E reciprocità sia
140 caratteri del professor Calestous Juma sono più che sufficienti a spazzare via tutte le farneticazioni europee sulla reciprocità, dalle pericolose suggestioni neopoujadiste di Nicolas Sarkozy alle grottesche rivendicazioni dei forconi siciliani, passando per tutti coloro i quali pretenderebbero di bilanciare a suon di tariffe le differenze di costo del lavoro tra la grassa Europa e i paesi in via di sviluppo:
UK has 883 tractors per 1000 farm workers, compared to 2 tractors per 1000 farm workers in Africa
Il Regno Unito ha 883 trattori ogni 1000 lavoratori agricoli, in confronto ai 2 trattori ogni mille lavoratori agricoli in Africa
Ancora convinti che produrre la stessa quantità di materie prime agricole sia più economico a Sud del Sahara che da noi, e che l’assenza di barriere al commercio internazionale si tradurrebbe, ipso facto, in un’invasione incontrollata di prodotti a basso costo? Se poi vogliamo parlare di come un numero così elevato di trattori sia il segno di una eccessiva parcellizzazione delle aziende europee (di quelle italiane non stiamo nemmeno a parlare) e quindi di una cronica inefficienza strutturale, parliamone.
Ma è tutt’altro discorso, che non dovrebbe stupire nessuno in un continente che ha stabilito, da decenni e nell’indifferenza generale, di sussidiare lo status quo e l’inefficienza, di incentivare gli investimenti mentre si disincentivava la produzione, proprio per meglio isolarsi (pardon, se protéger, c’est plus chic) dalla competizione globale.
Nel Fucino, nei momenti della vacche grasse, hanno ricevuto soldi per comprare un trattore per ogni attrezzo così non devono far fatica a staccare l’attrezzo cambiano solo trattore.
Francamente non capisco cosa ci sia di grottesco, nel pretendere che con le imposte che i produttori pagano allo Stato, si attuino in cambio politiche protezioniste che li favoriscano.
Possibilmente mirandole contro i nostri più pericolosi competitori Nord-Americani ed Asiatici.
Poi ognuno di noi può fare beneficienza come meglio crede, ma preferibilmente con i propri denari.
Il sig Granduro non concepisce l’idea che normalmente in Italia chi gode dei vantaggi del protezionismo non è MAI chi ne paga i costi, insomma ci sono imprese sane concorrenziali e produttive che vengono strozzate di tasse per aiutare imprese inefficenti e improduttive.
La politica protezionistica attuata sulla filiera zucchero ha portato quest’ultima a dissolversi.
“Le imposte che i produttori pagano allo Stato”! Ahahahah, c’è sempre motivo di sbellicarsi dalle risate nel mondo dell’italica agricoltura.
La verità è che i contadini, da sempre, hanno sempre avuto un regime di imposizione assolutamente di favore. Fatta di “presunzioni” di reddito, più che di contestuali constatazioni del valore aggiunto conseguito.
Che, come sappiamo, cambiano nel tempo (e nei luoghi), e favoriscono alcuni a discapito di altri, per dire. Ma che, soprattutto, instillano nell’operatore una sorta di droga ideologica per cui egli DEVE essere immune dalle logiche che il mercato (inteso come mix complesso di concorrenza e pianificazione super partes rivolta alla concorrenza stessa, per il bene del sistema economico in se stesso, sia chiaro..).
Dipendenza da droga. Questa è la realtà con cui l’agricoltore europeo deve fare i conti con se stesso.
Io concepisco l’idea che le imposte che subisco, mi debbano rendere un servizio. Evidentemente lo Statalismo dilagante, ha instillato una sorta di droga ideologica per cui si deve pagare senza discutere.
Granduro ha colto, nel suio primo commento, un punto fondamentale, sbagliando però completamente bersaglio: “ognuno di noi può fare beneficienza come meglio crede, ma preferibilmente con i propri denari”.
Infatti il protezionismo non è altro che beneficienza a spese altrui, a vantaggio di filiere produttive inefficienti (e non è un giudizio di valore, solo una costatazione, dato che se fossero efficienti sarebbero in grado di competere senza beneficienza), laddove per “altrui” si possono intenedere tanto i contribuenti quanto i consumatori che vengono costretti ad acquistare prodotti equivalenti a prezzi maggiori.
As simple as that, piaccia o meno
Chiaro che il protezionismo non consente il raggiungimento della massima efficienza dei mercati globali. Ma quale contribuente di buon senso può avere a cuore tale obiettivo?
Le tasse si pagano per fornire vantaggi a se stessi ed alla propria comunità, mica per cambiare il Mondo (in peggio peraltro, con l’ipotesi globalista).
Esiste il volontariato, le associazione filantropiche e quant’altro per soddisfare la propria inespressa vocazione internazionalista. I pubblici denari, derivanti dalla attività imprenditoriale degli italiani, siano destinati a favorire le imprese italiane. E Pazienza se dall’altra parte del Mondo qualche dirigente di partito dagli occhi a mandorla, non potrà comprare la nuova Ferrari alla sua progenie. Oppure se qualche italiano non potrà giocare con l’ultimo ritrovato tecnologico, a buon mercato, mandarino.
Meglio salvare l’Italia, che non è in grado di affrontare la sfida globale evidentemente, e preservare un futuro, piuttosto che continuare a trasferire, in maniera effimera, le ultime ricchezze nazionali verso l’esterno.
Ma che ve lo dico a fare, voi siete cittadini del Mondo.