Rothamsted Research: comunicare la scienza contro i pregiudizi è possibile
Libertiamo – 07/05/2012
Questa è una storia che merita di essere raccontata: un’associazione ambientalista inglese, Take The Flour Back, ha organizzato per il giorno 27 maggio la distruzione di un campo sperimentale dove si coltivano alcune varietà di frumento geneticamente modificato, e ha lanciato l’iniziativa sul web, cercando in questo modo di coinvolgere il maggior numero di persone possibile. Fin qui nulla di nuovo, non è la prima azione del genere in Europa, con ogni probabilità non sarà l’ultima.
Ed anche in questo caso nulla faceva prevedere il fiasco. D’altronde la comunicazione dell’ambientalismo militante è sempre risultata vincente perché divide il mondo in buoni e cattivi, secondo uno schema al quale è molto difficile sottrarsi: da un lato oscuri laboratori, multinazionali, profitti economici, dall’altra la forza gioiosa di giovani e colorati militanti, che non hanno a cuore altro che il nostro benessere e il nostro futuro, e che in nome di tutto ciò sono disposti ad affrontare l’indifferenza dei più, il rischio di toccare con mano una spiga geneticamente modificata, potenziale focolaio di contagi apocalittici, ed anche la forza pubblica, da sempre al soldo degli interessi più deteriori.
E’ sempre andata così, e funziona: funziona quando le ONG riescono a convincere grandi corporation a mutare le loro politiche commerciali, con la minaccia di una pubblicità negativa, funziona quando si affrontano questi temi sui giornali o in TV, dove è seriamente difficile trovare qualcuno disposto ad affrontare un contradditorio, sapendo che dovrà calarsi giocoforza nella parte del cattivo. Perché stavolta non ha funzionato?
Non ha funzionato perché i ricercatori del Rothamsted Research, l’ente pubblico che svolge questi studi, hanno lanciato a loro volta un appello, rivolgendosi direttamente agli attivisti:
Cari amici di “Take the Flour Back”, abbiamo saputo che state progettando di attaccare il nostro campo sperimentale il giorno 27 di maggio. Vi preghiamo di leggere il seguente appello con spirito di apertura e dialogo – sappiamo di non potervi impedire di mettere in pratica i vostri propositi, né vorremmo vedere usare la forza contro di voi. Possiamo quindi fare soltanto appello alle vostre coscienze chiedendovi di ripensarci prima che sia troppo tardi, e prima che anni di lavoro, al quale abbiamo dedicato le nostre vite, vengano distrutti per sempre.
Il loro appello ha avuto un notevole risalto sui media britannici. Anche il Guardian, da sempre molto più che sensibile alle istanze degli ambientalisti, ha dato alla cosa la visibilità che merita. Ed ecco quindi che i ruoli si invertono, ed i buoni assumono improvvisamente le sembianze di Gia Aradottir, giovane ricercatrice di origine islandese, e dei suoi colleghi, nel videomessaggio che ormai ha fatto il giro della rete.
Apprendiamo quindi che il Rothamsted Research è un ente pubblico, e che le sue ricerche non hanno scopo di lucro. Niente multinazionali. Apprendiamo che lo scopo delle ricerche è quello di ridurre l’impatto ambientale della coltivazione del grano. E apprendiamo forse la cosa più banale, ma forse anche quella più dirompente: gli scienziati che conducono queste ricerche non sono dei vecchi e azzimati Stranamore emersi da chissà quale tetro laboratorio sotterraneo pronunciando formule indecifrabili. Sono persone normali, entusiaste del loro lavoro al punto da commuoversi all’idea che venga distrutto, lavorano alla luce del sole, e soprattutto parlano una lingua perfettamente comprensibile, senza concessioni alla retorica, e profondamente onesta: come dice la stessa Gia Aradottir al termine del videomessaggio, “come scienziati, sappiamo fin troppo bene di non avere tutte le risposte. Ma è proprio questa la ragione per la quale abbiamo bisogno di condurre e portare a termine gli esperimenti”.
E sono già migliaia le firme in calce alla petizione, mentre gli attivisti sono stati costretti ad un repentino dietro-front: se gli scienziati avevano proposto di essere presenti il giorno dell’azione per illustrare agli ambientalisti il loro lavoro ed i suoi possibili benefici, a condizione che si lasciasse cadere ogni proposito violento, un comunicato di Take the Flour Back annuncia la disponibilità ad un incontro “in campo neutro” (cosa mai vorrà dire?) per uno scambio di idee.
Ma ormai il dado è tratto e l’imbarazzo degli ambientalisti britannici è tangibile. Se fino ad oggi un limite della scienza è sempre stato la comunicazione di se stessa, soprattutto di fronte a semplificazioni, banalizzazioni e strumentalizzazioni ideologiche, il breve video di Gia e dei suoi colleghi ha dimostrato che comunicare la complessità è possibile, e che lo si può fare senza rinunciare né alla chiarezza né all’onestà di riconoscere sempre i limiti del proprio lavoro. E che se il ritorno al Medio Evo non è una prospettiva gradita ad una opinione pubblica informata, un’informazione corretta è possibile.
In Italia non si sarebbe potuto verificare nulla del genere. Qui da noi la ricerca sulle biotecnologie applicate all’agricoltura è vietata dalla legge, e molti giovani ricercatori italiani cercano all’estero, ovunque nel mondo in luoghi come il Rothamsted Research, una prospettiva per i loro studi. Qui da noi, dieci anni fa, Renato Dulbecco e Rita Levi Montalcini hanno dovuto guidare una manifestazione di piazza di scienziati e ricercatori per la libertà di ricerca scientifica. Invano.
Per questo, perché qualcosa cambi anche da noi, Libertiamo sostiene l’appello dei ricercatori del Rothamsted, ed invita a sottoscrivere la loro petizione. E ad aderire alla pagina Facebook con la quale Federico Baglioni, studente di Biotecnologie Molecolari e Bioinformatica a Milano, ha rilanciato l’appello qui in Italia.
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