Ancora sul maltempo e le politiche commerciali
L’ondata di siccità che ha colpito il Midwest americano, in particolare il Corn Belt, non sembra destinata ad attenuarsi nel breve periodo, salvo qualche attenuazione sul versante sudorientale. Una situazione drammatica per molti agricoltori ed allevatori, che ha prodotto i suoi riflessi immediati sui prezzi delle materie prime agricole, orientati significativamente al rialzo, e della quale gli outlook dell’USDA e dell’IGC hanno dato abbondantemente conto. Questo grafico dell’Interantional Grain Council sull’andamento di produzione, consumi e stocks dei cereali con l’esclusione del riso ci sembra esplicativo al di là di qualsiasi ulteriore considerazione:
In questa particolare congiuntura ci sembra significativa (ma ne avevamo già parlato a marzo) la consistente contrazione degli stocks che toglie ammortizzatori ai possibili gap di produzione dovuti, come in questo caso, ad estremi climatici o atmosferici locali. E su tutto questo resta l’incognita delle variabili geopolitiche che possono sbilanciare l’asticella dell’offerta verso il basso in qualsiasi momento, soprattutto dalle parti del Mar Nero e a sud del Rio della Plata. Se investite in materie prime agricole tenete d’occhio Putin e la Kirchner, prima di ogni altra cosa.
Perché, come ricordava Ross Korves in una recente analisi della quale vi avevamo dato conto, sono diverse le reazioni dei diversi governi alla contrazione dell’offerta di soft commodities e al loro conseguente aumento di prezzo, in genere diretta conseguenza della maggiore o minore esposizione all’inflazione interna e al populismo del “presidente”: in poche parole non vedrete le frontiere statunitensi chiudersi con l’incalzare della siccità, come invece avvenne per quelle russe nel 2008.
E sono proprio situazioni del genere quelle in cui i miti protezionisti dell’autosufficienza alimentare franano sotto il peso della loro stessa inconsistenza: più una regione fa affidamento, per gli approvvigionamenti alimentari, sulle sue sole forze, più è esposta alla volatilità dovuta alle variabili climatiche locali. Chi ritiene, anche con buone ragioni, che queste siano destinate ad aumentare nel futuro, dovrebbe smetterla di menarla col km zero. Checché se ne dica, il commercio internazionale, anche e soprattutto quello su lunghe distanze, tende a stabilizzare i prezzi e a sopperire, con la produzione globale, alle contrazioni di offerta a livello locale.
E dato che la politica tende invariabilmente ad avvelenare un paziente già malato fornendogli la cura più sbagliata, è il caso di dare un’occhiata ad un recente articolo dell’Economist dal titolo emblematico, “Protectionism alert”, in cui si segnala come al di là delle apparenze, i sintomi di una recrudescenza delprotezionismo siano sempre più evidenti, favoriti dal fallimento del Doha Round e dalla conseguente rivitalizzazione degli accordi bilaterali o regionali, oltre da politiche contingenti (destinate a diventare permanenti – “barriers are easier to put in place than to remove“) che tendono ad aggirare i divieti del WTO spingendo più sul pedale dei sussidi che su quello delle tariffe.
Fino ad oggi il mercato unico dell’Unione Europea, benché lungi dall’essere perfetto, è stato un fulgido esempio di uno sforzo sostenuto e determinato ad abbattere le barriere commerciali e dei benefici che questo comporta. La crisi attuale, qualora portasse alla rottura dell’euro, potrebbe pcondurre ad una catastrofica rottura del mercato unico e alla ripetizione degli errori del 1930, dopo tutto. Se mai c’è stato un momento per ricordare i pericoli del protezionismo, è ora.
E intanto, per le menti più semplici, torna di nuovo utile il capro espiatorio della speculazione a colmare gli ormai insondabili vuoti cognitivi.
Come ti avevo scritto su Twitter alcuni tuoi post sulla situazione dei consumi crescenti di cereali mi avevano fatto pensare ad un investimento in un derivato sul prezzo del grano, nella mia prudenza di risparmiatore mi sono accontentato di portare a casa un 20% di guadagno dopo 3 mesi di attesa ma la crescita del titolo in questione è veramente impressionante, indipendentemente dal fatto che un titolo del genere è una pura scommessa e influisce sul mercato reale tanto quanto le agenzie ippiche sul fisico dei purosangue, ma sembra che ci sia gente che sta prendendo abbastanza sul serio il problema,
http://www.borsaitaliana.it/borsa/etc-etn/scheda.html?isin=GB00B15KXS04&lang=it
Che ne pensi?
Pietro, sono contento per te, se sei riuscito a realizzare un simile guadagno in coì breve tempo, e mi fa anche piacere che tu dica che hai preso la tua decisione dopo aver letto alcune mie analisi. In realtà credo che sia giusto sottolineare che ciò che scrivo non andrebbe preso come spunto per investimenti di tipo finanziario. Non conosco bene il mondo dei derivati sulle materie prime agricole e le loro dinamiche di breve periodo, sempre piuttosto volatili, e non ho mai investito in titoli del genere. Le mie analisi riguardano in genere l’andamento dei mercati reali, sempre su scala più globale che locale, e mai sul breve periodo. Roba piuttosto facile, insomma, come è piuttosto facile prevedere che la situazione attuale lasci ampi margini di crescita ai prezzi del cibo. Ma attenzione, le variabili sono sempre tante: per esempio la proverbiale anelasticità dei prezzi del cibo, dovuta al fatto che se aumenta il pane le persone rinunciano a qualcos’altro prima di rinunciare al pane, lasciando quindi invariata la domanda anche a prezzi molto alti, è vera anche al contrario: basta che la produzione torni ad aumentare significativamente e a superare, anche di poco, i consumi, e il prezzo precipita inesorabilmente. Una dinamica alla quale abbiamo assistito anche nel 2008-2009, quando nel giro di una stagione il prezzo dei cereali è praticamente raddoppiato per tornare al punto di partenza. Per aumentare era stato sufficiente un calo della produzione di appena il 5%, per tornare a scendere è bastato un incremento simile, dovuto in prima istanza alla riapertura all’export delle frontiere russe.
Giordano
Mo sento di suggerire anche di tenere sempre conto che il mercato mondiale delle derrate è fatto dalle scorte che rappresentano una parte molto inferiore della produzione, in quanto la gran parte è autoconsumo e non contribuisce a formare il prezzo. Quindi è il volume delle scorte che forma il prezzo, pertanto basta anche una piccola variazione nella formazione o riduzione delle scorte disponibili per determinare scarti di prezzo.
Il mercato in realtà si comporta come quando si produceva per l’autoconsumo in campagna: il contadino che aveva 10 sacchi di frumento per sfamare la famiglia, non li avrebbe mai messi sul mercato, qualsiasi fosse il prezzo, mentre se aveva un sacco in più sarebbe stato invogliato a metterlo sul mercato solo se il prezzo fosse stato molto allettante, altrimenti lo avrebbe tenuto di riserva.
Ciò che poteva influire sull’andamento del mercato era il solo sacco non indispensabile alla famiglia e non tutti gli undici sacchi.