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Il fiasco del microcredito

26 marzo 2012

David Roodman, ricercatore presso il Center for Global Development di Washington, ha scritto un libro che merita di essere segnalato, dato lo scalpore che sta suscitando nel mondo della cooperazione internazionale e del credito allo sviluppo: “Due Diligence: An Impertinent Inquiry into Microfinance“, fino ad oggi l’indagine più completa sui risultati della microfinanza. Ne parla Randall Kenpner, direttore esecutivo di un progetto di cooperazione che include il ricorso al microcredito, visibilmente scosso dai risultati della ricerca:

Le agenzie di sviluppo hanno promosso la microfinanza – la fornitura di piccoli prestiti finanziari ai poveri – perché si presuppone che aiutino ad uscire dalla povertà. Dopo una rassegna completa degli studi esistenti, con particolare attenzione ai più recenti, Roodman dice che semplicemente non è vero. “Sulla base dei dati attuali, la migliore stima l’impatto medio del microcredito sulla povertà dei clienti è pari a zero“, sostiene.

E se il microcredito doveva portare con sé una maggiore responsabilizzazione rispetto all’uso delle proprie risorse (soprattutto le donne, e attraverso meccanismi di cross-collateralization in gruppi in cui ognuno è responsabile anche dei debiti altrui), anche qui le evidenze non sono incoraggianti. I risultati negativi eguagliano quelli positivi, e Roodman si sofferma sul fatto che il rischio spesso tende a complicare, non a semplificare, le vite dei più poveri, particolarmente soggette alla volatilità. Forse, dice Roodman, gli strumenti finanziari ai quali i poveri avrebbero bisogno di accedere sono quelli del risparmio, più che dell’investimento.

L’unico risultato positivo della microfinanza sembra essere quello di aver generato un settore in grado di creare posti di lavoro e servizi. Ma anche qui ci si chiede se ne valeva la pena:

L’importo complessivo del capitale investito in microfinanza dal 2009 è stato 15,7 miliardi dollari, ed ha contribuito a creare una nuova industria. Che bello. Tuttavia, quei miliardi avrebbero potuto contribuire a creare posti di lavoro in altri settori, alcuni dei quali – come la salute, l’acqua e i servizi igienico-sanitari – avrebbero avuto un impatto maggiore sulla povertà rispetto a quello che ha avuto la microfinanza. Per dare un giudizio, sarebbe necessario un confronto costi-benefici. E non possiamo usare il beneficio della riduzione della povertà come fattore attenuante dato che questo non sembra accadere.

Insomma, se per la prima volta nella storia il numero dei poveri (coloro che vivono al di sotto della soglia di 1,25 dollari al giorno) è in declino in ogni parte del pianeta, le evidenze suggeriscono che in tutto ciò lo strumento del microcredito non abbia giocato un ruolo decisivo. Da tenere a mente.

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2 commenti leave one →
  1. Alberto permalink
    26 marzo 2012 22:35

    Come?! Proprio ora che mi sono iscritto a Kiva e ho fatto i primi due prestiti 🙂 Tra l’altro il microcredito è anche presente nel libro della Moyo come uno degli strumenti virtuosi per uscire dalla povertà.. approfondirò…

  2. 26 marzo 2012 22:48

    Non vorreiche sembrasse (anche se probabilemnte lo sembra, forse dovrei correggerlo) che il titolo del post sia una specie di sentenza da parte mia. Non ho letto il libro, ma dopo aver visto l’articolo di Kenpner mi è sembrato un tema interessante, e ho cercato di approfondire. Il post più completo sul’argomento è l’altro che ho linkato.

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