Un Ministero da bere
Luigi Chiarello, su Italia Oggi, torna sulla vicenda delle quote latte, pubblicando alcune dichiarazioni di Giuseppe Ambrosio, ex capo di gabinetto dei ministri delle politiche agricole Zaia e Galan, raccolte dal colonnello dei carabinieri Marco Paolo Mantile e depositate agli atti di un processo al tribunale di Roma, la cui udienza preliminare è prevista per ottobre.
Mantile, ricorderete, aveva svolto un’indagine che aveva portato alla luce tali e tante incongruenze nella gestione delle anagrafi bovine e dell’intero sistema di gestione delle quote, da suggerire la possibilità, tutt’altro che remota, che l’Italia non avesse mai sforato la quota nazionale ad essa assegnata, e che di conseguenza i prelievi sugli allevatori siano di fatto illegittimi.
Il quadro che emerge dalle dichiarazioni di Ambrosio è sconcertante: “il lavoro ispettivo dell’Arma è fatto bene, però politicamente ci fa cadere tutto il castello“. Quale castello? “Il castello dei cinque anni di anticipo delle quote che abbiamo avuto tutte in una botta, cade il castello della legge 33 (del 2009, detta Legge Zaia, ndr) e la commissione europea per come ci troviamo ci si inc[***]“.
Il linguaggio è esplicito, il contenuto forse meno. Traduciamo: L’indagine di Mantile avrebbe portato a galla cose vere e tutto sommato risapute. Cose però troppo pericolose per essere rese pubbliche, in quanto metterebbero a repentaglio la credibilità dell’Italia di fronte all’Europa, a cominciare dalla cosiddetta legge Zaia, quella in base alla quale all’Italia veniva riconosciuto un’aumento della quota in un unica tranche invece che scaglionato in 5 anni come per il resto dei paesi europei, in cambio della regolarizzazione degli splafonatori. “Politicamente, non la possiamo utilizzare, perché verremmo meno a un impegno politico che noi abbiamo preso con la commissione europea“.
In pratica una bomba scoppiata in mano a Luca Zaia, che prima avrebbe sollecitato le indagine e poi non avrebbe saputo più che farsene, se non buttarla in caciara: “Zaia, questo lei non lo sa, lo so io, (la relazione) l’ha presa e l’ha ammollata ai Cobas. Questo è il punto, capito?” E rincara:
Mettiamo che è corretto quello che era scritto nella relazione di approfondimento e che sono sbagliate le conclusioni alle quali sono arrivate le relazioni del dipartimento di Catania (l’attuale ministro era al vertice della struttura di verifica del sistema quote latte, ndr), di Agea e del commissario straordinario (Paolo Gulinelli, ndr). Comunque, rimane tutto il dato politico che ci cade tutta l’impalcatura. Capito?
Capito, certo. E capiamo ancor meglio la sicumera del ministro Catania di pochi mesi fa: “Non può essere vero, coinvolgerebbe migliaia di aziende, centinaia di caseifici, un milione di tonnellate di latte importati in nero. Ce ne saremmo accorti“. Aggiungendo poi che “prima di sostenere simili accuse gli investigatori devono provarle con riscontri sul campo, altrimenti si svergogna l’intero sistema delle DOP“.
Ed è proprio questo l’aspetto più inquietante di tutta la vicenda, quello che travalica ogni strumentalizzazione politica che sulla questione delle quote è stata portata avanti finora, soprattutto dalla Lega Nord, il punto sul quale anche da queste pagine proviamo a porre l’attenzione da mesi: che le multe milionarie fatte pagare, forse illegittimamente, ad alcune migliaia di allevatori altro non siano che il prezzo da pagare per non essere svergognati di fronte all’Europa ed essere costretti a pagarne il prezzo politico, economico (e magari penale), e perché si possa allegramente andare avanti con questa gestione opaca (per usare un candido eufemismo) di enti pubblici come AGEA, il SIN (ricorderete il contratto del suo direttore generale), assessorati regionali e CAA sindacali, attraverso i quali transitano ogni anno centinaia e centinaia di milioni di fondi europei per il sostegno al settore agricolo. E scusate se è poco.
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