Repubblica, Coldiretti e la terza legge di Cipolla
Dopo i broccoli, l’olio. Il 23 dicembre Repubblica ha pubblicato un articolo allarmato e scalmanato su presunte truffe sull’olio d’oliva, basato su un’indagine della solita Coldiretti. Per capire il livello, tanto dell’indagine quanto dell’articolo, riporto parte del post di Roberto La Pira sul Fatto Alimentare:
Secondo quanto riferito dal comunicato ufficiale di Coldiretti, gli esperti hanno evidenziato nel 40% dei casi presenza di muffe (si tratta di una dizione impropria visto che il panel organolettico ha trovato un difetto di muffa dovuto alla cattiva conservazione delle olive e non certo muffe nell’olio come viene scritto e come è stato ripreso dalle testate on line). Il referto analitico prosegue con il 16% di campioni di olio proveniente da olive alterate (forse Coldiretti voleva dire più correttamente di cattiva qualità) e con l’8% dell’olio ottenuto da olive rancide (forse Coldiretti voleva dire più correttamente con una nota di odore di rancido).
Accantonate queste inesattezze, nel testo si legge che tra le dieci bottiglie non ci sono marchi Dop e nemmeno oli qualificati come 100% olio italiano. È lecito chiedersi a questo punto come è stata fatta la campionatura? Perché sono state escluse alcune categorie e qual è il valore statistico di un lavoro realizzato su pochissimi campioni per di più anonimi? Si tratta di un campione rappresentativo dell’1%, del 10% o del 50% del mercato? Abbiamo chiesto a Unaprol e Coldiretti i documenti analitici originali del laboratorio per capire meglio, ma ci è stato risposto che si tratta di analisi “riservate oggetto di indagine” da non divulgare!!! L’altro elemento su cui riflettere è chiedersi quale valore ha una prova condotta su dieci bottiglie di olio anonime quando in Italia esistono una miriade di marche.
Il terzo punto “critico” di questa storia evidenziato nel comunicato stampa di Coldiretti e dall’articolo, è la tesi secondo cui l’80% delle bottiglie di extravergine vendute in Italia contiene olio di diversa origine. La vicenda viene presentata come uno scandalo, quasi una presa in giro per il consumatore, anche se le indicazioni riferite alla provenienza dell’olio sono riportate sulle etichette in caratteri tipografici minuscoli. Questa scarsa trasparenza dei produttori può essere vera in qualche caso, ma le etichette che utilizzano caratteri tipografici piccoli per indicare la provenienza della materia prima sono legali.
Fuffa, come al solito. Sparata ai quattro venti nella convinzione che a parlar male di tutto ciò che viene da fuori si faccia un favore ai nostri produttori. Ebbene, a volte non è esattamente così. In questa particolare fattispecie, ad esempio, registriamo che le autorità di Pechino hanno chiesto all’ambasciata italiana di fornire maggiori informazioni sulle società italiane che vendono olio in Cina, e che l’olio italiano sta sparendo dagli scaffali dei supermercati cinesi proprio a seguito dell’eco che l’articolo di Repubblica ha avuto sui media locali. Chapeau.
Pasquale Manca dell’azienda olearia San Giuliano di Alghero, su Teatro Naturale, ha chiamato in causa per l’occasione la terza legge della stupidità di Carlo Maria Cipolla:
Una persona stupida è chi causa un danno ad un altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo una perdita
Non credo che la patetica arrampicata sugli specchi con cui Coldiretti è tornata sull’argomento renda la definizione di Cipolla meno calzante, anzi, rivela semplicemente che tutta l’operazione altro non era che un maldestro tentativo di reclamizzare “Campagna Amica”, il sistema di punti vendita gestiti dalla stessa Coldiretti. E andiamo avanti.
Tafazzi sarebbe il paragone più indicato per rappresentare questa squallida commedia, perchè di questo si tratta, farsi del male in maniera consapevole e gratuita. 10 campioni sono stati presi dagli scaffali dei supermercati e su questi sono state fatte le indagini, se avessi chiesto a mio figlio e ai suoi compagni di classe della II media di fare il campionamento, sicuramente avrebbero fatto di meglio, portandomi dei campioni di olio più rappresentativi della realtà italiana. Su Repubblica, nonstante sia un suo lettore da anni, vorrei stendere un velo pietoso, su questi argomenti è riuscita ad inanellare fesserie su fesserie con una caparbia degna di miglior causa, come si fa a tacere sul fatto che ormai tutti i marchi storici dell’olio italiano sono ormai in mano spagnola? Su coldiretti che dire? Non so se mai in tutta la sua (troppo) lunga esistenza abbia mai avuto a cuore le sorti dell’Agricoltura italiana, di certo ha abdicato dal suo ruolo di rappresentante sindacale dei propri iscritti, inseguendo il solo tornaconto. Al pari di Greenpeace o WWF cita a sproposito sedicenti “studi” non facendoci mancare la puntuale fesseria quotidiana, però questa volta l’ha fatta troppo grossa, subito la notizia è stata ripresa all’estero, portando nuovi argomenti ai nostri concorrenti. In Spagna roba simile non sarebbe possibile, lì si fa un vero gioco di squadra, gli scandali (e ce ne sono) si risolvono in fretta e senza tanti clamori, al contrario nostro che invece li inventiamo. Sarà l’ora tarda, sarà che il lavoro del mio studio di Agronomo scema sempre più, mancando ormai la materia prima, ma non vedo un gran futuro per noi che viviamo dell’Agricoltura.
Saluti Diego Leva
Ho letto l’articolo di repubblica che citi e mi ha colpito… che vergogna, a livello dei peggiori tabloid.
Ho googlato il nome dello scribacchino che l’ha scritto e ho scoperto che non e’ nuovo a simili scempi: http://www.carta.org/2011/05/a-paolo-berizzi/ 😀 😀
P.S.
Complimenti per il blog!
Bhè ma da quello che scrivete io capisco solo che Coldiretti ha fatto un ottima azione di marketing, dove il risultato sarà che uno dei principali mercati mondiali ha scoperto che è necessaria molta attenzione sui prodotti con falsa provenienza nazionale, dando priorità invece a quelli effettivamente di origine Italiana. Di certo coloro che invece vivono su questa ambiguità non saranno molto contenti. Se non è positivo questo……
non è esattamente così. Quel che ha lasciato intendere Coldiretti e che alcuni produttori italiani vendano roba di cattiva qualità se non nociva per la salute, cosa che non c’entra un fico secco con l’origine della materia prima, comunque indicata in etichetta. E dato che si è basata su un’indagine che definire farlocca è un’eufemismo, dato che non ha voluto neanche divulgare i criteri usati per la campionatura, ha esposto a danni rilevanti la totalità dei produttori italiani. Il tutto, se vogliamo parlare di operazione di marketing, per fare pubblicità ad alcuni punti vendita (che nel mercato sono marginali ma che godono di ampie protezioni politiche) gestiti direttamente da Coldiretti, che in questo modo ha sancito definitivamente la sua mutazione genetica da rappresentante a controparte commerciale degli agricloltori. Dovrebbero semplicemente scusarsi, ed evitare di tornare sull’argomento.
MI scusi signor Giordano, ma si legga meglio l’articolo dell’Informatore che lei stesso ha linkato su ciò che affermano le autorità Cinesi e vedrà che è come le ho detto io.
Ma mi sa che quando in questo sito si parla di Coldiretti sarebbe meglio chiamarlo “La Valle del Fiele”. Saluti
“Valle di lacrime”, sarebbe più giusto ed appropriato, visto come ci hanno ridotto.
Se leggete qui avrete la dimostrazione che le frittate si girano e si rigirano.
http://agricolturaonweb.imagelinenetwork.com/dall-italia-e-dal-mondo/2012/01/10/olio-italiano-la-cina-chiede-qualitagrave-15620.cfm?utm_campaign=newsletter&utm_medium=mail&utm_source=kAOSettimanale&utm_content=1580