Gli studi di settore andrebbero aboliti, ma questo governo li incattivisce
Libertiamo – 06/03/2012
Se gli studi di settore erano uno strumento intollerabile e vessatorio sotto Visco, Dini, Tremonti e Padoa Schioppa, continuano ad esserlo anche durante la reggenza di Mario Monti. Dovrebbe essere chiaro, ma il fatto è che fa sinceramente male vedere che il governo che dovrebbe Salvare l’Italia, Liberarla e farla Crescere ha introdotto significative modifiche peggiorative alla legislazione sugli studi di settore, illustrate in questo post di Manuel Seri su Chicago Blog.
Gli studi di settore non sono solo uno dei tanti strumenti che rendono complicata la vita dei lavoratori autonomi e delle imprese, e parlarne non significa solo parlare di quanto sia pesante e insostenibile la pressione fiscale in questo disgraziato paese. Ciò che rende intollerabili gli studi di settore è che obbligano chi guadagna poco a dichiarare di più, mentre consentono a chi guadagna tanto di dichiarare di meno. In questo senso si configurano, di fatto se non di diritto, come una sorta di condono fiscale permanente, e sarebbe stato legittimo aspettarsi, dal Presidente del Consiglio che ha più volte solennemente dichiarato “mai più condoni” un comportamento più coerente con le promesse.
Perché gli studi di settore, stabilendo a priori un ricavo “congruo” per ogni tipo di attività e inducendo ogni contribuente ad adeguare le dichiarazioni dei redditi a quella cifra, pena controlli fiscali induttivi in cui l’onere della prova è rovesciato, costringono giocoforza chi ha guadagnato meno a dichiarare di più. Al tempo stesso forniscono seduta stante l’assoluzione per chi, pur avendo guadagnato di più, dichiarando un reddito “congruo” alle stime dello studio di settore, si vede d’incanto escludere dalle liste dei contribuenti a controllo. Se gli studi di settore, da quando sono stati istituiti, hanno generato un aumento del gettito fiscale, questo è dovuto quindi a un sistema ferocemente regressivo (i poveri pagano più dei ricchi, gli onesti più dei disonesti, le nuove imprese più degli insider), tanto più regressivo in un periodo di crisi economica, in cui le consuete corse tardoprimaverili di artigiani e imprenditori alla ricerca di fatture fasulle da emettere per riuscire a risultare congrui hanno davvero il sapore di una beffa indigeribile.
E poi, magari, cominceremo anche a porci qualche domanda sulla strana accondiscendenza che le associazioni di categoria hanno verso gli studi di settore, laddove le critiche sono rivolte per lo più al sistema di calcolo e alle applicazioni (all’altezza dell’asticella, insomma) che allo strumento in sé. Forse, tra miracolati e tartassati dagli studi di settore, tra insider e outsider, coloro che dovrebbero tutelare gli interessi di imprenditori, commercianti ed artigiani hanno già scelto da tempo chi rappresentare.
Concordo su tutta la linea, lo studio di settotre non è altro che un condono perpetuo che permette a molti disonesti liberi professionisti e artigiani di dichiarare cifre “congrue” ma ben inferiori al loro reale fatturato ed evitare così controlli e accertamenti.
Se invece un professionista onesto per cause di forza maggiore non può lavorare a tempo pieno,o per la crisi non ha lavoro, si trova a dover comunque pagare come se avesse fatturato o rassegnarsi a ricevere un controllo. E alla fine si sa che almeno 500 eur per una virgola fuori posto riescono sempre a farteli pagare…