Il Km zero non è la soluzione
Libertiamo – 31/01/2012
L’equazione è tornata in voga in occasione dei recenti blocchi stradali degli autotrasportatori: le merci non possono viaggiare, non resta che il km zero. Anzi, per dirla tutta (come l’hanno detta alcuni) i blocchi stradali potrebbero trasformarsi nell’insperata opportunità di mostrare ai consumatori che la spesa a km zero non è solo la soluzione ad un problema contingente, ma la soluzione a tutti i problemi di approvvigionamento alimentare.
Ora, far pubblicità ai propri prodotti, e tentare di trarre il massimo utile da qualsiasi circostanza, come ha fatto in questa occasione l’associazione Campagna Amica, è più che legittimo, per carità, anche quando a far le spese della prevaricazione di pochi prepotenti sono stati altri agricoltori, anche piccoli e piccolissimi, che hanno avuto l’ardire di trovare sbocchi commerciali per i loro prodotti qualche km più in là, e che hanno dovuto veder marcire frutta e verdura anche, in qualche caso, nel percorso tra il campo e le celle frigorifere, con i conseguenti danni economici che nessuno riconoscerà loro.
Il problema, però, è che mentre i farmer’s markets possono essere stati un’efficace risposta imprenditoriale ad un periodo di crisi dell’orticoltura italiana, la pretesa che il prodotto locale sia in sé migliore degli altri non ha alcun senso, né dal punto di vista economico, né da quello ambientale. Le condizioni pedoclimatiche locali sono determinanti per la riuscita di ogni raccolto, e costringersi a consumare solo prodotti locali significa esporre tanto i consumatori quanto i produttori ad una insostenibile volatilità dei prezzi, e all’insicurezza degli approvvigionamenti. In caso di raccolti scarsi si avrebbero scaffali vuoti e prezzi altissimi, senza che i prodotti provenienti da altre zone del mondo possano intervenire a calmierarli soddisfacendo la domanda, mentre in caso di raccolti sovrabbondanti i produttori non avrebbero la possibilità di trovare in altri mercati degli sbocchi per i loro prodotti.
D’altronde non sfuggirà la profonda ipocrisia di chi vuole da una parte impedire ai prodotti agroalimentari stranieri di arrivare sugli scaffali dei nostri negozi, mentre al tempo stesso individua nelle certificazioni di qualità lo strumento migliore per aggredire i mercati degli altri paesi. E’ una nuova forma di protezionismo commerciale, se è giusto chiamare le cose con il loro nome, che cerca surrettiziamente di superare l’impossibilità di imporre pesanti dazi commerciali alle frontiere attraverso l’imposizione di una mentalità autarchica tra i consumatori, e che si illude di aggirare le croniche inefficienze di un settore produttivo proteggendolo dalla concorrenza e dalla competizione.
Può consolare il fatto che non ne siamo vittime soltanto noi: vado spesso in Austria e lì sono frequentissime le confezioni di prodotti ortofrutticoli, pomodori ad esempio, piene di bandierine bianche e rosse, sulle quali appare in bella mostra la garanzia dell’origine austriaca. Se chi vende pomodori in Austria considera una strategia vincente quella di pubblicizzare l’origine alpina e non mediterranea di un prodotto del genere, è difficile non notare quanto questo intero castello sia basato esclusivamente sul pregiudizio e sull’irrazionalità.
Il km zero è l’anticamera della carestia, che capiterà al primo inverno difficile
Il Km0 non è e non può essere LA soluzione, ma è UNA soluzione che dà una risposta ad una richiesta di una nicchia di mercato.
Pino – se il kmzero è la risposta, la domanda qual’è?
Pino, è vero. Parliamo di nicchie, però. Non di soluzioni globali.
Signori la situazione economica attuale e futura non contempera soluzioni di nicchia ma solo soluzioni globali ed a sicuro a minore impatto economico sui bilanci delle famiglie.
Avete mai provato a guardare i prezzi delle derrate dichiarate a Km “0” sui mercatini della Coldiretti? Non mi direte che il consumatore risparmia vero? Certi plus valori di affezione per molti non saranno più accessibili..
E’ solo un rincorrere chimere!