? Monti ha fatto capire con una certa chiarezza che cercherà, con progressione, di rimuovere le situazioni di privilegio (in questo senso va interpretata anche la decisione di aumentare progressivamente le aliquote contributive di artigiani, commercianti ed agricoltori iscritti ai regimi speciali Inps), e l’esenzione dall’Ici è un privilegio di cui gli agricoltori, a differenza degli altri imprenditori, hanno beneficiato per decenni. E non è il solo.
E la botta secca che ci arriverà addosso tutta insieme potrebbe essere un buon promemoria su cosa significa fondare un intero comparto produttivo su deroghe, privilegi, esenzioni e sussidi pubblici. Chi generosamente concede può anche arbitrariamente togliere, e sono guai, dato che in clima del genere risulta oggettivamente difficile difendere quello che agli occhi dell’opinione pubblica sembra essere un beneficio ingiustificato.
Dalle mie parti, quando un ragazzino si fa male facendo qualcosa di avventato, si dice che ha incontrato lo svegliabambocci. Vediamo se ora cominciamo a svegliarci, cominciando a giustificare la nostra presenza sul mercato attraverso la competitività delle nostre imprese, piuttosto che continuando a pretendere che sia la mano e il portafoglio pubblico a sostenere uno status quo indifendibile fatto di imprese troppo piccole, costose e incapaci di fare sistema.
Sarebbe il caso di svegliarci, perché lo svegliabambocci, nei prossimi mesi, potrebbe passare altre volte.
Parole sante.
Dalle mie parti si dice che anche le aziende piccole sono importanti per difendere e mantenere il tessuto del territorio. Piu’ che la piccola dimensione e’ forse la mancanza di produttivita’ (comunque essa si realizzi) la linea di demarcazione..
più che privilegi quelli all’agricoltura li chiamerei deroghe ad un settore importante per il benessere dell’intera comunità ma fragile economicamente! ok ci hanno tolto questo privilegio, lo dovevano togliere a tutti però, compresa la Chiesa la dove fa attività commerciale, avrebbero dovuto far pagare più tasse a chi i soldi li ha veramente!! all’ora forse ci avrei visto un minimo di giustizia! Rappresento un’azienda sana, grazie a immani sacrifici fisici, una di quelle sì indebitate, ma che fa investimenti, che sta cercando di innovarsi e che alla fine riesce anche a pagarsi tutte le sante rate e tutti gli adempimenti, riusciremo a pagare anche l’IMU, l’aumento dei contributi e faremo, mi auguro, fronte anche al nuovo sistema fiscale che vogliono modificarci, MA NON E’ GIUSTO, perchè allora vogliamo, pretendiamo leggi che non siano solo a tutela del sistema agroindustriale, pretendiamo Ministri/assessori capaci e competenti in quel ruolo, pretendiamo la tutela dei nostri prodotti! le aziende piccole a volte anche se da sole incapaci di fare reddito, tutelano l’ambiente più di altre aziende competitive, che anzi spesso lo distruggono!! non possiamo pensare di coltivare tutti le pianure, ci sono aziende che in territori svantaggiati/montani non saranno mai in grado di far reddito ma non per questo meritano di essere abbandonate! abbiamo tutti presenti le catastrofi dei luoghi abbandonati dall’agricoltura perchè fuori mercato!! con l’agricoltura, e quindi con il cibo, l’ambiente, il paesaggio, la salute, non si può parlare solo in termini di mercato!! quello che mi fa più tristezza è che un articolo così sia scritto da un’agricoltore!!
@Elena Margherita Pala. Sono un agricoltore come lei e ne ho le scatole piene di sentire parlare che quando si parla di agricoltura non se ne può parlare solo in termini di mercato.Un bel paesaggio ha un infinito valore di mercato. Il cibo ogni giorno lo trattiamo e vendiamo su un mercato e se ce ne è troppo non vale niente. E finiamola con questa ipocrisia. Le medicine salva vita hanno anche loro un prezzo di mercato. Basta!!!! L’agricoltura ha a che fare con il mercato, con la domanda e con l’offerta. Cominciamo a vivere come tutti, sul mercato, cercando di fare impresa, belle imprese e di migliorare i nostri processi produttivi. Cerchiamo di essere imprenditori!!! Altro privilegio-distrosione da eliminare è la disoccupazione agricola. Non bisogna darla a nessuno!! Come a qualsiasi altro settore. Perdi un lavoro. Vai a farne un altro o altrimenti fattelo pagare di più così ti ripaghi per i mesi in cui non c’è. E poi cerchiamo di aprire gli occhi e cerchiamo di pretendere di abbattere tutti i costi che la burocrazia ci costringe a sostenere!!!!!!
Elena Margherita Pala
In Italiano il vocabolo è agricoltura e non “agricultura”.
Quello che lei dice rientra nella seconda accezione e non nella prima, ma la seconda accezione, ma non ha ancora trovato una sua collocazione economica, la si vorrebbe dare e le organizzazioni sindacali spingono, ma è difficile non ricadere nell’assistenzialismo, che si può fare solo se se ne hanno i mezzi.
Infatti quando i contadini di pianura eseguivano le sistemazioni agrarie, mentre quelli di collina terrazzavano,ciglionavano, gradonavano e creavano lunette attorno agli ulivi, non lo facevano sotto una spinta ambientale, ma l’unica spinta era salvaguardare e, se possibile, migliorare la produzione di cibo per le loro famiglie. Nessuno li ha aiutati, hanno rischiato del loro.
Varrebbe la pena che molti ambientalisti si rileggessero la realizzazione delle colmate e la successiva sistemazione a spina fatta nella tenuta di Meleto in quel di Colle Val d’Elsa nel senese dal fattore Testaferrata del Marchese Ridolfi nel 1800. L’immane lavoro fu effettuato per convertire a coltivazione intensiva (quella tanto vituperata oggi) dei pendii degradati dall’incuria precedente.
Questi sono lavori che non fa più nessuno, nemmeno chi è rimasto in questi luoghi collinari, perchè non si possono fare con le attrezzature meccaniche in dotazione a piccole aziende agricole, li si devono fare a mano. Al limite le dovrebbero fare le comunità montane che sono state create allo scopo, ma anche queste hanno deviato dai loro compiti.
Ormai il paesaggio agricolo per chi non è agricoltore professionale lo si vorrebbe trasformare in un ambiente di svago e di distensione e a Bruxelles se ne sono accorti di queste aspettative, ecco perchè, da bravi burocrati attenti ad accontenatre beneficiandi e beneficiati, hanno inventato il secondo pilastro della PAC, ma è solo una trovata da burocrati, uguale a quella dell’incolto obbligatorio, infatti si vorrebbe destinare il 7% della superficie di ogni azienda a coltivazioni ambientali e non produttive.
Ma s’immagina cosa significa in una realtà agricola come quella italiana di 6/7 ha per azienda toglierci il 7% di superficie?
Quindi a mio avviso bisogna dirle chiare le cose: l’agricoltura (quella con la “o”) deve essere professionale e misurarsi col mercato, se a latere si vuol creare un’agricultura (quella con la “u”) si deve creare una nuova figura che è l’operatore ambientale, ma per fare questo tutti devono essere disposti a pagare. Smettiamola di voler mettere assieme le due cose, le regole del mercato moderno non lo permettono.
Alberto bravo. Cioè anche l’agricoltura deve collegarsi con il mercato, cioè deve farsi pagare il servizio culturale!!!
Prima di parlare, ti consiglierei di guardare il sito http://www.centroazioneagraria.org e il suo blog di google, poi ne discutiamo dati alla mano.
Ciao
Roberto
Non ho ben capito se ce l’hai con me.
Tuttavia mi sono guardato il sito e mi sono soffermato sulle lagnanze degli agricoltori del foggiano. (a Zaia bisognava tirare le pietre se è per quello…)
Allora dati alla mano ti devo dire che nella media questi agricoltori si possono lagnare solo quando avranno portato la produzione il più vicino possibile alle potenzialità produttive delle varietà di grano duro che coltivano.
Il primo reddito l’agricoltore lo deve fare con la sua produttività unitaria che non deve essere solo il frutto di coincidenze fortunate.
Ti ricordi quando gli aiuti PAC sul grano duro assommavano a più di 1 milione di lire ad ettaro? Ebbene sai qual era la produzione media delle coltivazioni in zona Candela e Rocchetta Sant’antonio? Non più di 7/8 q/ha.
Come può pretendere di essere aiutato un cerealicoltore, se la sua produttività è una variabile indipendenete per fare reddito? Cioè se rinuncia a guadagnare a partire dalla sua terra?
La produttività media stimata dalla regionalizzazione della PAC per il grano duro per la regione Puglia è di circa 23 q/ha.
Se consideri che le spese medie/ha per il grano duro con queste produzioni e con gli attuali costi non sono inferiori a 700 euro mi spieghi cosa intendi per avvicinarsi alle potenzialità produttive e per coincidenze fortunate?
Se ho ben capito gli agricoltori lagnosi non sarebbere in grado di ritrarre dalle varietà di grano duro le loro reali potenzialità!
Non dimentichiamo che il grano duro è una coltura in asciutto, esposta alle intemperie e che pertanto il raccolto finale è già di per sè il “frutto di coincidenze fortunate”.
Attualmente con costi di 700 euro ad ettaro per produzioni medie di 23 quintali/ettaro e prezzi di 26 euro/q.le la coltura è passiva.
Figurarsi cosa significherebbe aumentare i costi di produzione per aumentarne le rese, col fosfato biammonico 18/46 che supera i 60 euro/q.le e il nitrato ammonico e similari sicuramente molto vicino ai 50 Euro!!!! Una roulette russa.
Mi dirai ma allora che cosa seminano a fare? Avresti ragione a fare questa domanda, che si spiega con la differenza tra un’agricoltore e un imprenditore.L’agricoltore purtroppo crea una sorta di dipendenza con la propria terra che lasciare incolta sarebbe un sacrilegio. Di questa scarsa imprenditorialità ne beneficiano i mercati che continuano ad avere i prodotti agricoli a prezzi da loro imposti e il territorio con i suoi abitanti che godono del presidio e della salvaguardia degli operatori agricoli. Certo è che questa logica di attaccamento alla terra significa indebitamento e progressiva chiusura delle aziende agricole.
Per avere un idea di questa tragedia è esplicativa la puntata di Presa Diretta su RAI 3 del 9 ottobre 2001 “terra e cibo” in cui si vedono migliaia di ettari di terreno, una volta coltivati a grano duro, abbandonati e pieno di erbacce e sterpaglie a rischio incendi e frane.Per non parlare delle altre colture agricole.
Spero che avremo modo di continuare a discutere in maniera costruttiva di questi delicati argomenti per far comprendere ai cittadini l’importanza che l’agricoltura dovrebbe assumere per la salvaguardia del proprio benessere in termini di salute e di salvaguardia del territorio. Purtroppo sempre più spesso l’agricoltore si lascia travolgere dal vortice della globalizzazione e del consumismo, per rincorrere le assurde logiche del mercato globale dominato da affaristi e speculatori, che avendo esaurito il filone delle speculazioni finanziarie, rivolgono le proprie letali attenzioni sulle materie prime alimentari trascinando nel baratro l’economia reale.
Ciao e a presto,
Roberto.
Errata corrige:puntata di PRESA DIRETTA del 3 ottobre 2011 e non 2001.
Roberto
Roberto
1° una produzione media di grano duro che è esattamente la metà delle produziuoni sperimentali dice che siamo in presenza di un’agricoltura destinata a scomparire. Normalmente le buone agricolture che sanno ben coltivare e ricavare reddito devono almeno arrivare al 75%. Ciò è quanto avviene nei paesi dove l’agricoltura è professionale e la terra è limitata
2° IL grande problema tuttavia sono le varietà che ci ritroviamo, esse sono di troppo vecchia concezione, sono state selezionate per massimizzare le resse in corrispondenza della massimizzazione degli intrans e quindi a costi che crescono proporzionalmente alle rese o addirittura più che proporzionalmente.
3° Il miglioramento varietale deve ormai avere l’obiettivo di rendere l’agricoltura durevole economicamente e ambientalmente. Si devono ricercare varietà più rustiche, che si adattino o resistano meglio agli stress abiotici e biotici.
4° il non porsi problematiche di questo tipo ed in considerazione del cambiamento climatico, che renderà ancora più estreme le produzioni del sud in fatto di grano duro significa far sparire la coltivazione, gli agricoltori e l’agricoltura.
5° E’ inutile lagnarsi che non c’è il prezzo o troppo poche sovvenzioni solo per il fatto che si produce poco, queste variazioni, nel contesto in cui ci siamo infilati (e non potevamo farne a meno) saranno piuttosto in peggio che in meglio.
6° Vi è purtroppo una differenza tra noi e gli altri, questi ultimi è un lavoro che hanno iniziato da tempo e cominciano a godere di qualche frutto, non invece non siamo neppure entrati in questo ordine di idee, ti puoi immaginare quando arriveremo al passo con gli altri!!!!
è giusto che gli agricoltori italiani abbandonino l’agricoltura e cambino mestiere?
questi basano la loro attività sull’assistenzialismo…tipo cassa integrazione…
ormai viene tutto dall’estero e c’è concorrenza sleale(a mio avviso)
visto che alla dogana c’è scarso controllo e nn ci sono dazi per adeguare il prezzo dei prodotti importati ai prezzi che un agricoltore sostiene per stare in italia…nn c’è futuro in agricoltura che è vittima della errata globalizzazione
Shasha
Credimi: è l’agricoltura italiana che deve diventare più competitiva modificando strutture e professionalità.
Lo sperare nella protezione è solo un rimandare all’infinito i problemi che ci assillano.
Se pensi che l’agricoltura italiana esce da due tipi di protezione:
1° la protezione che c’era alle frontiere comunitarie
2° la protezione che vi era con le svalutazioni della lira
eppure con ciò ci si è solo seduti sugli allori ed ora invece di dirglielo la si illude con la tipicità, il Km0 e quant’altro. Infatti, la produttività è calata invece di aumentare, il fluso dell’innovazione tecnica si è interrotto, la partecipazione alla trasformazione dei prodotti agricoli è assolutamente inconsistente, la tesaurizzazione delle terre per la troppa protezione ha impedito l’accesso allo strumento fondiario ai veri imprenditori agricoli.
Ormai non puoi più stare fuori dagli accordi internazionali e se sei un paese industrializzato non fare altro che cedere sul settore agricolo che è l’unica ricchezza di partener come i paesi emergenti dell’America latina o dell’Africa. Certo bisognerebbe equiparare meglio le condizioni sociali che generano il prodotto da scambiare, ma le dovresti controllare in loco, poi fare la denuncia e aspettare che un giurì ti dia ragione.
Credimi l’unica possibilità sarebbe stata di approfittare quando avevamo la protezione per crescere al fine di trovarci preparati quando sarebbe finita. Si sapeva che sarebbe finita la cuccagna ma abbiamo preferito dire “campa cavallo che l’erba cresce” solo che l’erba non è cresciuta abbastanza.
Tu mi potresti dire ma perchè siamo entrati nell’Euro che ha tanto penalizzato la nostra agricoltura? Ci siamo entrati perchè non potevano esimerci in quanto le svalutazioni creavano inflazione e questa creava debito pubblico. Lo so che se fossimo stati fuori dall’Euro avremmo potuto far venire a più miti consigli la Merkel dicendogli ” non rompere che altrimenti tiu svalutiamo la lire del 20%” è l’avremmo anche impaurita molto, ma ma poi non ci avrebbe comprato i nostri titoli pubblici e noi saremmo ritornati in condizioni peggiori di prima.
Credimi è la nostra agricoltura che deve crescere alla svelta, è l’unica strada. Solo che nessuno ci pensa anzi sindacati e politica elargiscono sonniferi. Scusa se sono stato lungo.
Shasha
sono un agricoltore, credimi…hai perfettamente ragione